“Il successo dei nostri film? Ha vinto lo sguardo di chi ha voluto raccontare questo Paese senza puzza sotto al naso, senza grandi trionfalismi”. Enrico Vanzina, passato al Basement di Gianluca Gazzoli, apre così la chiacchierata. Ma il successo dei suoi film, perché non si riesce a replicare? Cosa manca al cinema italiano di oggi? I giovani, e la novità che ne consegue. “È arrivato Nanni Moretti che ha raccontato una sua generazione, poi Verdone che ha raccontato la sua. E così via. Poi è arrivato Muccino, che ha raccontato i trentenni. Ma oggi il cinema è diventato una terza scelta: non è più una prima, neanche una seconda. Io non posso più raccontare i giovani, alla mia età. Devono essere loro a farlo”. Totò? “Andai a trovarlo durante le riprese di uno dei tanti film con Totò il film si chiamava Totò Diabolicus, in cui lui interpretava cinque personaggi. Ero piccolo, ma lo conoscevo già benissimo. Lo vidi vestito da donna, perché faceva il ruolo di una contessa, e mi disse: Come mi diverto a fare Totò, è bellissimo. Lui era il principe De Curtis, ma si divertiva a fare Totò, l’alter ego di sé stesso”. Ma la grande commedia come quella di Totò che fine ha fatto? “L’ultimo che la sta facendo, e la fa anche molto bene, a modo suo , è Checco Zalone, che interpreta il “re degli ignoranti”. E il re degli ignoranti cosa si può permettere? Di andare ovunque: dai palazzi della politica a quelli dei ricchi, dei poveri, nei ristoranti, sui treni… e dire la verità”. Dopo Totò, come non citare Alberto Sordi? “Alberto Sordi mi ha insegnato cosa significa recitare sul serio. Ma soprattutto cosa significa guardare gli italiani. È stato la persona che, facendo questo mestiere, più di tutti ha osservato gli italiani. Li ha guardati, li ha riportati sullo schermo. E poi è successa una cosa incredibile, che non succede mai: lui ha portato gli italiani sullo schermo, ma il suo modello è diventato talmente forte che, alla fine, gli italiani hanno cominciato a copiare lui. Quindi lui copiava loro, e loro hanno finito per copiare lui che copiava loro”. Un altro personaggio reso immortale dai Vanzina è senz'altro il Cumenda. “Guido Micheli, che era un nostro amico e che abbiamo promosso ad attore importante, sai perché funzionava? Perché quei personaggi esistevano davvero nella vita reale, e parlavano come si parla nella vita vera. Io credo che il grande successo del nostro cinema, nel corso di tantissimi anni, stia proprio lì: oggi, rivedendolo, ci si accorge che avevamo davvero ascoltato le persone. I ragazzi parlavano da ragazzi, i grandi da grandi, i ricchi da ricchi. Era una presa in giro leggera, ma fotografata in maniera quasi perfetta, dal punto di vista del lessico”.

Questo invece può suonare come un'assurdità, ma è tutto meravigliosamente vero: Steven Spielberg aveva paura dei Cinepanettoni: “Richard Fox, direttore internazionale della Warner Bros, una volta stava in una riunione alla Warner. C’era un film di Spielberg in uscita in tutto il mondo. E Spielberg disse: “Però se esce il film di Vanzina, noi non usciamo”. Questa cosa mi fa tanto ridere. Lui ci temeva! Invece noi non solo non lo temevamo, ma gli avremmo voluto baciare i piedi.” Christian De Sica e Massimo Boldi, che hanno fatto da Genitore 1 e Genitore 2 a più generazioni di cazzeggiatori seriali, come sono stati messi insieme? “La coppia Boldi-De Sica non è stata inventata con un film di Natale, ma con Yuppies. E poi sono diventati gli eroi di una lunga saga. Li abbiamo messi noi insieme. Cosa ci ha colpito? Perché abbiamo detto: mettiamo insieme questi due? Beh, noi avevamo lavorato di più con Cristian, però Boldi si vedeva che aveva un umorismo completamente diverso, quasi da caricatura. Era un po’ come Villaggio. Ricordo che quando giravamo Sognando la California in America, i bambini americani, pur non capendo nulla si fermavano per strada a ridere solo guardandolo. Faceva ridere di suo. Per cui questa contrapposizione tra un uomo più furbo, più paraculo, romano, e invece questo sempliciotto però buffo, che subisce anche angherie, ha funzionato.” E chi dice che la commedia dei Vanzina era sessista è fuori strada: “In Vacanze di Natale c’è una scena che ogni volta che la rivedo mi colpisce. Perché a volte va oltre quello che pensavi di aver fatto. La serata di Capodanno: i genitori di Cristian tornano a casa e lo trovano a letto col maestro di sci, Zartolin. E succede una tragedia. Cristian, in quell’82-83, fa un discorso sulla fluidità che è avanti di 40 anni.”

Il tema è quello, ormai immancabile, del politicamente corretto. “A Mediaset c’era questa serie scolastica, I ragazzi della Terza C. Lui faceva il commendatore Zampetti, che aveva un cameriere di colore. Diceva delle cose terribili. Però, ecco, vorrei spiegare, sono anni che ci provo, che c’è chi vuole capire e chi non vuole. Tutti pensano che se un personaggio dice qualcosa di scorretto, è l’autore a pensarla così. Ma non è così: l’autore guarda la realtà. Se racconti di un tizio di un bar in viale Monza, cresciuto in un certo modo, che giudica gli immigrati in un certo modo, non te lo sei inventato. Quello esiste. Io ho raccontato la verità. Ho raccontato che nella nostra società c’è chi la pensa così. Che sbaglia, certo. Ma tanto, quando lo senti parlare, capisci che è un cretino. Non è che l’autore stia diffondendo quelle idee. L’autore racconta la realtà”. Un discorso di attualità stringente, e che Vanzina prosegue. È il linguaggio che influenza la realtà o serve a descriverla? E se non la si descrive, com'è possibile che cambi? “Il senso di quello che dicono le parole va inserito nel contesto, e spero che piano piano si torni un po’ indietro, perché davvero non se ne può più di questa situazione. Non è possibile non usare le parole per definire ciò che sono le cose. Ci sono gli imbecilli, ci sono i razzisti, ci sono i mascalzoni ma non è colpa dell’autore: l’autore li racconta. E a volte, raccontandoli, li mette anche in luce per essere screditati. Per dire: questa cosa esiste. Certo che esiste. E il cinema va avanti anche così. Uno dei film più belli e celebrati del cinema italiano è Divorzio all’italiana. È un film drammatico, la storia di un femminicidio. Parla di delitto d’onore, della mentalità dell’uomo padrone. E grazie a quel film, la società ha fatto dei passi indietro enormi, perché finalmente si è raccontato un lato terribile dell’Italia. L’hanno raccontato anche in chiave comica, pensa un po’. Ma quel film è un atto d’accusa. È un atto d’accusa contro una certa società.”
