Essere multidisciplinari, talentuosi, attaccati a un mondo che ancora (ahinoi) non esiste in cui l’alterità viene magicamente abbattuta in favore di una identità diversa e uguale assieme, in cui nessuno deve essere incluso perché si è già tutti quanti dentro lo stesso perimetro, e, ancora, raccontare il cinema con lo sguardo affamato di un ragazzo, tutto questo è Pier Giorgio Bellocchio. Il produttore e attore (ma anche ex operatore di macchina) ci ha concesso un’intervista nella città che ha dato i natali a suo padre Marco Bellocchio, Bobbio, in cui diversi suoi film sembrano ancora oggi respirare l'aria fresca del Trebbia e dove ogni anno si festeggia il cinema con il Bobbio Film Festival. Ma cosa ne penserà Pier Giorgio Bellocchio dei tanti film italiani che negli ultimi anni preferiscono volgere lo sguardo sempre più indietro nel tempo anziché dedicarsi alla stringente attualità? Cosa c’è, se c’è, che fa male o non interessa della nostra vita reale agli autori che vanno a cercare negli anni e nelle vite che ci precedono storie del passato da riportare in vita sul grande schermo nel 2024? “Penso che l’attualità oggi non appartenga alla classe dominante degli scrittori, perché la vedono con distacco, non ne riescono a parlare”. E sul film La guerra del Tiburtino III da lui prodotto con Mompracem, la casa di produzione nata dall’incontro tra i registi Antonio e Marco Manetti, i Manetti bros., il produttore Carlo Macchitella a cui si è unito a seguire Pier Giorgio Bellocchio e la società tedesca Beta Film… Ecco l’intervista esclusiva a Pier Giorgio Bellocchio
Hai lavorato come attore, regista e produttore. In un'intervista hai detto: “Questo è un Paese che premia lo specialista”...
Infatti, non mi ha premiato (ride, ndr). Ho svolto vari lavori nel mondo del cinema, tra cui l’operatore di macchina, per mia natura e passione.
Quanto è importante mantenere un approccio multidisciplinare in questo ambito?
Dipende da te. Quello che noto è che il percorso multidisciplinare in sé non è che non premi, ma premia di più andando avanti nel tempo. La multidisciplinarietà in Italia ha bisogno di essere supportata da una credibilità data dalla maturità, da una vita vissuta. Della serie: 'Sai fare tante cose perché hai passato trent'anni nel mondo del cinema? Allora può darsi che sai recitare, produrre un film e fare tutte queste cose bene'. Quando sei più giovane invece, la multidisciplinarietà viene vista più come una forma di costante distrazione, come a dire “faccio male tante cose”. Eppure io posso affermare che, ad esempio, ho sempre cercato di dare il massimo in ogni cosa che facevo e continuo a fare oggi. Poi con il passare degli anni, è naturale circoscrivere e quindi anche a comprendere meglio quali siano le tue passioni principali. Ora, la mia vita si assesta tra recitare e produrre. Poi, chissà.
Al centro del film La guerra del Tiburtino III che hai prodotto con Mompracem ci sono degli alieni che atterrano e invadono la periferia romana. Pensi che in Italia ci sia spazio per un cinema che mescola sci-fi e commedia?
Lo spazio c'è perché alla fine siamo riusciti a produrlo. Il problema non è tanto se esista spazio per realizzare questo genere di film, quanto piuttosto la difficoltà del mercato e della distribuzione in Italia di riuscire a lavorare sui film che non hanno determinati requisiti di estrema riconoscibilità. Affermarne uno che propone un genere meno convenzionale può essere un po' più complesso. Detto questo però credo che ci siano spazio e possibilità, ma è fondamentale avere un buon rapporto con la realtà e le dinamiche del mercato.
La regista del film Luna Gualano vede l'alieno come una rappresentazione dell'altro, di ciò che è estraneo e diverso da noi. E per Pier Giorgio Bellocchio invece che cos'è l'alterità?
Luna, nei suoi lavori, compreso il film precedente, esplora spesso sia il concetto di alterità che di inclusività. Personalmente, trovo che sia quasi un peccato che questo tema venga considerato effettivamente "un tema". Se stiamo qui a parlarne vuol dire che c'è un problema su questo argomento. In una società moderna e contemporanea, 'l'altro' non dovrebbe essere più un tema.
In una recente intervista hai detto “è difficile trovare serie tv che parlino dell’oggi, ambientate nel 2024, questa è la vera sfida”. Spostiamo lo sguardo sui film italiani in concorso e fuori concorso a Venezia 81, “Diva futura” di Giulia Louise, “Iddu” di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, “Campo di battaglia” di Gianni Amelio. Tutti e tre portano sul grande schermo personaggi e storie del passato. Ma l'attualità, l’oggi non attrae? Perché?
Molti bravi sceneggiatori hanno un'età media compresa tra i 35 e i 60 anni, e non sono nativi digitali. Sono nati in un'epoca analogica e hanno sviluppato una capacità di scrivere storie che è slegata dall'attualità, dagli strumenti di comunicazione attuali. Ogni volta che provo a riportare una storia del passato al 2024, incontro difficoltà, perché spesso mi viene detto che non è possibile. Tuttavia, se facessi la stessa domanda a uno scrittore di 16 anni, nato con il telefono in mano, probabilmente mi risponderebbe che è fattibile. Credo che ci sia una difficoltà in questo senso. Penso che l’attualità oggi non appartenga alla classe dominante degli scrittori, perché la vedono con distacco e non riescono a parlarne.
In una recente conversazione hai raccontato che è sempre bene specificare e prendere le distanze dalla rappresentazione che fa Boris dell’industria del cinema e della televisione. Perché?
Boris è sicuramente una delle idee più originali e azzeccate di questo secolo, e su questo non ci sono dubbi. Tuttavia, a volte sembra che abbia cercato di ripetersi. Rappresenta un modello del nostro mondo che è stato interpretato come qualcosa che ha un'attinenza con la realtà che a dire il vero non possiede. Sono tutte caricature estremamente forzate in una realtà che esiste ma non in quei termini lì. È ovvio che Boris è una parodia totale di un potenziale set televisivo, funziona alla grande finché non viene scambiata per una rappresentazione fedele.
Al Bobbio Film Festival avete deciso di dedicare tutta la programmazione alle registe donne. Pensi che la cinematografia femminile italiana riceva poca visibilità?
Questa scelta è stata influenzata da un'annata particolarmente ricca di lavori di registe donne di alto livello. Quando abbiamo iniziato a pensare alla programmazione, ci è sembrato naturale seguire questa direzione, anche perché non l'avevamo mai fatto in passato. Così è nato Plurale Femminile, un'opportunità per mettere in luce il talento delle registe e riflettere ciò che il mercato ci ha offerto.
Hai lavorato in diversi film al fianco di tuo padre Marco Bellocchio, dove risiede oggi lo sguardo del suo cinema, il suo insegnamento, nei film che produci o nei ruoli che interpreti?
Il senso della misura. Quella sua innata volontà di mantenere un certo equilibrio e di evitare di far uscire fuori un lavoro di maniera. La sua costante capacità di prendere in mano la situazione e mantenere il controllo è cosa rara, perché molti registi tendono a farsi influenzare troppo dagli attori, perdendo un po' di lucidità. È normale che, nel lavoro dell'attore, ci sia una dose di narcisismo, e avere qualcuno che ti dice sempre "bravo" mentre ti specchi può influenzare. Lavorare con Marco però mi ha dato questa consapevolezza e negli ultimi vent'anni, ho notato che gli attori che sono passati per le sue mani ne sono usciti diversi, cresciuti.
Qual è il consiglio che daresti a un giovane esordiente nel mondo del cinema per non scoraggiarsi?
È una situazione complicata e difficile, soprattutto per chi non vive a Roma, che è il centro del cinema italiano. Tentare di entrare nel settore da fuori è davvero impegnativo. La chiave è cercare ogni possibile opportunità e spazio per farsi notare. Quando riesci a ottenere anche solo una piccola chance, è importante tenere duro e continuare a lottare.
C’è stato un film che ha segnato la tua carriera?
In realtà, non ho mai avuto una folgorazione specifica. Potrei citare Blade Runner, ma sarebbe impreciso, così come Rocky, Rambo, Orson Welles, Hitchcock o Antonioni. Non esiste "il film" che ha fatto la differenza per me. Sono cresciuto immerso in un vasto e complesso panorama cinematografico e ho visto molti film. Tuttavia, quello che mi appassiona più di guardare i film è realizzarli. Preferisco concentrarmi sul fare piuttosto che sul guardare ciò che faccio.