Il regista Luca Guadagnino – che a breve porterà nelle sale il suo ultimo film, Queer, con Daniel Craig – alla Scuola Holden di Torino ha parlato chiaro: essere un bravo regista non significa essere un bravo sceneggiatore. Punto. Tutto giusto. Nessun errore. Anzi, azzarderemo anche il contrario. Essere un bravo sceneggiatore non significa essere un bravo regista. Pensiamo ai vari sodalizi Fellini e Flaiano, Antonioni e Guerra, Iñárritu e Arriaga. Coppie che hanno scritto e diretto capolavori assoluti, e che forse non sarebbero mai esistiti se tutto fosse dipeso da una sola testa, una sola visione, un solo io. Perché il rischio, quando un regista si lascia prendere dal flusso della propria immaginazione o da un sentimento trascinante ma senza un reale supporto narrativo, è quello di smarrirsi. E il risultato, sullo schermo, può tradursi facilmente in un flop. Per questo serve uno sguardo esterno. Anzi, consapevole. Qualcuno che sappia dire, senza troppi giri di parole, cosa funziona e cosa no. E mettere a posto la fantasia tra le parole. Guadagnino che dal 2009 non scrive più i suoi film, lo sa bene. Su La Stampa, leggiamo la sua dichiarazione: “Quando mi viene proposto un copione e, leggendolo, mi scatta in testa di visualizzarlo, capisco che quel film non lo devo fare. Perché se una sceneggiatura ti suggerisce il linguaggio audiovisivo, significa che tutto è conchiuso nella pagina, e questo nel cinema è un peccato mortale”.
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E il cinema italiano, in tutto questo com'è messo? Non bene. Di idee nuove ne girano poche, di storie strutturate ancora meno. Guadagnino: “Nel cinema italiano tutti si scrivono i film: sono forse tutti autori? E Hitchcock, che non si è mai sceneggiato un solo film? Lascia dunque lo script a chi è capace di scriverlo, e poi con quello girerai il tuo film. Quanti registi sono pessimi sceneggiatori, quando però traducono in narrazione visiva la parola scritta, diventano grandi autori e girano grandi film?”. In effetti, basta poco. Guardiamo i titoli usciti negli ultimi anni: biopic, romanzi adattati, eventi storici rielaborati. Il coraggio di osare? Quasi inesistente. Ma, come dice il regista di Bones and All, il futuro è nei pensieri degli emergenti. Sono loro a sperimentare, ad andare davvero da qualche parte. Attraversando terre che non si conoscono. Lo dimostrano film come Familia di Costabile, L’albero di Sara Petraglia e il nuovo lavoro di Tortorici, Diciannove, in uscita la prossima settimana con la produzione dello stesso Guadagnino. Perché, parole sue, “I film dei giovani registi devono essere dei prototipi. È da lì che passa il futuro del cinema”. E noi, in sala, in questi mesi, lo abbiamo notato e ve lo abbiamo detto (e abbiamo creato anche una rubrica dedicata al cinema emergente, che trovate qui).
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