Dopo quattro anni dall’ultimo, Achille Lauro pubblica il suo nuovo album dal titolo “Comuni mortali”, che include il successo sanremese “Incoscienti giovani”. Sulla copertina, ad opera dei fotografi Luigi&Iango, il suo volto serio o, come direbbe lui, senza espressione, appare avvolto in una nebulosa bianca. Potrebbe essere una sorta di bozzolo da cui è uscita la farfalla che posa sul suo occhio destro oppure il segno del suo movimento, come se il volo lasciasse traccia nell’aria. La presenza di questo insetto alato ed effimero è carica di senso. Non solo è un simbolo dell’immortalità, ma anche un richiamo al proprio passato discografico, con cui vuole creare un legame visibile oltre che ascoltabile. Immortale è la memoria. Quella che sopravvive a noi tutti, comuni mortali, tramite le parole e i racconti di chi resta, generazione dopo generazione. La farfalla però è anche emblema di metamorfosi, del bruco, che dopo essersi chiuso in un bozzolo, riemerge cambiato. Evoluto. Il bozzolo di questa farfalla lo troverete sulla copertina dell’album “Ragazzi madre” di Lauro, disco underground che lo consacrò nella scena trap del 2016, dove era ritratto a torso nudo con degli ovuli in pancia, dei bozzoli appunti, visibili come in una radiografia.

Achille Lauro ha un bel rapporto con la metamorfosi, gli piace cambiare veste, tanto quanto onorare il proprio passato. Per questo album è andato in America tra New York e Los Angeles per creare un distacco con la propria terra e la propria carriera e guardarsi alle spalle con lucidità. Perché Lauro in America non ci va con l’obiettivo di importare nuove sonorità e tendenze, ma per ritrovare l’Italia che si porta dentro anche dall’altra parte del globo. Ogni veste che sceglie, che sia la trap, il rock’n’roll o il punk, è sempre l’esito di uno studio che mira all’arricchimento dei propri mezzi espressivi. Più tecniche e stile si destreggiano, più sarà facile tradurre l’istinto creativo in arte originale. Questa volta la ricerca si è concentrata sul cantautorato italiano degli anni 70/80, che è poi la musica che Lauro ha respirato nella sua infanzia e adolescenza nella periferia romana. Ogni canzone è una dedica al suo passato, a Roma (“AMOR”), alla madre (“Cristina”) ai ragazzi abbandonati delle borgate, quei “Ragazzi madre” con cui ha condiviso esperienze a limite della legalità e della sopravvivenza (“Barabba III”). Il filo conduttore fra tutti i brani è la duplice tensione di Lauro tra il perdersi fra i comuni mortali e il puntare costantemente al cielo, in un bilancio che sa di sacrificio, soprattutto della propria vita privata che si riduce ad attimi di “Dirty love”. Quello di Lauro più che un sogno americano è il sogno romano, più che l’autocelebrazione di un traguardo la sua narrativa parte dal basso, dalle piccole cose, quelle comuni che ormai ha perso nella sua “Walk of fame”, che vale tanto quanto una vita normale.

“Come sconosciuti, una storia ci accomuna / L'inizio e la fine, il livido e la cura” canta in “Nati da una costola”, un brano che raccoglie tutta la tradizione italiana, da quella religiosa a quella letteraria, spaziando da Dante alla Bibbia, in un racconto in cui il valore viene ricentrato sull’umanità più che sul successo. Tra i vari brani mancano all’appello quelli che durante i concerti di Roma e Milano di ottobre scorso erano stati fatti ascoltare al pubblico in anteprima. Saranno probabilmente contenuti in un altro progetto che stando a quello che aveva dichiarato, dovrebbe uscire dopo l’estate. Si tratterebbe del sequel di “Ragazzi madre” e avrebbe un piglio più urban e meno cantautorale. Nel corso degli anni Lauro ha creato un codice suo in cui riesce a far coesistere la strada e l’eleganza, il pop e il rap, mantenendo sempre una sua credibilità. Così lo storytelling che fa sull’ultima traccia, “Barabba III”, diventa una ninna nanna, mentre in “Cristina” l’amore per la madre viene celebrato con una rappata delicatissima. Anche questa volta la metamorfosi è riuscita, la farfalla può prendere il volo.
