Paolo Conte, via con me, Vengo anch’io, Il tempo resterà e ora I magnifici 7, sui sette sold out a San Siro di Vasco Rossi. Questa è la musica, questo è il cinema di Giorgio Verdelli. Regista e soprattutto grande appassionato della canzone (ed ex disc jokey), che negli anni, grazie ai film di straordinario successo che ha realizzato è riuscito a racchiudere in ogni suo lavoro un pezzo d’Italia, un pezzo di vita e di musica. Noi lo abbiamo intervistato in occasione del debutto de I magnifici sette su Canale 5 e gli abbiamo chiesto com’è e se c’è oggi la libertà di dire quello che si pensa, di cantare quello che si vuole. Tra curiosità (lo sapevate che il sound engineer di Vasco è lo stesso di Ramazzotti?), aneddoti assurdi (come la telefonata a Vasco dopo la standing ovation a Venezia 80 per il docufilm su Jannacci), sodalizi artistici che forse oggi non possono più stare al mondo, ecco l’intervista a Giorgio Verdelli.
Giorgio Verdelli, ha diretto il documentario su Pino Daniele, Ezio Bosso, Enzo Jannacci, Paolo Conte e ora Vasco Rossi. La musica fa da filo conduttore. Cosa rappresenta per lei?
Io nasco come disc jockey, per cui senza la musica farei un altro lavoro. Ricordo un’intervista di James Brown molto divertente in cui diceva che senza musica avrebbe fatto probabilmente lo scassinatore di banche, l'ho anche fatto senza successo (ride, ndr). Scherzi a parte, per la mia generazione la musica non era soltanto la musica, ma un modo di essere, un anelito di libertà, questa peraltro è una delle chiavi del sucesso di Vasco Rossi. E poi, io ho la fortuna di raccontare praticamente solo artisti che amo molto. Credo sia questa la ragione per cui magari le cose che faccio mi vengono abbastanza bene.
In un’intervista a Il Foglio aveva detto che “Jannacci è entrato nell'immaginario collettivo nazionale. É ancora più attuale degli artisti attuali”. In che modo Jannacci, secondo lei, riesce a essere ancora più contemporaneo degli artisti di oggi?
Perché Jannacci era un deviante come lo è Vasco Rossi, motivo per cui Vasco era molto legato a Jannacci. Tra l'altro segnalo che Vasco ha fatto un’intervista su Jannacci con una disponibilità enorme per un artista come lui e questo fa capire quanto Vasco sia vero. Tornando alla domanda, la cosa che di Jannacci mi ha sempre colpito è questa sua leggerezza nel trattare cose pesanti, mescolando ironia e malinconia. Una cosa unica che ha solo lui, qualche volta ce l'ha anche Vasco. Poi Jannacci è stato uno dei primi rocker della storia, insieme a Gaber facevano parte del gruppo di Celentano. È una persona che io ho amato molto e che ho avuto anche la fortuna di frequentare parecchio. Per me, fare un docufilm su di lui, Enzo Jannaci - Vengo Anch'io (2023), è stato bellissimo. Quando abbiamo presentato il docufilm a Venezia, è stato forse il momento più emozionante della mia vita. La sala si è alzata in una standing ovation straordinaria. Ero lì con Paolo Jannacci e Paolo Rossi, e l’atmosfera era magica. Dopo la proiezione, siamo usciti e ho subito chiamato Vasco. Gli ho detto che era andata benissimo, e lui, con la sua semplicità disarmante, ha risposto: “Lo sappiamo”. Questa frase racchiude chi è Vasco: una persona autentica, che, proprio come Jannacci, non ha mai inseguito il successo per il successo. Questa è la chiave degli artisti che ho cercato di raccontare.
Jannacci fu censurato in diverse occasioni come Vasco, a cui ora arriveremo. In queste settimane si sta parlando molto di Tony Effe escluso dal concertone di Capodanno. C'è chi parla di censura. Cos'è cambiato oggi rispetto a ieri nel panorama musicale? Siamo più liberi o no?
Non ti so dire all’impronta, ci dovrei pensare un attimo. Sicuramente una volta c'era la censura per esempio pensiamo al caso famoso di Dio è morto che fu censurato dalla Rai e trasmesso dalla radio Vaticana. La cosa che mi diverte, che ho detto anche a Vasco, è che lui era accusato di essere un cattivo maestro mentre oggi potrebbe essere studiato in seminario a pensare ai testi dei rapper attuali. La differenza però, secondo me, la fa sempre la libertà e la verità. Se tu fai un testo perché ti esprimi e vuoi raccontare una storia, puoi fare una cosa forte. Je so' pazzo di Pino Daniele era una definizione forte, erano gli anni Settanta. Quando invece si fanno delle cose solo per colpire la fantasia, solo per avere condivisioni, c’è meno libertà, c'è più calcolo. Questa cosa mi dà fastidio, non la censura.
Cioè?
La censura sugli artisti non ha ragione di esistere, dovrebbe essere alla base. Mi spiego meglio, sto per dire una cosa forte. Sono gli artisti che si dovrebbero autocensurare su delle cose, non spetta alla censura, poi vietare all’artista di dire qualcosa non serve niente, lo rendi più forte. Oggi se censuri qualcosa dopo dieci minuti si trasforma in una cascata di condivisioni. Io penso che ci vorrebbe una riflessione sui contenuti e questa secondo me è la cosa che manca. Ci vorrebbe da parte di coloro che compilano le playlist di cercare non soltanto il successo immediato della canzone tormentone ma anche di trasmettere dei pezzi che restino nel tempo, temo che nelle playlist di adesso non ce ne siano molti.
Torna con il docufilm su Vasco Rossi, I Magnifici 7, sui 7 sold out a San Siro raccontati insieme a Claudio Amendola. Qual era l'atmosfera nel backstage?
Assolutamente serena, perché lo staff di Vasco è una macchina perfetta, precisissima. Da parte nostra c'era una grande emozione. Claudio Amendola, un vero rocker nell’anima, ha voluto raccontare questa straordinaria esperienza. Ringrazio Mediaset per aver reso possibile la sua partecipazione. Era emozionatissimo ed è stato eccezionale. Lui andava in giro tirato dappertutto anche dai musicisti. Io a un certo punto gli ho detto “sembra che sei tu l’artista sul palco” (ride, ndr). Ci ha tenuto anche molto a fare un'intervista al sound egineer di Vasco, che è lo stesso di Ramazzotti. Eros mi ha detto una battuta meravigliosa che certifica quello che è Vasco: “Vasco è un appuntamento fisso. Come il Natale, l'Epifania, così ci sono i suoi concerti”.
Di Vasco Rossi si ama spesso la sua capacità di mettere onestà e verità nelle sue canzoni. Qual è l’aspetto di Vasco che più la affascina? Cos'è che voleva assolutamente trasmettere nel docufilm?
Quello che volevo trasmettere è l’appartenenza del pubblico, questo abbraccio che c'è tra il pubblico e Vasco. Si vede nei volti della gente. Nel mio docufilm poi si cambia il piano d’ascolto. Ci sono i vip insieme al pubblico normale e non c’è alcuna differenza. Tipo Luca Argentero con la moglie a fianco ad altri fan. E poi lo stesso Amendola che, scatenato, a un certo punto coinvolge anche Roberto Bolle. Per la prima volta tutte le interviste sono state fatte dentro lo stadio, la cosa bella è averle fatte diventare un racconto unico. Ogni parte di questo lavoro è quasi un docufilm a sè stante con un inizio e una fine.