La moda non è sorella della morte. Finisce l’era della marginalizzazione e del confinamento (un po’ dettato da snobistica gelosia di status a sua volta forse determinato da malcelata sensazione di inferiorità rispetto alle altre arti): anche per l’alta moda è giunto il tempo di aprirsi al dialogo con altre arti, non solo in ottica pubblicitaria o sloganistica, ma a partire dalla ideazione di un progetto, dal suo inizio, dalla ispirazione e poi creazione di opere che divengono abiti da passerella e da sfilata. Nulla di nuovo in verità, anche se c’è chi, forse dimentico di una tradizione più che secolare, non sa o non ricorda che la grande sartoria europea nasce prima ancora che per le corti e per gli abiti delle grandi dame, per i vestiti di scena e i costumi dell’opera, del balletto e del teatro. Non a caso alcuni studiosi del settore propongono una storia del teatro proprio a partire dai costumi, proprio perché (come insegna Shakespeare) è nel mondo del teatro che sorge per la prima volta la problematica del “costume” e dello “stare in scena” dell’abito, elemento che doveva essere coerente con la trama dell’opera e armoniosamente capace di sposarsi con essa e di valorizzarla. Pensiamo al couturier Paul Poiret, ispirato dalle visioni dei balletti russi, che ideò costumi che incorporavano elementi orientali, densi di esotismo e lirismo. (Successivamente, durante la Belle Époque, il teatro e la moda hanno iniziato a dialogare in maniera più evidente, e Paul Poiret fu tra i pionieri che portarono la teatralità nelle collezioni di alta moda).
L’unione fa la forza, si potrebbe dire, ma c’è di più. La moda e la letteratura si alleano per restituire senso e pregnanza a una campagna firmata Prada, che sa di perfetto sodalizio tra alta sartoria, fotografia e letteratura contemporanea. Forse a qualcuno dispiacerà contraddire il Leopardi e il suo Zibaldone, ad altri no. Noi siamo tra quelli: la stagione primavera-estate 2025, dal titolo “«Acts Like Prada” scattata da Steven Meisel si iscrive in quel virtuoso percorso iniziato già, per la maison di alta moda italiana guidata da Miuccia Prada, con il progetto ‘The Miranda July hotline’, immaginato a quattro mani con la regista americana Miranda July. In quella ipotesi la casa di moda aveva invitato a chiamare un numero per ascoltare la July da remoto o utilizzando un telefono presente nelle boutique di alcune città. Il nuovo progetto invece, che accompagna l’uscita della nuova campagna estiva della casa di moda italiana, dal sottotitolo “Ten protagnists”, si è tradotto in una edizione limitata di libri d’arte contenente gli scatti del fotografo Meisel, i racconti della Moshfegh e le immagini dell’attrice/modella Mulligan con indosso i nuovi capi della collezione Prada che saranno presentati nelle più importanti capitali europee. Il tutto si presenta come una collaborazione tra la direzione creativa del brand, la scrittrice Ottessa Moshfegh, Carey Mulligan e Steven Meisel.
La Moshfegh, autrice acclamata e nota al grande pubblico per il romanzo Il mio anno di riposo e oblio, e particolarmente apprezzata per le sue capacità di raccontare in maniera inedita l’immaginario femminile, ha inventato e scritto dieci brevi racconti inediti, ispirato ognuno a un diverso personaggio di Prada interpretato da Mulligan. Il curatore dell’intero progetto, Ferdinando Verderi, dichiara che si tratta di “storie di donne, create da una donna, in cui la letteratura è lo strumento d’elezione per aggiungere profondità e significato, arricchire l’esperienza”. Se da una parte lo “storytelling” (termine abusato e divenuto caro al mondo e nel gergo pseudo-aziendalistico per identificare quel nucleo narrativo che deve sempre essere sotteso alla messa a punto e al lancio di un prodotto perché possa acquisire maggiore credibilità agli occhi dei consumatori) è divenuto appunto termine cacofonico e insopportabile se accostato alla dimensione propriamente artistica, dall’altro lato c’è da sperare invece che il ritorno alla vera arte del racconto continui a ispirare e a permeare gli stilisti di tutto il mondo. Che, in fondo, nessuna storia è una storia - e niente accade veramente - se non lo si può raccontare.