C’è una strana magia che si annida nei vicoli di Roma quando cala la notte. Le serrande abbassate, i sanpietrini lucidi di pioggia, il profumo dolciastro del vino rancido fuori dai bar. È in questa città che Ketama126 torna a raccontarsi con 33, un disco che è al tempo stesso confessione, rito e viaggio, e che segna, forse più di ogni altro suo lavoro, un punto di svolta nella sua narrazione artistica. “È il momento giusto per un mio cambiamento personale, ma in generale anche nella musica. Le mode, anche in questo mondo, sono cicliche” ci ha spiegato.

A tre anni dal suo ultimo album, Ketama sembra aver fatto i conti con qualcosa di più grande di lui: il tempo, la memoria, la malinconia. E lo fa con una lucidità spiazzante, quasi da vecchio poeta ubriaco al bancone di un bar di San Lorenzo, che nel silenzio della notte scrive ancora versi su tovaglioli sporchi. “33” non è solo l’età di Cristo, ma anche quella dell’artista: una cifra simbolica che trasforma questo disco in una specie di pellegrinaggio interiore, una risurrezione in chiave laica, urbana, fragile. “Quella del tempo è una tematica universale, non solo personale. Prima di questa età non accusavo lo scorrere del tempo, ma adesso sento che qualcosa è cambiato”.Il viaggio si apre con Intro-resurrezione, un brano-manifesto in cui si sentono le voci di Battisti e Califano come fantasmi familiari, compagni di strada di un cantautorato disilluso ma ancora affamato di senso. Non è nostalgia, è consapevolezza. Il tempo non torna, ma può essere cantato. E Ketama lo fa con una lingua sporca e sacra, romanissima, incastrata tra poesia e crudezza.
Questa ambivalenza è il cuore pulsante del disco. Brani come Luna chiara e 33 sono piccoli esercizi di malinconia, costruiti su beat minimali e arrangiamenti essenziali, dove la voce si fa fragile, quasi spezzata. 33, in particolare, è una delle vette del disco: una canzone che non ha paura del silenzio, che abbraccia la solitudine e la trasforma in compagna di viaggio. Sul brano che da il titolo al progetto Ketama126 ci ha raccontato: “Riascoltandola mi sono reso conto di tante cose. È un brano che parla di quei momenti in cui vuoi essere lasciato da solo, perché ti senti un buono a nulla e fai del male alle persone che ti vogliono bene. Scriverlo è stato anche un modo per esorcizzare la fine di una relazione molto lunga”. E nel videoclip ufficiale è presente anche Asia Argento, che aggiunge un ulteriore strato di ambiguità e bellezza decadente. “Dobbiamo ringraziare i ragazzi di Epico Podcast che ci hanno invitati. I commenti sotto al video mio e suo erano ‘Asia e Ketama sembrano la stessa persona’, così ci è venuta l’idea di coinvolgerla ed è stata mega felice, e pure io”.
Ma 33 non è solo un disco intimista. È anche un affresco urbano, una Roma che non si limita a fare da sfondo ma che entra nei testi, nei suoni, nei personaggi. La caciara è un piccolo capolavoro di realismo poetico: una carrellata di umanità dolente e viva, raccontata con uno sguardo che non giudica, ma accoglie. Il tono da poète maudit è lo stesso che attraversa Balla da sola, ritratto tossico e affascinante di una figura femminile che avvelena e salva, un tema che Ketama maneggia con la solita ambivalenza tra romanticismo e dannazione.
C’è spazio anche per momenti più riflessivi, quasi filosofici: Un teschio e un fiore, Alla frontiera, Che ne so e Va bene così sembrano scritte con la penna del Ketama più sincero, quello che si mette a nudo e confessa di aver imparato solo sbagliando. È qui che il disco diventa davvero personale, senza però scadere mai nell’autocommiserazione. Il dolore, come la solitudine, è sempre in dialogo con qualcosa: con l’arte, con la città, con la strada.
E poi arriva la chiusura, Fiori trasteverini 2025: un omaggio struggente a Gabriella Ferri, simbolo immortale di una romanità che resiste. Ketama non la copia, non la aggiorna: la reinventa, la canta con rispetto ma anche con orgoglio. È la sua Roma, quella dei bar di periferia, delle notti insonni, dei tramonti sporchi. E in questo gesto si chiude un cerchio, si compie una piccola resurrezione, come prometteva l’“Intro”. “Gabriella Ferri rispetto agli altri è riuscita a unire musica e romana e sudamericana, è stata la più moderna di tutti e per me è la fusione perfetta tra questi due mondi”.
33 è un disco coraggioso, intimo, sporco e luminoso. È un’opera che accetta le contraddizioni, che sa stare a cavallo tra il rap, il folk, il cantautorato, senza mai voler piacere a tutti. È un lavoro che non ha paura di prendersi i suoi tempi, di essere colto, ma anche tremendamente umano. “Se non stessi a Roma, ma soprattutto a Trastevere, non mi sarebbe mai venuto in mente di fare un disco del genere. Quando ero ragazzino a Trastevere c’era la Festa De Noatri e la tradizione romana fa parte del mio background fin da quando ero bambino. È come tornare a casa, è la musica che ascolti la domenica in famiglia. Sono il primo a fare un progetto così, non mi pare ce ne siano altri e non so come andrà, non essendoci precedenti. Però penso la gente non è stupida, le orecchie le hanno tutti, le persone capiscono la qualità e magari ci metterà un po’ ad arrivare, ma capiranno che è fatto con amore”. Ketama126 si conferma, con questo album, uno degli interpreti più autentici della nuova musica italiana: un cantastorie urbano che ha scelto di raccontare la vita senza sconti, ma con una bellezza a tratti disarmante.
