Al Bobbio Film Festival abbiamo intervistato il saggista e critico cinematografico Anton Giulio Mancino, autore di diversi testi dedicati ai più grandi nomi della settima arte, per citarne alcuni, Francesco Rosi, John Wayne e Giancarlo Giannini. Mancino negli anni si è concentrato sul film politico-indiziario italiano, a partire dal suo libro del 2008 Il processo della verità - Le radici del film politico indiziario e ha studiato e approfondito il legame che c'è tra il cinema e il caso Moro. Quel terribile momento che ha sporcato di sangue la cronaca e la storia del Paese si è addentrato nei luoghi del cinema e ha interessato diversi autori, primo fra tutti Marco Bellocchio. “A partire da Enrico IV, ho notato, secondo una mia interpretazione particolare, che Bellocchio pone un'enfasi significativa sul caso Moro, non solo nei film direttamente collegati a questo evento”. Mancino durante le sue lezioni al seminario di critica cinematografica insegna ai suoi giovani studenti la potenza della perseveranza ma anche l'accettazione delle nostre, tante fragilità. Come ci ha più spesso ripetuto, è importante guardare alle cose in modo diverso e pensare oggi, nel 2024, a una nuova idea di critica cinematografica, non serva dell’opera ma capace di essere essa stessa opera a sé stante. “La critica dovrebbe misurarsi con l’opera di cui si occupa, come due oggetti distinti ma consecutivi”. Con la sensibilità di chi sa fare questo mestiere senza presunzione ma si mette costantemente in una posizione di “apertura” verso altre, molte conoscenze, Mancino ci ha detto cosa ne pensa dell'intelligenza artificiale e di alcuni film in concorso e fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia...
Anton Giulio lei è un saggista e docente universitario. Ha realizzato ll processo della verità – Le radici del film politico-indiziario italiano e Schermi d'inchiesta - Gli autori del film politico-indiziario italiano, con un chiaro legame tra la settima arte e la dimensione politica e sociale. Oggi nel 2024 nei film che escono in sala pensa che questa attenzione si sia persa?
Credo di sì. L'anno scorso è uscito al cinema Il caso Goldman, che può essere considerato a tutti gli effetti un film politico indiziario. In altre parole, un tipo di film che fa delle considerazioni di natura politica e raggiunge una verità politica per via indiziaria. Non sostituisce il processo giudiziario, bensì conduce un processo di tipo intellettuale, affidandosi all'intelligenza dello spettatore. Quest'ultimo raccoglie gli indizi, presentati secondo la formula “gravi, precisi e concordanti”, e si fa un'idea, che non fa male a nessuno.
Ha scritto La recita della storia - Il caso Moro nel cinema di Bellocchio. Cosa la affascina di questa storia e dei suoi rimandi nel cinema di Bellocchio?
Inizialmente avevo pianificato di esplorare i nuclei tematici legati a figure eminenti nella cinematografia di Bellocchio, come Mussolini, Pirandello e Dostoevskij. Tuttavia, ho notato che, a partire da Enrico IV, Bellocchio sembrava focalizzarsi in maniera consistente sul caso Moro, non solo nei film direttamente connessi al caso stesso. Per questo motivo, ho deciso di concentrare la mia analisi su questo evento di cronaca, il che ha dato vita a un testo piuttosto ampio e dettagliato. Inoltre, ho avuto modo di approfondire Bellocchio e Pirandello in un altro libro, Pagine girate: Nuovo cinema Pirandello, in cui ovviamente si esplora anche il contributo di Bellocchio.
Come ha reagito quando ha visto la scena in cui Aldo Moro (Fabrizio Gifuni) porta la croce in Buongiorno, notte di Bellocchio?
In realtà, Fabrizio Gifuni, che interpreta Aldo Moro con la croce addosso, era già stato Moro nel film Romanzo di una strage di Marco Tullio Giordana. In una scena ambientata in chiesa, Moro dice: “Se servirà una figura sacrificale, sarà la mia”. Giordana ritrae un Moro già quasi consapevole del suo destino, e questo elemento Marco Bellocchio lo eredita. Poi c’è da dire anche che Francesca Calvelli, montautrice di molti film di Bellocchio, oltre che sua compagna, ha montato entrambi i film, quello di Giordana e quello di Bellocchio. Quindi c'è una sorta di stima e di collegamento artistico molto intenso. Comunque va detto anche che Bellocchio interpreta Aldo Moro come simbolo di un sentimento collettivo di colpa. Moro non è solo la persona santificata e monumentalizzata dopo la sua morte, ma anche un politico abilissimo che ha gestito con maestria le dinamiche del centrosinistra e delle correnti democristiane. A tal proposito, c'è un interessante libro di Aniello Coppola su Aldo Moro che analizza il “Moro vivo” e non solo il “Moro morto”, cioè la figura di Moro oltre la sua tragica e ingiusta fine. C’è stato questo senso di colpa collettivo verso una vittima sacrificale e Marco Bellocchio con questa immagine della croce un po' la incarna.
Come potremmo allora definire le immagini del Maestro?
Le immagini di Bellocchio sono interiori, esattamente come le definiva Massimo Fagioli. Non sono immagini realistiche, sono proprio immagini interiori anche quando hanno un'apparenza realistica, partono da dentro.
A proposito di Bellocchio, lei si occupa da diverso tempo del seminario dedicato alla critica cinematografica al festival di Bobbio. Come ha giustamente detto è uno dei pochissimi festival a occuparsi ancora della critica, perché? Oggi la critica cinematografica non funziona più?
Ma forse si può dire che sia quasi estinta. Oggi il critico non ha più un'influenza significativa sul destino di un’opera cinematografica, e questa può essere un'ottima occasione per ripensare la funzione della critica stessa. Se il potere che un tempo la critica deteneva si dissolve, diventa anche più facile rivedere questa cosa. La critica, oggi, può ripensarsi come possibilità intelligente di afferrare la realtà nelle sue sfaccettature che sono già audiovisive. Possiamo provare a costruire un'idea nuova di critica, in opposizione a quella del potere o alla presunzione di sapere di più. La critica come responsabilità, proprio come la croce di Aldo Moro, portarsi addosso la croce di essere comunque anche sbeffeggiati, si può provare a costruire una critica su basi nuove. Marco proviene da una generazione che ha avuto un rapporto più leale con la critica, pur tra molte ingiustizie. All’epoca, molti critici erano degli intellettuali, mentre oggi le carriere sono separate. Oggi gli intellettuali parlano di tutto, ma non li vedi sostenere con la stessa autorevolezza diversi ambiti di scrittura. Qui a Bobbio, in un luogo dove si può provare a capire che la critica è educazione, scuola, festival, insomma, un sapere che non deve necessariamente sfociare in un giudizio lapidario su questo o quel film.
Cosa ne pensa dell'annosa questione: intelligenza artificiale e cinema?
Io penso che l’intelligenza sia una grande scusa. Ne stiamo parlando ampiamente da uno, massimo due anni. È un'espressione in uso da tanto ma credo ci sia stata una certa accellerazione da poco, quasi a voler giustificare qualcosa che già succede. L'intelligenza artificiale è un prodotto umano. Io credo molto nella "demenza naturale". Per risolvere i problemi serve una buona dose di demenza naturale, ovvero, il non capire le cose, può aiutarti a gestire situazioni incomprensibili, invece lo schematismo determinato dall’uomo come in 2001: Odissea nello spazio la macchina dice all'uomo "Se io sono difettoso, allora significa che anche tu lo sei", non esiste una separazione delle carriere neanche qua. Per cui se il cinema vuole essere stupido, che lo sia, ma non attribuisca la colpa all'intelligenza artificiale. Se si vogliono fare le cose in modo schematico, come già accade, si facciano senza dare la responsabilità a dei software.
Venezia 81. Tanti i film italiani in concorso. “Diva futura” di Giulia Louise, “Iddu” di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, “Campo di battaglia” di Gianni Amelio. Tre storie che guardano indietro nel tempo, ai personaggi che hanno segnato nel bene e nel male la storia italiana, ma non è che in Italia siamo diventati nostalgici?
La storia è sempre una maestra di vita. Sono film che credo guardino al passato con uno sguardo rivolto al presente; nessun film a tema storico ha l'intento di essere una semplice fotografia di ciò che è accaduto. Un film nasce da esigenze del presente, e le risposte a queste domande possono provenire dal passato sempre rappresentate in maniera emblematica. Sono sicuro che questo discorso valga per tutti e tre questi film.
A Venezia saranno presentati una serie su Mussolini e un film su Matteo Messina Denaro. Perché si parla sempre così tanto dei personaggi estremamente negativi della nostra storia?
Si dice sempre che i personaggi più controversi, che abbiano avuto complessità e conflitti, siano più interessanti e ricchi di elementi drammaturgici, con azioni e tensioni che rendono la narrazione più coinvolgente. Effettivamente è molto difficile raccontare personaggi di una positività quotidiana. Tuttavia, anche la quotidianità positiva, con le sue piccole difficoltà, può offrire spunti narrativi significativi. Molti lavori e molte storie quotidiane, che potrebbero sembrare poco cinematografici o drammaturgici, spesso sono trascurati, eppure hanno molto da raccontare. Il neorealismo è stato una grande rivoluzione proprio perché dava voce alla gente comune. Oggi, sembra che le storie debbano ruotare attorno a figure estreme, come criminali o mafiosi, mentre ci sono anche figure quotidiane che meritano attenzione, come il gelataio palermitano che apre e chiude la sua bottega, per fare un esempio casuale.
Quest'anno abbiamo visto diversi film e alcune serie tv realizzate in pellicola. Nuova moda?
Quando c'è un'evoluzione tecnologica, bisognerebbe conservare anche i passaggi precedenti, poiché offrono caratteristiche uniche. Ricordo un film di Romer girato in pellicola che, quando convertito al digitale, ha mantenuto quella particolare patina visiva quasi da tela di un quadro. L'immagine su pellicola ha una qualità diversa, quindi perché non far coesistere le due cose? Perché una sala oggi non dovrebbe avere anche un proiettore per pellicola? Alcuni autori desiderano mantenere il tipo di immagine che solo la pellicola può offrire, con la sua definizione e qualità particolare che il digitale non riesce a replicare. Speriamo che queste preferenze non rimangano delle eccezioni rare, ma che si possa continuare a utilizzare entrambe le tecnologie, integrandole piuttosto che sostituendole.
Sempre a proposito di trend. Dal 2022 sempre più attori e attrici si stanno cimentando nella regia cinematografica. Segnale positivo o c'è il rischio che le nuove generazioni di registi/e vengano penalizzati?
Gli attori che hanno poi diretto se stessi o gli altri ci sono sempre stati. È giusto che un attore voglia difendere il proprio ruolo stando anche dietro la macchina da presa? Sarebbe giusto che questa esigenza nascesse da un vero e proprio mal di pancia, da un'esigenza di esprimersi. Sono d'accordo che oggi ci sia una tendenza. Penso che molti attori e attrici hanno già intrapreso questo percorso e, con il tempo, sarà interessante vedere se questa moda continuerà o se sarà solo una fase passeggera. Se è una tendenza non è interessante. Non sono nemmeno sicuro che sia economicamente vantaggioso, e spesso, quando qualcosa diventa una tendenza, perde di interesse e si esaurisce.