Più libri più liberi farà a meno della partecipazione di Leonardo Caffo, anarco-filosofo amichetto delle potentissime anarca-scrittrici Michela Murgia e Chiara Valerio. La polemica si è concentrata sulla seconda, ovviamente, perché è lei a curare la fiera del libro romana che avrebbe permesso a un innocente fino a prova contraria di fare il suo lavoro. Il problema, chiaramente, è che non puoi fare la talebana a giorni alterni, e se te la prendi con la destra allora anche il parente antispecista della grande famiglia queer egemone nel mondo culturale deve essere messo alla gogna. A perderci, tuttavia, è proprio la casa editrice. Perché tutti, come si usa fare nell’ambiente intellettuale italiano, parlano tra loro di altri e leggono pochissimo. Noi invece il saggio di Caffo, Anarchia. Il ritorno del pensiero selvaggio (Raffaello Cortina, 2024), lo abbiamo letto. Possiamo dirvi questo: la copertina non è male. Siamo stati, almeno noi, garantisti fino alla fine, ma non è bastato per apprezzare questo manifesto che parte da un presupposto suggestivo e corretto, “anarchia”, ma finisce malissimo con una citazione del giovane Che Guevara.
Che è un po’ come iniziare una playlist con Nick Cave e finirla con l’Inno di Mameli. La premessa di Caffo è buona e condivisibile: parlare e scrivere chiaramente, onde evitare di girare intorno alle virgole di una nota a pie’ di pagina di qualche miope francofilo heideggeriano; però non è molto originale (vi dice nulla Cartesio o, per qualche contemporaneista, William James?). La seconda premessa, nascosta nel catalogo di punti chiave necessari per poter proseguire nel libro è l’equazione: anarchia-uguale-socialismo. Che non è solamente sbagliata, ridicola in senso etimologico, ma contraddice tutte le altre. Con una mano Caffo ti dice che anarchica è quella società basata sui rapporti volontari, con l’altra mano ti infila quella che Bernard-Henri Lévy, quando ancora voleva provare a fare il filosofo, definì “barbarie dal volto umano”. Caffo arriva con venticinque anni di ritardo su Paolo Flores D’Arcais (L’individuo libertario, 1999), che a sua volta arrivò in ritardo di una ventina d’anni sui vari Toni Negri, Deleuze e Derrida – i riferimenti, per altro, proprio di Caffo – ma il risultato è lo stesso: contraffazione dell’anarchismo a favore delle proprie inclinazioni politiche naturali. In questo senso sono tutti un po’ anarchici, i comunisti, l’amica Murgia, magari anche Giorgia Soleri.
Caffo tributa onori e glorie non solo ai vecchi maestri francesi e italiani, il cosiddetto pensiero della differenza, ma anche alle moderne fissazioni intellettuali di certa intellighenzia ammanicata e arrivista, la stessa che parla di far cadere i muri tra le discipline specializzate dopo aver letto Bateson e Valéry (mai che si impegnassero pubblicamente a leggere un manuale universitario di biologia o di fisica, dimostrando davvero di avere una conoscenza a trecentosessanta gradi delle materie che vorrebbero mischiare). Un esempio su tutti è Tamara Tenembaum, migliore come allitterazione che come filosofa. Si parte da lei per decretare la fine delle relazioni tradizionali, della monogamia, e la necessità di “contro-condotte” come “scegliere con chi scopare” o con chi avere figli (cose che, a dire il vero, sono esattamente le attuali condotte socialmente accettate; il contrario si chiama stupro). Poi continua: “L’economia del capitalismo statalista non potrebbe decollare senza l’enorme massa dei lavoratori depauperati dell’industria familiare: pagano asili, frequentano i supermercati quotidianamente, sono imbottiti di pannolini, si ammazzano per far arrivare a fine mese mogli, figli, mariti e l’estate spenderanno tutto ciò che hanno per una settimana al villaggio turistico nel pieno rispetto delle sacre leggi dello Stato”. C’è da chiedersi se Caffo, a questo punto, immagini l’anarchia coma una società senza supermercati, asili e pannolini. È quel che viene fuori, Caffo è un filosofo senza pannolino, senza supermercato e senza asilo nido. Che pensa irrealisticamente per pubblicare, realisticamente, e guadagnare, speranzosamente. Gli hanno tolto la sedia di PlPl da sotto il sedere nel più grande gioco della sedia della seconda Repubblica dopo la politica. Ma la musica non è finita e auguriamo al libro, per quanto pessimo, lunga vita.