Rkomi torna con Decrescendo, un disco che fin dal titolo suggerisce una sottrazione, una discesa, un abbassamento del volume che è anche intensificazione dell’ascolto. Dopo gli eccessi stilistici e sonori di Taxi Driver e l’incursione pop condivisa con Irama in No Stress, questo nuovo lavoro si propone come un ritorno all’essenza, alla voce interiore, a ciò che resta quando si smette di urlare. In un’intervista a Deejay Chiama Italia, Rkomi lo ha definito "il disco più intimo che abbia mai fatto, introspettivo a tratti e anche molto onesto, onesto con me stesso e la mia storia". E queste parole trovano una dolorosa e toccante conferma in l’ultima infedeltà., che più che una canzone è una confessione sussurrata, un flusso di coscienza in cui il rap si svuota di ogni vezzo ritmico e si avvicina alla poesia nuda. Non c’è base, non c’è beat: ci sono solo parole e sangue. Rkomi ricostruisce la propria infanzia segnata dalla violenza domestica, l’assenza del padre, il disorientamento emotivo, la paura e la rabbia come compagna di crescita. È un brano che non si limita a raccontare il trauma: lo espone, lo espone al freddo della memoria, alla luce spietata dell’onestà. E proprio questa esigenza di verità anima anche 10 secondi. con Nayt, un pezzo che parte da una riflessione sul rumore del mondo e sulla necessità di trovare uno spazio interiore dove l’“abisso scompare, piano piano torna trasparente”. La produzione crea un paesaggio sonoro quasi etereo, rarefatto, in cui si muovono versi che interrogano il senso dell’identità e del valore personale. Rkomi mette in discussione ogni etichetta sociale – figlio, padre, lavoratore, amico – e si chiede se dietro a tutto questo non ci sia solo una fuga dal silenzio, che forse è una truffa, o forse la sola verità possibile.
E se l’ultima infedeltà. è il momento più cupo e autobiografico, brutti ricordi. con Bresh rappresenta una parentesi luminosa, pur mantenendo la malinconia di fondo. Il brano è costruito su una ritmica drum and bass molto soft, quasi accennata, unita a una chitarra acustica che addolcisce ogni passaggio. È una canzone che vibra di dolcezza e energia insieme, una corsa leggera attraverso i ricordi condivisi, tra fantasmi che si fanno familiari e ferite che si imparano ad accettare. Bresh entra con la sua scrittura diretta e carnale, e il risultato è un momento di tregua emotiva, quasi una carezza sonora. L’impressione è quella di un disco volutamente imperfetto, scomposto, costruito per accumulo di ferite e tentativi di guarigione. Rkomi sembra più interessato a raccontare ciò che lo lacera che a costruire un’identità coesa: e forse è proprio in questa frattura che risiede la forza di Decrescendo. Non è un disco che rincorre la forma, ma che accetta la sua deriva; non è una raccolta di hit, ma un insieme di confessioni che formano un autoritratto emotivo. È un album che si ascolta come si ascolta un amico che si è perso per un po’, che torna con le ossa rotte ma le mani aperte. E che, forse proprio per questo, ci parla più che mai. Il disco è ottimo, sicuramente superiore a Taxi Driver, che al confronto appare oggi come un esercizio di stile un po’ vuoto, privo di reale profondità. Qui invece Rkomi mette in campo se stesso, si espone, lascia intravedere le crepe, e in quelle crepe trova forza e identità. È vero: ci sono alti e bassi, e i brani più pop risultano talvolta meno efficaci proprio perché Rkomi dà il meglio quando si racconta, quando si fa storyteller. Ancora oggi, basta il sample di Elefanti dei Gomma in 4Z per far salire un nodo in gola: perché lì, come in molti passaggi di Decrescendo, la verità emoziona più di qualsiasi costruzione. Anche quando si concede episodi meno riusciti, Rkomi resta un artista capace di confezionare dischi sempre solidi e soprattutto umani. E quando decide davvero di esternare se stesso, di entrare nella propria storia e farci spazio, allora sì, diventa uno dei più lucidi e commoventi narratori della sua generazione.

