«Io adesso sono “il mostro”» dice sospirando, prima di salutarci, quando lo incontriamo nella sua casa di Milano in zona Porta Venezia: un minuscolo appartamento che sembra ricavato da un magazzino di un palazzone in stile liberty. Più l’alloggio di fortuna di un universitario al primo anno, rispetto a quello di chi all’università ci insegna da tempo, ha scritto libri discussi e apprezzati, e fino al giorno prima delle accuse - che gli ha rivolto l’ex compagna - era considerato «il più promettente, versatile e originale tra i giovani filosofi italiani» (cit. Maurizio Ferraris). È qui che abbiamo incontrato Leonardo Caffo, 36 anni compiuti poco prima della condanna in primo grado a 4 anni per maltrattamenti in famiglia, seduto su un divanetto mentre si riscalda con una coperta di pile viola per ripararsi dal freddo, visto che il riscaldamento in casa è spento. Una premessa è d’obbligo: non stiamo dando voce a una piccola fiammiferaia moderna, ma abbiamo voluto guardare in faccia quello che da molti è considerato una sorta di nuovo “Hitler” (copyright Il Gambero Rosso), consapevoli delle critiche e delle perplessità che l’intervista susciterà. Perché la sua condanna è diventata un simbolo che va oltre alle aule di tribunale, dopo la partecipazione annunciata e poi saltata a Più Libri Più Liberi (i primi a segnalarne l'inopportunità siamo stati proprio noi di MOW), andando a toccare questioni come il femminismo, l’affidamento dei figli ai padri, l’appartenenza o meno a élite culturali (ormai definita “amichettismo”), la presunzione di innocenza e la libertà di espressione. Così Caffo, rivendicando «il mio ruolo di pensatore anche in questa faccenda», non si sottrae a nessuna domanda. Il processo? «Non credo nella giustizia terrena, la subisco». Le accuse? «Non sono buone neanche per un podcast di indagini». Il femminismo? «Somiglia alle parabole che hanno avuto le Brigate Rosse o il M5s». E profetizza persino l’escalation di violenza: «Se qualcuno mi gambizza, io divento un martire e loro finiscono». Il conflitto in corso, secondo il filosofo, «è una battaglia intestina che ha a che fare con la fine del pensiero maschile». Sostiene che «i femminicidi non sono una emergenza» paventando «l’interesse politico-strumentale che c’è dietro». E si toglie qualche sassolino dalla scarpa rispetto all’élite culturale alla quale era associato. Michela Murgia? «Un’amica, ma sulla schwa sono totalmente contrario». Chiara Valerio «ha sbagliato a dedicare la fiera a Giulia Cecchettin, non ne sapeva niente». La querelle sugli artisti che hanno rinunciato alla rassegna? «Se il dibattito culturale è uno scontro tra Selvaggia Lucarelli e Carlotta Vagnoli contro Roberto Saviano siamo nella merda». E ancora, ci ha spiegato «il doppiopesismo di Tlon (Maura Gancitano e Andrea Colamedici) e si è detto vicino a Morgan: «Un grandissimo artista al quale una major ha tolto tutti i lavori mantenendo dei trapper condannati per vari reati». Nel frattempo si è autosospeso dall’insegnamento («non ho un euro per sostenere quello che avverrà»), ma ha una nuova compagna che lo aspetta a casa. In attesa delle motivazioni della sentenza riflette sul patteggiamento («la vita è breve e troppo bella per passarla a combattere»). Ricorda cosa gli ripetono i suoi genitori («lotta, come noi lottiamo per te»). Anche se considera la sua vita passata ormai distrutta: «Il filosofo Leonardo Caffo è finito, per adesso…».
Dopo il clamore mediatico che ha scatenato la vicenda che ti ha coinvolto, e la sentenza di condanna in primo grado a 4 anni, altri si sarebbero chiusi nel silenzio. Invece tu, da subito, hai dichiarato: «Ho bisogno di parlare». Cos’hai da dire?
In realtà ho bisogno di lavorare, più che di parlare. Prima che questa situazione venisse strumentalizzata facevo il filosofo e lo scrittore. Non mi occupavo degli affari altrui, ma di questioni culturali. Penso di essere finito al centro di una battaglia fondamentale per la contemporaneità. Ho sempre difeso i diritti degli altri. Mi sono occupato di migranti, carcerati, vittime della giustizia. Tutto questo non credo mi sia tornato utilissimo. Anzi, è stato strumentalizzato come se fosse un brand, ma posso assicurare che non porta ricchezza.
Su quei temi scrivevi libri, tenevi conferenze, partecipavi a trasmissioni televisive e a vari progetti, non credo sempre gratuitamente. O sbaglio?
Sì, ma oggi ho la necessità di utilizzare questa popolarità, che resta non richiesta, per chiarire molte falsità che girano in rete sul mio conto e sulla sentenza. E non la sto strumentalizzando questa popolarità, visto che di solito, chi è nelle mie condizioni, si fa pagare per le interviste. Ma tu sei la prova che non è il mio intento farlo.
Quali falsità circolano?
Per esempio che non ho una provvisionale, per cui non devo risarcire nessuno. Andrò in appello e ho bisogno che la mia voce non venga spenta. Anche perché deve essere stata una voce interessante, non credo che l’idraulico Caffo che litigava con la fidanzata sarebbe finito su tutti i giornali, no? Non credo neanche se fossi un cantante, tanto è vero che il caso Morgan è durato meno del mio. Qui il centro del problema è che sia un filosofo a essere accusato. Se poi uno leggesse la storia della filosofia non avrebbe tutto questo stupore.
Torneremo su Morgan e sulla filosofia. Ma ripartiamo dalle tue origini. Se chiudi gli occhi, qual è il tuo primo ricordo da bambino che ti viene in mente?
Un bambino che chiudeva gli occhi e immaginava un altro mondo, sperando di poter imprimere la propria visione fantastica sul reale. Come puoi vedere, talvolta si fallisce.
A margine di un’udienza hai ammesso: «Non sono mai stato sereno dall’età di 2 anni». Come mai?
Perché il mondo che ci circonda mi fa orrore. Mi fa orrore questo mondo nel quale ci sarebbero delle questioni fondamentali per le quali dovremmo ribellarci e rivoluzionare i vertici che lo comandano, mentre si cede al meccanismo dell’uno contro gli altri. Un palliativo che, almeno da La società dello spettacolo di Guy Debord, viene raccontato. Piuttosto che concentrarsi sui problemi seri, si creano distrazioni. In Italia gli scandali.
Il tuo lo consideri uno “scandalo”?
Non lo so, ma le mie accuse non sarebbero buone neanche per un podcast di indagini.
Non ti sembra di sminuire le accuse della tua ex compagna?
No, le rispetto profondamente e cerco di difendermi nelle sedi competenti e non sui giornali. Andare in appello, cercare di risolvere questa faccenda, e poi isolarmi in una casetta con un pezzettino di terra, mi sembra la cosa più logica da fare. Ma capirò giorno per giorno. A me della popolarità non è mai fregato niente.
Ha influito a creare il caso, a livello mediatico, l’invito a Più Libri Più Liberi, una fiera del libro dedicata a Giulia Cecchettin che è una vittima simbolo dei femminicidi.
Era già scoppiato un anno prima. L’interesse sostanziale è silenziare una voce, né più né meno. C’è una lunga schiera di pensatori prima di me che ha avuto problemi simili.
Che genitori hai avuto?
Due brave persone. Mia mamma laureata in giurisprudenza, mio padre un vulcanologo che, per tanti anni, ha governato la vulcanologia del Parco dell’Etna e l’ha fatto entrare nel Patrimonio mondiale dell’Unesco. Sono stati due ottimi genitori, che mi hanno educato a lottare sempre per la giustizia.
Cosa ti hanno detto i tuoi genitori su questa vicenda?
Lotta sempre! Lotta, come noi lottiamo per te.
Che studente eri a scuola?
Non bravissimo. Ho sempre avuto un pessimo rapporto con le istituzioni. Poi sai, come ha detto il tuo giornale, fanno cagare anche le cose che scrivo (qui l’articolo critico di MOW sul suo libro Anarchia), per cui scrivere non è necessariamente sinonimo di scrivere cose interessanti. A scuola avevo i miei problemi, poi sono diventato un po’ più bravo all’università. Mi sono laureato in anticipo: ho fatto la triennale in due anni, la specialistica in uno e infine il dottorato.
Non eri un secchione, come invece sembrerebbe?
No, né alle superiori né all’università. Ero semplicemente più veloce degli altri. Io sono più veloce. Perché anche la questione di cui stiamo discutendo adesso, tra vent’anni scomparirà. Il femminismo assomiglia molto alle parabole che hanno avuto le Brigate Rosse o il Movimento 5 Stelle. Partono da una questione corretta, strumentalizzano certi temi, diventano violenti e scompaiono. Mi dispiace, perché la violenza di genere è una questione importante e ogni donna ha diritto alla difesa: io non voglio essere il simbolo contrario a una lotta di civiltà in cui credo profondamente.
Nell’infanzia o nell’adolescenza hai subito dei traumi che hanno segnato la tua personalità?
No, tanto è vero che, per 33 anni, non ho avuto neanche una multa non pagata. Non ho per niente il pedigree del criminale. L’unico trauma è quello della società. Prima di questa faccenda il mio casellario penale era nullo. E resta ancora nullo, bisogna aspettare l’appello.
Non hai mai avuto problemi neanche di bullismo? Te lo chiedo perché, a volte, chi è particolarmente studioso viene preso di mira dal “branco”.
Neanche questo. Ero perfettamente inserito. Il mio è un profilo anomalo, nel senso che ho avuto una vita davvero normale.
E questa “velocità” rispetto agli altri, quando ti sei accorto di averla?
Quando ho notato che gli altri sono lenti.
Non c’è un episodio in particolare?
Il filosofo Wittgenstein dice: «Chi è soltanto in anticipo sul proprio tempo, dal suo tempo sarà raggiunto». Mi sembra un pensiero ideale per spiegare quello che mi è accaduto. Sono stato in anticipo su tante questioni, dall’animalismo all’ecologia, dall’anarchia alla sofferenza dei carcerati e dei migranti.
E oggi qual è la questione sulla quale anticipi i tempi?
Dai, diciamoci le cose come stanno: sulle pagine dei giornali ci finisce a stento chi ammazza qualcuno. E ci finisco io perché si sta combattendo una battaglia intestina che ha a che fare con la fine del pensiero maschile. Tutti noi, e anche voi giornalisti, dovremmo stare attenti a distinguere il maschilismo dal maschile. Il pensiero maschile è fondamentale nella nostra società. Se viene eliminato, mancheranno le polarità e saremo fregati.
Nel rapporto con le donne, prima delle accuse che hai ricevuto, ha mai avuto altri problemi? Dal processo è emerso che avevi l’ossessione del controllo.
L’accusa non è per niente verificata. Nessuno ha letto ancora le motivazioni della sentenza. Per di più sono cadute le aggravanti orribili, che però continuano a girare sui social (per i maltrattamenti pluriaggravati il tribunale ha escluso la sussistenza dell’aver sottoposto a maltrattamenti una persona in stato di gravidanza e per le lesioni personali gravi ha escluso l'aggravante dell’aver provocato lesione con danno permanente, ndr). A me non è mai fregato nulla della libertà degli altri. Prima di questa donna sono stato fidanzato per 9 anni e con un’altra persona 4 anni e mezzo.
Tendenzialmente, quindi, sei monogamo? Te lo chiedo perché sei stato descritto come un grande seduttore.
Quando sono fidanzato tendo a essere monogamo. Ho avuto i miei periodi in cui sono stato con più persone. Nella denuncia vengo descritto «così bello e ammaliatore che non mi si può resistere». Basta guardarmi per rendersi conto che anche quella è una cavolata.
Antonio Cassano, un "filosofo" che tu conoscerai bene, ci ha ricordato che con la fama e i soldi tutti diventano affascinanti.
Peccato che io non avessi nessuno dei due. La fama, adesso, forse sì.
La cultura attrae molte persone. Per te è mai stata utile per piacere agli altri?
No, a me piace proprio la cultura. Mi piace leggere, scrivere e fare progetti. L’aspetto più devastante di questa situazione è che a 36 anni tutta la mia vita è alle spalle. Non vedo come possa tornare a fare quello che facevo prima. Non si può nascondere sotto al tappeto una questione che diventa sempre più grande. Il rischio è che le mie energie intellettuali si debbano concentrare sul capire o meno la liceità di mandare affanculo qualcuno.
Negli ultimi anni hai avuto anche un cambiamento fisico ed estetico, ne hai parlato anche nel podcast “Il bazar atomico”.
Ti riferisci a quando ero sovrappeso?
Questo lo dici tu…
Allora non diciamolo.
Quel cambiamento è dovuto solo alla reazione rispetto alla sedentarietà a causa del Covid, come hai spiegato, o anche a una certa dose di vanità?
Penso che, in una situazione del genere, la maggior parte delle persone si sarebbero lasciate andare. Ogni anno, per il reato di cui sono stato condannato io, ci sono in Italia circa 57mila denunce. Molte delle quali vengono rivolte a padri di famiglia e sono spesso strumentali alla separazione. Molti di questi papà finiscono anche suicidi.
C’è chi sostiene che i suicidi legati alle separazioni siano centinaia, anche se è un dato non verificato e difficile da estrapolare. Invece il numero dei femminicidi è intorno al centinaio nel 2024.
I femminicidi sono un po’ meno di cento e non è sicuramente una emergenza, anche se è una questione gravissima che mai va ridimensionata. Ma siamo un paese di 60 milioni di abitanti. Uno si deve chiedere, quando qualcosa viene raccontato come un’emergenza, qual è l’interesse politico-strumentale che c’è dietro. Non faccio fatica a dire che sono finito al centro di un reato politico. Lo è con tutta evidenza. Quindi rivendico il mio ruolo di pensatore anche in questa faccenda.
Però non sei stato accusato di reati di opinione, ma di maltrattamenti in famiglia.
Ho il disgusto per il fatto che nessuno abbia pensato che c’è di mezzo una bambina di 4 anni e un articolo del codice penale, il 117, prevede che se viene identificato il padre, e tramite esso anche la bambina, tutte le notizie che fuoriescono sono esse stesse un reato penale. Compreso dialogo che stiamo facendo in questo momento.
Sei stato definito da Maurizio Ferraris nel 2017 «il più promettente, versatile e originale tra i giovani filosofi italiani». Sei un enfant prodige o un enfant terrible?
Mi sento una persona libera. Non me ne è mai fottuto niente quando mi battevano le mani e dicevano che ero bravissimo e, per essere ancora più sincero, non me ne frega niente neanche adesso di quello che dicono di me. Gloria e onori hanno tempi brevi. Pasolini diceva che il successo è l’altra faccia della persecuzione. Ricordiamoci che è stato condannato per una rapina a una pompa di benzina e in quel caso la magistratura credette all’accusa. Insomma, parliamoci chiaro: non sono Pasolini perché non sono paragonabile a un genio, però, di certo, la sua sfortuna giudiziaria me la sento addosso anch’io.
Ancora prima, lo ricordo perché ingiustamente dimenticato, ci fu la vicenda dello scrittore e intellettuale Aldo Braibanti, primo e unico a essere condannato per plagio. Allora sul banco degli imputati era l’omosessualità.
Vedo tanti parallelismi con intellettuali del passato, da Braibanti a Pasolini fino ad Aldo Busi compreso. Busi ebbe un processo nel 1990 che all’epoca venne filmato dalla Rai in ogni udienza dopo aver pubblicato Sodomie in corpo 11 perché accusato di gravi oscenità. È evidente che io sia processato anche in quanto intellettuale e non in quanto persona. Dai giornali, intendo. Delle migliaia di processi per maltrattamenti in famiglia che si svolgono ogni anno, di quanti altri sentite parlare?
Restiamo alla filosofia. Il tuo campo è l’ontologia…
Mi sono occupato di capire che cos’è l’uomo, in antagonismo a ciò che uomo non è.
Carmelo Bene disse: «Non parlo a chi mi rompe i coglioni con l’essere e con l’esserci. Non voglio parlare dell’ontologia. Abbasso l’ontologia, me ne strafotto. Parli con il professor Heidegger, non con me».
E chiudeva: «E vada a fare in culo». Ma su quello stesso palco del Maurizio Costanzo Show in tv gli venne chiesto se picchiava la moglie e lui, che picchiava la moglie incinta, rispose: «Non l’ho fatto, ma mi sarebbe piaciuto». Prese gli applausi. La società cambia a una rapida velocità. In parte è un bene, perché non si picchia la gente, e in un altro no, perché il moralismo non sempre è morale.
Dovremmo applaudire chi oggi dice che apprezzerebbe picchiare la moglie?
Se oggi avessimo silenziato Carmelo Bene non potremmo godere della sua Salomé: non va picchiato nessuno, e nessuno va applaudito per una cosa del genere. Se perdiamo Leonardo Caffo non perdiamo niente, ma rischiamo un giorno di avere 300 libri che ci spiegano come scappare dall’uomo cattivo, e di non avere più Delitto e castigo di Dostoevskij.
Sei stato accusato di far parte dell’amichettismo di sinistra.
Non ho ancora capito cosa significhi questo neologismo.
Al di là delle definizioni, non facevi parte di un ambiente culturale riferito a Michela Murgia?
Io e Michela eravamo molto amici e non dipendeva da niente di più che eravamo amici. Lei non era di sinistra a mio avviso, come io non sono di sinistra. Mi sembrano definizioni riduttive.
Questa è una notizia.
Ma no, Michela era profondamente cattolica. Il ché la dice lunga. Quando si è candidata in Sardegna era in una lista autonoma. Era una autonomista sarda e l’autonomismo non è di sinistra. Ricordiamoci che è stato Umberto Bossi a rendere famoso l’autonomismo in Italia.
A qualche giorno dalla sentenza di condanna a 4 anni in primo grado dello scorso 10 dicembre, quanti lavori hai perso?
Ho un contratto a tempo indeterminato come professore di estetica, vinto regolarmente al Miur (Ministero dell'Istruzione e del Merito, ndr). Non faccio il nome dell’istituto per evitare che organizzino qualche picchetto. Non ero tenuto a sospendermi dalle lezioni, visto che non ho una condanna esecutiva, ma per rispetto nei confronti dell’istituzione mi sono autosospeso e sono stato delegato a funzioni di ricerca in attesa dell’appello. Per il resto ho perso qualsiasi altro lavoro. In questo momento non ho un euro per sostenere quello che avverrà in seguito.
Neanche la ricerca è retribuita?
Sì, ma poco. Nonostante questo, devono solo ringraziare l’istituto che non mi ha tolto tutto.
Tutto il resto, invece, è stato cancellato da un giorno all’altro?
Tutto cancellato! Ma vedi, quando diventi così famoso non è difficile tornare a lavorare. Quando sei un personaggio discusso, la gente pur di avere discussione ti viene a bussare a casa. Io mi sto facendo una domanda più articolata: vale la pena di continuare, in un mondo in cui hai fatto le cose più incredibili, riqualificato le barche dei migranti, compiuto la traversata di Lampedusa, donato soldi alle Ong e tanto altro, ma su cui uscivano solo trafiletti sulla stampa, e poi se mandi affanculo la fidanzata ti vengono a cercare tutti? Quindi, vale la pena essere degli intellettuali in un mondo di stupidi? Ho dei dubbi.
Su questo si era già interrogato Roberto “Freak” Antoni con gli Skiantos, nel 1987, nell’album dal titolo emblematico: Non c'è gusto in Italia ad essere intelligenti.
Non c’è dubbio che non ci sia gusto a essere intelligenti in Italia.
Sono noti i tuoi studi sugli animali e il veganesimo, però anche in questo caso hai spiegato che non è possibile essere totalmente vegani. Ti piace provocare?
Non credo nel purismo morale. Credo che questa distinzione tra buoni e cattivi ci abbia distrutto e non credo si possa essere totalmente vegani in un sistema industriale capitalista. Quindi sono convinto che anche il più vegano di tutti, prima o poi, per sbaglio mangerà qualcosa di animale. È sempre un’approssimazione a quello che si vuole essere.
Intanto sul sito del Gambero Rosso è uscito un articolo dal titolo: “Perché non consiglieremo il libro sul veganesimo di Leonardo Caffo”.
Hanno scritto: “Mangereste nel ristorante aperto da Hitler?”. Direi che la dice lunga sull’idiozia di questo mondo. Sono fortunati che non sono ricco, perché paragonarmi a Hitler potrebbe essere un reato talmente grave che mi potrei comprare una Porsche con il risarcimento.
Hai mai fatto causa a qualcuno?
Io non farò mai causa a nessuno perché non credo nella giustizia terrena, la subisco.
Come si concilia il non credere nella giustizia col doversi presentare a un processo?
Perché siamo in uno stato di diritto e non sono una persona violenta. Anche se non credi a certe leggi, essendo un cittadino italiano, devi rispettare quelle leggi. Io ho avuto rispetto per la magistratura, per la pubblica accusa, continuerò ad averne esattamente come ho rispetto per il panettiere all’angolo. Credo sia l’unico modo per stare all’interno in una società. Il fatto che io faccia la fila alle Poste non vuol dire che io abbia una simpatia per le Poste.
A proposito di anarchismo, Camillo Langone dopo aver letto il tuo libro Anarchia. Il ritorno del pensiero selvaggio, ha scritto: «Ama la sapienza ma non la coerenza, il filosofo Caffo (con cui umanamente simpatizzo siccome vittima di processi e polemiche) e sarà colpa del suo pantheon vario e confusionario: Tommaso Moro e Che Guevara, Kant e De Sade, Thoreau e Foucault, Toni Negri e Tolstoj, Unabomber (sì, Unabomber) e Bettino Craxi (sì, Bettino Craxi). Mi ha fregato col sottotitolo, Caffo. Ma si è svelato presto, scrivendo “gli e le intellettuali”: pensiero domato, altro che selvaggio». Fai il ribelle, ma sei stato domato dal politicamente corretto?
Camillo scrive la sua Preghiera su Il Foglio su di me da almeno da 15 anni. Abbiamo un ottimo rapporto. Gli riconosco di essere uno dei pochi che si può permettere sarcasmo, intelligenza e di poter dire più di quello che gli altri possono dire. Non dico “gli” e “le” per un vizio di forma. Se sei maschio declino al maschile e se sei femmina declino al femminile.
Restiamo al linguaggio: «Un popolo che si concentra solo sul linguaggio sta facendo tutto il possibile per non guardare più il sangue, il sudore e la disperazione della materia». Sono parole tue. Come si conciliano con la schwa di Michela Murgia?
A parte che le idee degli amici non si ereditano. Se uno si legge il libro Istruzioni per diventare fascisti di Michela Murgia, che la gente non fa perché li compra e non li legge, vede i ringraziamenti a me per averle corretto e rivisto il libro. Proprio perché cercavo di arginare che ogni cosa potesse diventare fascista. Le avevo detto che il fascismo, come spiegava Umberto Eco nel libro de La Nave di Teseo Il fascismo eterno, si ripropone sotto altre forme. Come il moralismo contemporaneo. Sono totalmente agghiacciato da questo. E per quanto riguarda la schwa, io sono totalmente contrario.
Sai che dopo questa intervista, invece di abbassare i toni sulla vicenda che ti riguarda, potresti aprire un altro vespaio?
Ma chi vuoi che la legga? Sei troppo ottimista. La gente legge i titoli. Nessuna delle cose che escono su di me è letta, ma solamente se sono condannato o meno, cattivo o non cattivo, puzzone o non puzzone. Mi auguro che ogni tanto qualcuno lo dica: ma chi è sto’ Caffo?
Quando a MOW abbiamo sollevato l’inopportunità della tua presenza a Più Libri Più Liberi lo hanno letto, visto quello che è accaduto. Oltre a questo, però, potrebbero accusarti di non esserti esposto pubblicamente con queste critiche per non mettere in discussione gli amici.
Le ho fatte le critiche. Una volta i Tlon (il progetto filosofico di Maura Gancitano e Andrea Colamedici, ndr) fecero dei contenuti sul fatto che non si potesse più dire niente e io risposi con un attacco sull’importanza di dire tutto. A proposito di Tlon e di oscenità, ho letto su La Stampa che Maura Gancitano dice di avermi pubblicato un libro perché prima era giusto farlo, adesso però non lo farebbe più. Maura e Andrea mi hanno pubblicato il libro quando ero già sotto processo e per farmi avere dei soldi in sostegno delle spese legali. Poi quando la storia diventata pubblica tutti scappano. Questo è il doppiopesismo.
Quanti altri ti hanno deluso?
Deluso nessuno. C’è un famoso detto anonimo che recita: «Il diavolo non puzza di merda, ma ti fa desiderare che la rosa profumi». Ho dei grandi amici, delle persone che mi stanno aiutando e sostenendo anche economicamente, e fin quando non mi uccidono continuerò a parlare, troverò sempre il posto e il modo giusto per fare questa battaglia. Perché ho persone che mi amano a cui devo la possibilità che un giorno sappiano che ero un filosofo e non un violento.
Vuoi che sappiano che eri un filosofo e non un violento. Ma un aspetto potrebbe non escludere l’altro...
È vero, ma non nel mio caso. La filosofia è piena di filosofi-ambigui, da Bernard Stiegler a Louis Althusser. Non è certo quello il problema. Il problema è che ho tante colpe e tante qualità che possono non passare il vaglio della cultura moralista contemporanea, però non ho nessuna intenzione di riconoscere cose che non ho fatto. Per questo motivo mi difendo nel processo. È come se tutti volessero una sola cosa: chiedi scusa per diventare il nuovo modello di uomo, che di fatto è una specie di uomo lavato con Perlana, e quindi tutto andrà bene. Come quello che ha dovuto fare Will Smith dopo aver preso a schiaffi Chris Rock nella notte degli Oscar.
Hai detto: «Siamo in un paese cristiano dove esiste il perdono». Quando ti conviene sei anche religioso?
Sono agnostico e ho una lunga frequentazione del buddismo zen. Ma credo che le radici cristiane della nostra società non possano essere cancellate. Per questo è allucinante che, in una popolazione che ha il cristianesimo nei suoi gangli nervosi, l’unico metodo di giudizio siano rimaste le pene, le colpe e ci si dimentichi di quel grande filosofo che è stato Gesù, che ci metteva in guardia: se andiamo a vedere le questioni private, tutti siamo fregati.
Non ti sembrava inopportuno partecipare a Più Libri Più Liberi dedicato a Giulia Cecchettin?
Sono stato invitato perché alle fiere sono gli editori a essere invitati. Il mio editore ha pubblicato Anarchia e quindi invitato insieme agli autori dei suoi libri. Chiara Valerio non mi ha invitato per “amichettismo” e non mi era stato comunicato che la fiera era dedicata a Giulia Cecchettin. Credo infatti che sia un errore, come ho già detto, dedicarle una fiera del libro. Ed è assurdo che non lo dica nessuno. Dopo la conferenza stampa l’ho scoperto, sono usciti una serie di articoli e mi sono ritirato per rispetto.
Com’è possibile che gli invitati non sapessero a chi era dedicata la fiera?
Non c’è una mail, un messaggio, nulla che mi abbia avvisato. Pensavo soltanto di andare a una fiera del libro, ero uno scrittore in quel momento incensurato, continuo a non vedere il problema di andare a parlare a una fiera dell’editoria di un mio libro.
Dopo che Roberto Saviano ha difeso Chiara Valerio, definendo «infantili» gli abbandoni alla fiera di Zerocalcare o Fumettibrutti, Selvaggia Lucarelli l’ha definita «arroganza di circoletti culturali» e Carlotta Vagnoli ha scritto: «Che spostamento a destra…».
Se anche avessi fatto parte di quei circoletti culturali, oggi non ne faccio più parte di sicuro. Con questa condanna scompariranno tutti. Come dice una famosa poesia di Vittorio Sereni, La spiaggia: “Sono andati via tutti…”. Non pensavo neanche prima di far parte di un circoletto e quelli che mi vogliono oggi nel loro di circoletto, puoi immaginare quale, non credo proprio vorrò farne parte. Se il dibattito culturale è diventato uno scontro tra Selvaggia Lucarelli, Carlotta Vagnoli e Roberto Saviano siamo nella merda. A Roberto si possono contestare tante cose, però è uno scrittore. Sono piuttosto certo che una piazza a Saviano un giorno verrà intitolata, sugli altri ho dei dubbi.
Ho ascoltato una tua conferenza su Youtube dove parli del “paradosso dell’asceta”. Cioè i peggiori non sono quelli che esercitano il male, ma quelli che ti fanno vedere quanto sono bravi a non esercitarlo. Quindi attuando una doppia volontà di potenza. Sicuro che Murgia, Valerio, Saviano non siano mai rientrati in questa categoria?
Senz’altro ci sono rientrati. Il “paradosso dell’asceta” viene dalla terza dissertazione della Genealogia morale di Nietzsche. Dove, per raccontare i problemi della volontà di potenza, dice che i peggiori non sono quelli che la esercitano tout court, in modo aggressivo, ma quelli che ti fanno vedere quanto sono bravi a non esercitarla. In questo modo sono doppiamente narcisisti. Gli asceti stanno zitti, non parlano. Chi capisce il senso della vita tace. Su chi continua a dirti quanto è bravo e quanto è buono, ci sono solo due possibilità: o è un coglione o è un coglione.
Tenendo conto dei nomi che ti ho fatto...
Saviano, però, non mi sembra che abbia raccontato quanto è buono e quanto è bravo. Ci ha spiegato quanto fa schifo la mafia e su questo mi sembra ci sia poco da dissentire. È anche pieno di critiche, non è paragonabile ad altri influencer che, se qualcuno si permette di dirgli qualcosa, ti bloccano nei commenti.
Hai parlato di «processo politico».
Mi sembra evidente che la strumentalizzazione mediatico-politica sia andata ben oltre gli affari nostri. Sono stato condannato, ma anche al minimo della pena. Il reato va dai 4 ai 12 anni. Sotto non si poteva scendere, ma sopra si poteva salire di parecchio. Non mi sembra proprio una notizia da prime pagine dei giornali. Abbiamo avuto un presidente del consiglio condannato a 4 anni, solo che in quel periodo si parlava di altro…
Ma com’è che Morgan, non ancora condannato, ha perso tutto e nessuno lo ha difeso?
Quello che ci stanno facendo pagare con ferocia è che ci siamo sempre dichiarati innocenti, e io continuo a farlo. Se avessi scritto un post vestito di rosa chiedendo scusa, probabilmente oggi sarei una star.
Quindi non prendi le distanze dal caso di Morgan?
No, perché l’ipocrisia e la follia di aver tolto tutti i lavori a Morgan lo pagheremo a caro prezzo. Morgan è un grandissimo artista, oltre a essere un grande intellettuale. Soprattutto gli ha tolto il lavoro una major che mantiene dei trapper condannati per vari reati. Dipende dal fatto che c’è in Italia una forma di ostracismo fascista, per cui alcuni reati sono più gravi di altri, e perdersi un musicista come Morgan per una roba del genere è di una gravità e una volgarità assoluta. Quando si colpiscono le persone, invece che le figure, è fascismo.
Per cui bisognerebbe dividere le colpe individuali dai meriti pubblici?
Magari adesso anche Chiara Valerio non mi chiamerà più, chi lo sa. Comunque, io all’università invitavo gli ex detenuti condannati per reati gravissimi per raccontare le loro storie perché penso che il diritto di parola non vada tolto a nessuno, nemmeno a chi è dietro le sbarre. Credo che un paese in cui si censura qualcuno per degli errori, o presunti tali, sia un paese che ha perso qualsiasi grado di civiltà. Che riguardi me, Morgan o chiunque altro. Non dimentichiamo che la Costituzione sostiene che le pene non sono afflittive ma rieducative, che ci vuole libera arte in libero stato. Se dovessi dirigere un festival, non avrei difficoltà a invitare Morgan, Carlotta Vagnoli, Selvaggia Lucarelli, Cathy La Torre. Io voglio stare con chi non la pensa come me. Se il pubblico è uguale a chi parla, non c’è spettacolo.
Hai dichiarato dopo la sentenza: «Hanno colpito me per educarne mille». Ricorda il motto di Mao Zedong. È in corso una Rivoluzione culturale?
Non è una rivoluzione culturale perché gli italiani hanno la memoria corta. Quello che sta succedendo con il femminismo contro i maschi è già successo tra quelli contro la casta anni fa da parte del Movimento 5 Stelle e la classe politica. Dopo quella spinta si è affievolita. Come negli anni ‘70 con Potere operaio, Lotta continua e altri, quando nessuno poteva più dire niente di diverso. Alla fine la loro violenza li ha portati allo sfacelo. Noi siamo all’interno di una curva gaussiana, nella sua impennata, quindi aspettiamoci il primo gesto violento. E lo faranno.
Sei convinto che nell’ambito del femminismo qualcuno potrebbe compiere un atto violento?
Ricordiamoci che pochi giorni fa l’avvocato di Filippo Turetta ha ricevuto dei bossoli, che è lo stesso metodo delle Brigate rosse.
Non è un po’ troppo apocalittico come scenario, partendo dal tuo caso?
No, perché la volta che vado per strada e qualcuno mi gambizza, io divento un martire e loro finiscono. Ed è un peccato, perché il pensiero femminista è un pensiero interessante, importante, rivoluzionario, ma serve a riequilibrare le forze. Non a distruggerne una sull’altra.
Descrivi una escalation che sembra andare in parallelo al caso di Luigi Mangione, incriminato per l’omicidio del Ceo dell’assicurazione sanitaria UnitedHealthcare, che pare sia stato ispirato dal terrorista anarchico americano Theodore “Unabomber” Kaczynski.
Su “Unabomber” ci ho scritto il libro Quattro capanne ed è stato per anni un mio corso all’università. A parte questo, io sono contrario a uccidere la gente. Anche per legittima difesa. Nello stesso modo non è che non mangio animali perché mi stanno simpatiche le mucche. Trovo aberrante il togliere la vita. Le idee sono un’altra cosa. Il libro di “Unabomber” sono convinto sia un libro bellissimo, ma che le uccisioni di “Unabomber” siano sbagliate. Non ho letto il manifesto di Luigi Mangione e magari, intellettualmente, potrei anche apprezzarlo. Ridere della morte di un uomo, invece, mi sembra un problema.
Ci dobbiamo aspettare anche un libro-manifesto di Leonardo Caffo?
Mettiamola così. Io adesso sono purtroppo molto esposto e se mettessi una scoreggia su Instagram, domani la riprenderebbero tutti i giornali. Potrei pubblicare il mio manifesto programmatico dove dico le peggio cose, ma perché non lo faccio? Ripeto: il problema non è che manchino le bocche per parlare in questo paese, ma che mancano le orecchie per ascoltare.
Se dovessi essere condannato in appello?
In questo momento potrei decidere per il patteggiamento. Per una ragione: la vita è breve e troppo bella per passarla a combattere. E io la battaglia per mia figlia l’ho già persa. Quindi potrei decidere di chiudere la questione prima del previsto. Non è una certezza, ci sto pensando con i miei legali. Devo leggere prima le motivazioni della sentenza. Ma io sono pur sempre un filosofo, quindi non credo che la verità giuridica e la verità morale coincidano.
Se invece verrai assolto?
Non crederò comunque che la verità giuridica e la verità morale coincidano. C’è chi ha bevuto la cicuta, io invece berrei al massimo della cicoria.
Sai che queste tue risposte ironiche sono state stigmatizzate dallo scrittore Ottavio Cappellani su MOW, ma anche considerate dal pubblico ministero un comportamento "volto a pulire la propria immagine continuando a screditare la parte offesa"?
Mi verrebbe da rispondere così. Cosa volete da me? Siete voi che mi avete fatto diventare famoso. Io stavo solo tagliando le zucchine.
Una risposta zen come quella che ti diede il tuo maestro: «Se sei fuori non sei dentro».
Esatto, e ha ragione! Tu oggi sei venuto a casa mia, alle 15 vado a un appuntamento con un editore che vorrebbe che continuassi a scrivere. La mia vita è piuttosto normale. Cercherò di raccogliere i soldi che servono per andare avanti e… Sai, Pasolini raccontava, visto che ogni giorno i giornali parlavano male di lui, che l’unica sua reazione era quella di passare lontano dalle edicole e continuare a lavorare. Ecco, io non posso passare lontano dalle edicole perché ci sono i social, ma di certo non mi metterò tutto il giorno a googlare il mio nome per conoscere quello che dicono sul mio conto.
«Se ho sbagliato, smetterò di arrecare ogni disturbo». Questa tua frase è stata interpretata come la minaccia di toglierti la vita in caso di condanna.
Sì, lo capisco. Ci doveva essere l’ambiguità. Io sono un grande fan delle scomparse. Ho scritto tanto sul più grande catanese di tutti i tempi, Ettore Majorana e la sua scomparsa. Intendevo dire che, se a un certo punto si arriverà a un verdetto di condanna, io smetterò di fare questo lavoro. Se invece si troverà un accordo per uscirne con delicatezza o arriverà un’assoluzione, continuerò a fare quello che ho sempre fatto: scrivere per raccontare delle verità alternative. Ma ci tengo a uscire da questa lunga chiacchierata con te mettendo in luce la mia onestà. Se un mio amico fosse finito in questa situazione e mi avesse chiesto un consiglio, gli avrei detto la verità: tu ormai sei fottuto!
Pensi davvero di non avere un futuro?
Non è possibile riprendersi da una cosa del genere. Che importanza hanno assoluzioni o condanne, io sono finito. È tutto finito, per adesso.
Sulla Porta Ferdinandea della tua Catania è scritto: “Melior de cinere surgo (Migliore dalle ceneri risorgo)”. Non ci credi più?
Certo che ci credo, ma migliorare non significa tornare a fare quello che facevi prima meglio di prima. Uno dei miei maestri, il grande filosofo Felice Cimatti, mi ha scritto dopo la sentenza: «Caro Leo, ieri è finita una parte della tua vita. Adesso ne inizia un’altra. Ti auguro che saprai essere luminoso come nella prima parte». Adesso il filosofo Leonardo Caffo non esiste più. Io adesso sono “il mostro”.