Il nuovo singolo di Anna, Désolée, è andato direttamente al primo posto su Spotify e Apple Music nelle prime 24 ore. Un missile. L’ennesima conferma. E mentre i fan esultano, gli uffici marketing si strofinano le mani e i social impazziranno con le coreografie di Carlos Diaz Gandia (dopo essere diventato virale con Gaia ormai chiamano tutti lui, la solita originalità del mainstream), nell’ascoltare il brano sono rimasto con un dubbio: è davvero questa la musica che può distinguerci dagli algoritmi? O siamo entrati in un loop dove noi umani replichiamo già le macchine? Perché Désolée è perfetta come tormentone: fonde pop elettronico e reggaeton, ma senza rischiare di rovinarsi il trucco con il sudore di una twerkata. Anna canta con voce sicura: “Non c’è nessuno che può domare una leonessa”. E ha una consapevolezza di chi, a 21 anni, domina le classifiche. Il suo disco “Vera Beddie” è stato 9 settimane consecutive al primo posto in classifica, 4 volte Platino, record storico per una donna in Italia. Se ne sono accorti persino in America: Billboard l’ha premiata come Global Woman of the Year - Italy ai Women in Music Awards e ha condiviso il palco con Jennie (Blackpink), Meghan Trainor e Gracie Abrams. E allora uno si chiede: ma cosa le vuoi dire? Il problema è proprio che non puoi dirle nulla. Perché Désolée funziona talmente tanto da sembrare già programmata per farlo. E in un’epoca in cui contano soltanto risultati e i soldi, allora Anna è la Queen che ci meritiamo.

Ma lo avete letto il testo, oltre che cantato? Un bignami di empowerment cool, con un lessico perfetto nell’era dell’apparenza, con dentro giusto una spruzzata di relazioni tossiche, più da soap opera sudamericana che da serie crime, come aggancio con la realtà. Anche qui tutto perfetto: Anna non è un’imitazione, è l’originale Made in Italy della generazione TikTok e per questo spacca. Solo che un pop del genere sembra uscito da un prompt ben scritto, un po’ come i video realizzati con Veo 3, l’intelligenza artificiale di Google, diventati virali sui social in questi giorni. Nessuna sbavatura, nessuna vera fragilità, nessun rischio, nessuna ricerca per andare oltre al già conosciuto. Che cosa comporta tutto ciò? Che la cultura “baddie” è diventata un brand, un mood, un filtro Instagram utilizzato da milioni di giovani. E Anna è la sua Ceo. Che cosa significa tutto ciò?

Rispetto ai numeri che genera, persino Sanremo sembra starle fin troppo stretto: qui si gioca a fare le superstar internazionali, dopo che è stata la prima artista italiana donna a vendere così tanto, così velocemente, con 42 dischi di Platino, oltre 7 miliardi di stream portando il "rap italiano" nella soundtrack di Fast X, l’ultimo film della saga di Fast and Furious con Vin Diesel. Tradotto: è fenomeno globale. Ma nel mentre, tra tanti segni più, mi viene un sospetto: se questa è la nuova frontiera dell’intrattenimento musicale, allora non ci vorrà molto prima che l’IA generativa inizi a produrre hit al posto nostro. A quel punto saremo già tutti, in particolare i più giovani, pronti a ballarle, cantarle e postarle senza ricordarci che cos’è veramente l’esigenza artistica da cui nasce una canzone, lo struggimento dei sentimenti cantati senza Auto-Tune e quindi personalissimi, la manualità e la competenza di chi ha studiato anni per eccellere nel suonare uno strumento. E gli artisti, sempre che non diventino ologrammi, serviranno soltanto per inscenare il cosplay di una popstar? Evidentemente è come canta Anna: “Se ci incontriamo, non è casualità”. Ma siamo sicuri che quel giorno non sarà stato l’algoritmo ad averlo deciso?
