Proviamo a ragionare: in una qualsiasi società di qualunque settore, se c’è un responsabile che sbaglia in modo netto, ammettendo le sue colpe e provocando un danno di immagine, chi ha commesso l’errore fa un passo indietro, chiede nuovamente scusa e cerca di lavorare più duramente di prima. La richiesta di dimissioni di Chiara Valerio non è figlia di un desiderio rivoluzionario, di ghigliottine da fine ancien régime. È una richiesta opportuna da parte di chi pensa che non possa essere al suo posto chi invita un imputato per maltrattamenti nell’edizione – come quella dell’anno precedente – dedicata a Giulia Cecchettin. Il dato sostanziale che non sembra però essere messo a fuoco da chi prova a fare benaltrismo su questo fatto è che Valerio è persona intelligente, estremamente intelligente, «sa Diego Bianchi noi i libri li leggiamo, ci costa tanta fatica ma ancora li leggiamo», e quindi non possiamo parlare di errore che può accadere, come minimizza chi non è in grado di prendere una posizione netta. Un errore è sbagliare il programma di un festival perché non si è riusciti a farlo con i tempi, gli autori e le autrici giuste, un errore può essere di tipo organizzativo, ma la natura dell’errore deriva dalla buona fede e da una impossibilità di prevederne le conseguenze. Perché a chi sbaglia si deve sempre poter dire “non potevi sapere, ci hai provato ed è andata male”, un po’ come abbiamo pensato quando, da direttrice di Tempo di Libri, Valerio ha organizzato una fiera i cui unici visitatori erano gli incubi degli editori che vedevano l’investimento fallire miseramente. Una fiera, per chi non lo sapesse, organizzata dai principali gruppi milanesi in antitesi al Salone del libro, i “cattivi” insomma. E quindi, data l’esperienza navigata, come è possibile che Valerio non si aspettasse una reazione quando per anni ha fatto morali, proclami, venduto libri, attaccato politici e figli dei politici, per poi, al momento di fare la cosa giusta, di dire “no, Caffo (o chi per lui) non lo invito perché crediamo alle sorelle e non al primo maschio bianco etero amico mio”, ha totalmente tralasciato questo sentimento che a tutti i suoi lettori e credo soprattutto alle sue lettrici sembrava del tutto scontato? Non ha sbagliato, ha voluto invitare Caffo, ha voluto andare contro questa situazione che certamente si aspettava, perché Valerio è persona intelligente, ma non si aspettava la proporzione, non si aspettava le rinunce, le sottrazioni, non pensava forse che le persone ragionassero con una loro testa e che fossero capaci di discernere, ancora, tra errore e arroganza.
Forse siamo inclini a pensare che se si fosse dimessa Valerio il discorso sarebbe continuato allo stesso modo, e certo questo sarebbe stata più di una prospettiva plausibile, forse una possibilità concreta dato lo stato attuale della cultura italiana. Ma è certamente sicuro che questa indolenza alla lotta sia la pratica peggiore da attuare, e cioè essere rassegnati a un sistema culturale e pensare che nulla possa migliorare. È una scorciatoia. Invece bisogna chiedere a Valerio di fare un passo indietro e provare a raccontare una nuova idea di cultura. E se domani ci sarà un altro caso Valerio, se un domani quell’errore lo farà chiunque altro, ci dovrà essere ancora qualcuno a chiedere che chi ha sbagliato faccia un passo indietro e così ogni volta che la politica si dimenticherà delle persone, delle donne e della coerenza intellettuale necessaria per questo genere di ruoli. Ad oggi sappiamo che Aie ha fatto quadrato attorno a Valerio, l’ha protetta, ammesso che fossero sul tavolo, ha rifiutato le dimissioni della direttrice artistica o non le ha pretese fino in fondo ed è quindi ormai connivente in tutto e per tutto. Agli espositori vengono mandate mail in cui si definiscono le polemiche “fastidiose”, come in un qualsiasi regime autoritario che mal sopporta il dissenso. Il dato da raccogliere però è prezioso: il potere protegge il potere, e Aie e Valerio si stanno proteggendo a spada tratta e non è pensabile, a questo punto, immaginare un cambio di rotta. Se a chi gestisce il potere non si può chiedere quindi uno scatto, è necessario che a farlo siano gli attori del settore editoriale, le case editrici. Smettere di legittimare questo evento che ormai da anni ha evidentemente deciso da che parte stare, dalla parte degli editori blasonati e ricchi, rendendo Più Libri sempre più un Salone di Torino cacio e pepe, significa imporre un cambiamento, riattivare una pratica conflittuale a cui questo mondo non è più abituato da tempo. Credo sia chiaro ed evidente a tutti che l’unico modo per farsi sentire e per pensare di cambiare un minimo le cose sia staccare la spina a questo modello.
Non si vuole qui affrontare anche il problema relativo alle date della fiera che a detta dei librai romani sono deleterie per il loro fatturato di dicembre che, ormai è noto, di solito salva o condanna tantissime librerie ogni anno. Quello che però è indicativo è il metodo che Aie utilizza in questi casi di conflitto: un anno fa è stata organizzata una call con tutti gli editori che hanno partecipato alla fiera, Aie ha proposto di cambiare date, gli editori hanno negato la possibilità e tutto è finito lì. Si direbbe che è più una presa in giro che altro, e invece erano tutti lì a pulirsi la coscienza con una call farsa. Call che è stata nuovamente proposta oggi che alcuni editori si sono permessi di fare delle polemiche “fastidiose”. Tutto questo per dire che il problema non è soltanto Chiara Valerio, non è la persona, il problema è di contesto e di atteggiamenti, di rapporti e legami che sembrano ormai indissolubili e che per interromperli o quanto meno per indebolirli non è più possibile usare le mezze misure, bisogna invece staccarsi dal gioco, delegittimare, lasciare lo spazio della fiera vuoto per riempirne un altro che sia sostenibile per gli editori, scevro da direzioni artistiche, e, possibilmente, da una comunicazione imbarazzante.