Sanremo è tutta una questione di riti, di liturgie. Uno dei primi gesti, come una introduzione, è l’annuncio della lista, e mica per caso da tempo avviene la domenica, come fosse la Santa Messa. Un altro, più terra terra, è l’ascolto riservato agli addetti ai lavori di quella che un tempo veniva chiamata carta stampata, cioè i giornalisti musicali e i critici musicali, fate sempre bene attenzione a distinguere tra le due categorie, mi raccomando. Oggi abbiamo vissuto questa seconda esperienza. Ciò detto, e prima di passare alle pagelle vere e proprie, va anche detto che Carlo Conti ha già da ora dimostrato di non essere affatto Amadeus. Come un Giucas Casella meno glabro e più rock’n’roll lo avevo detto già quando era stato annunciato il suo ritorno, “vedrete che gli ascolti si torneranno a fare seriamente in corso Sempione, negli storici studi della Rai”. E così è stato. Auditorium Rai, anche se stavolta non quello micro degli anni passati, quindi niente mattonelle da ospedale, seppur ancora in presenza dei tecnici coi camici bianchi, tutto come in passato. Amadeus, showman che si credeva Re Sole, li aveva spostati negli studi di Via Mecenate, facendo degli ascolti uno show tutto suo. Lui con Max Alberti alla consolle laddove vanno di scena gli spettacoli televisivi, tutti noi sugli spalti. Di più, lui a mimare il canto o il suono della chitarra, per altro quasi sempre inesistente nei brani dei suoi Sanremo, alcuni colleghi a battere le mani manco fossimo spettatori. Carlo Conti è differente, infatti ha spostato l’attenzione sulle canzoni, limitandosi a stare seduto al tavolo dove sedevano uffici stampa Rai e dirigenti. Ha rifatto anche un altro gesto apprezzabile, durante il break ha ancora una volta fraternizzato con la stampa, col solo scopo di fare il padrone di casa e di capire l’aria che tira, un vero padrone di casa, un professionista serio. Arriviamo agli ascolti.
Anche quest’anno non troverete a fianco a una veloce, distratta descrizione, gli ascolti avvengono una canzone via l’altra, e potete ben immaginare come ascoltare trenta canzoni nuove non renda possibile niente di serio. Anche quest’anno non troverete a fianco a una veloce, distratta descrizione un voto. Sono pagelle, certo, ma senza voti. E non sono senza voti solo per gli ascolti veloci e distratti, ma anche perché sono anni che mi batto, e MOWMag con me, perché la stampa smetta di votare le canzoni in questa occasione, e non venga presa poi in considerazione per i voti durante il Festival, già titolare di suo del Premio della Critica. Inutile che ora io stia qui a fare l’elenco di quanti anche tra i presenti in Rai oggi nella vita si occupino d’altro che non sia la musica, e di come anche molti di quelli che si occupano di musica di musica non sanno una fava, quello che è il vero motivo per cui oggi non voto è che coi voti della stampa le agenzie di scommesse fanno le quotazioni e io trovo questa cosa aberrante. Per due ragioni. Primo, se le agenzie di scommesse vogliono che lavori per loro mi paghino, e mi sembra lapalissiano. Secondo, più importante, perché è possibile che io col mio voto influenzi le scommesse, anzi, è certo, e che poi io possa anche scommettere. Cioè, poniamo il caso, la sala Stampa potrebbe oggi decidere di affossare Tizio, farlo quindi quotare assai bene, 100 a 1, e poi votarlo in massa a Sanremo, spostando di colpo il voto finale e portarlo verso la vittoria. Impossibile che ci si metta tutti d’accordo? L’anno scorso alcuni esimi membri della Sala Stampa hanno sostenuto il contrario, quando si sono imputati la vittoria di Angelina Mango contro Geolier. Poi, la dico tutta, io non ho sufficiente stima dei presenti per pensare che davvero possano fare una cosa del genere, ma anche solo il fatto che potrebbe essere possibile mi sembra sufficiente per non prendere parte a questa cosa. Quindi pagelle sì, ma senza voti. E anche a Sanremo non userò il mio diritto di voto, pur accreditato in Sala Stampa. Partiamo.
Francesco Gabbani - "Viva la vita"
Chi inizia una cavalcata di trenta brani è sempre penalizzato, perché se da una parte ha di fronte un uditorio fresco, non ancora provato da detta cavalcata, poi si trova a fare i conti con tutto il resto, col rischio che della prima canzone non ci si ricordi nulla. Io però le pagelle le ho scritte in presa diretta, quindi eccomi qui, puntuale. "Viva la vita" è una ballad pianistica vagamente souleggiante. Un raggio di sole la domenica mattina, che supera la difesa delle tapparelle, speranza, quindi, che si mescola con abbracci. Un ritornello che si apre, a dirci come lui è Pacifico, coatuore del testo, la pensiamo rispetto alla vita. Non so se le canzoni aiutino a vivere meglio, ma sicuramente un po’ di positività male non fa.
Clara - "Febbre"
I toni di questa canzone sono invece oscuri, per quanto possa essere oscura Clara, che è comunque illuminata da un’aura lucente. La nostra brat girl presenta una canzone che spinge forte, complici Dardust, Madame e due top player come Jacopo Ettorre e Federica Abbate. La sentiremo parecchio, c’è da scommetterci, in perfetta linea con quanto proposto fin qui.
Willie Peyote - "Grazie ma no grazie"
Su una base brasilianeggiante, molto basata sulla chitarra acustica, Willie Peyote porta ironia sul palco dell’Ariston. Tra una menzione ai Jalisse e una citazione degli Articolo 31, un po’ di rap che flirta col pop, senza perdere il cervello e soprattutto senza tutte quelle pose che siamo abituati a vedere ormai ovunque. Un tormentone vero, di quelli che non ti vergogni a cantare.
Noemi - "Se ti innamori muori"
Ballatona firmata da Mahmood e Blanco, con Michelangelo. Una canzone d’amore adulto, si parla di figli, pur lasciando spazio a luoghi comuni. Non drittissima, e questo va letto con stima, e perfettamente calzante con la voce graffiata di Noemi.
Lucio Corsi - "Volevo essere un duro"
Una poesia. O meglio, uno squarcio di poesia, che guarda al passato, musicalmente, e per questo rappresenta perfettamente l’oggi, con quella fatica di rispondere alle aspettative. La canzone più musicale di questo Sanremo. Nel senso di più suonata. Con tratti di originalità che balzano fuori già al primo ascolto e un finale, quel “non sono altro che Lucio”, da 10 e lode.
Rkomi - "Il ritmo delle cose"
Rkomi fa Rkomi. Buon flow, pessima voce. Otto autori per una canzone che sembra la brutta copia di Nel bene e nel male di Madame, a dirla tutta, e che, forse, ci avrebbe potuto impedire di andare a dormire tardi, se solo Conti fosse stato più attento nella selezione. Rap pop dozzinale.
The Kolors - "Tu con chi fai l’amore"
Stash si affida stavolta al solito Petrella e anche a Calcutta, infatti il sound si sposta indietro nel tempo, parlo di melodia. Quasi in odor di Raffaella Carrà, con il ritmo che cresce e ci svaga. La quota cassa dritta è salva.
Rocco Hunt - "Mille volte ancora"
Una canzone sul dover lasciare la propria terra e il proprio passato che ha la medesima profondità di un foglio di carta velina. O meglio, magari qualche profondità ce l’ha pure, ma con quell’enfasi nel parlarci di radici recise che fa scattare l’alert “paracullaggine”, magari poi capiremo che invece è tutto vero e sentito. Carina, come si diceva di quelle con cui non si voleva uscire alle medie.
Rose Villain - "Fuorilegge"
Rose Villain porta una mina, dove riesce a farci sentire come canta bene, e come suo marito SixPM sa fare basi suonano da Dio. Una delle più belle in gara. Struggente e sensuale al tempo stesso. Con uno speciale che dice molto dello spessore della titolare del brano, con quell’apertura al gospel che dal vivo farà molta scena. Ottima.
Brunori Sas - "L’albero delle noci!"
Ballatona adulta per Brunori, che arriva finalmente al Festival, parlando di genitorialità, guardando alla storia del cantautorato, lo sguardo addolcito. Un gran ritornello, senza ruffianerie e smancerie. Un gran pezzo, che merita di rimanere. E anche di essere ascoltato con più attenzione.
Serena Brancale - "Anema e core"
Con Serena si balla con classe, una Rita Hayworth che napoletaneggia su ritmi scatenati. Forse non immediatissima, ma destinata a sedimentare. Niente jazz, ma anche niente Baccalà, a riprova che lei è una artista vera e di spessore. Si autocita nel finale, ma non spoilero.
Irama - "L’attesa"
Irama è quello delle ballate, non dei tormentoni estivi. Qui si sentono molto anche Blanco e Michelangelo in scrittura. Potrebbe ambire al podio, anche se forse Blanco si sente molto, se non troppo. Comunque Irama da solo non ne sbaglia una. Uno che ha capito bene che Sanremo è Sanremo e andarci con la canzone giusta è un ottimo modo per arrivare a un sacco di gente. Bravo.
Marcella Bella - "Pelle diamante"
Niente ballate, per Marcella, che si presenta orgogliosa e graffiante. Più "Nell’aria" che "Montagne Verdi", quindi, la cassa dritta che spinge. Se l’idea era di scatenare l’effetto nostalgia, sulla falsa riga degli ultimi Festival sempre con cantanti della vecchia guardia, stavolta si potrebbe pensare a un passo falso, perché in realtà Marcella Bella presenta una canzone che di nostalgico non ha davvero nulla. Visto quanto ho detto giorni fa sulla Rettore, ecco la prova che si può essere contemporanei senza necessariamente fingere di essere giovani.
Achille Lauro - "Incoscienti giovani"
Siamo sempre nel territorio malinconicamente struggenti dell’ultimo Achille Lauro. Una canzone classicissima, che nulla ha di alternativo, forse Achille Lauro era distratto quando parlava di sé come di una specie di come di uno che ha preso il pop e lo ha portato altrove. O forse Achille Lauro è proprio questo, un cantante di canzoni da Sanremo anni Ottanta, ma con la faccia tatuata e i vestiti strani. Finale con assolino di sax, alla Venditti di Cuore. Sono perplesso. Oh, magari vince, ma resto perplesso.
Elodie - "Dimenticarsi alle 7"
Come in "Bagno a mezzanotte", si inizia alla Mina, ma stavolta parte subito la cassa drittta. Storta come tutte le canzoni di Elodie, e questo è un pregio, buona melodia data in pasto alla sua voce sensuale. Ritornello che si apre epico, una bella canzone alla Elodie. E Elodie quasi la mette in ombra, tanto è Elodie (questo è un po’ una sua cifra, essere più di tutto quel che fa). Sentite lo special per credere, quanto in effetti sia una signora interprete su una signora canzone.
Olly - "Balorda nostalgia"
Olly è cresciuto tanto, e gioca a fare il malinconico con una bella ballata con un ritornello assassino. Si capisce quanto sia sul,pezzo per quel giocare con là erre moscia, come Jovanotti con le esse. Potrebbe ambire al podio, e potrebbe spostare ulteriormente la percezione di quanto Olly sia oggi, tra i giovanissimi, uno dei più talentuosi.
Simone Cristicchi - "Quando sarai piccola"
Una canzone che parla di figlianza, cioè di come ci si trovi un giorno a fare i genitori dei propri genitori. Un tema che molti si trovano a vivere, e che forse mancava nel repertorio cantautorale italiano. Una canzone lieve e dolente, molto sentimentale, sentita (nel senso di interpretata intensamente). Un gioiellino. Canzone che ci avvolge, anche musicalmente, in un crescendo che si fa struggente ma che disinnesca i pericoli di retorica spiccia.
Emis Killa - "Demoni"
Vi regalo una immagine. Nel ritornello canta autotunato “Si sono pazzo lo so”. Mentre durante gli ascolti, in corso Sempione, arriva questa parte della canzone, questo quello che ci troviamo davanti agli occhi, o che si trova davanti agli occhi chi non stia con la faccia puntata sul PC: dalle retrovie esce Dante Fabiani, storico ufficio stampa Rai, maglione col collo alto su giacca d’ordinanza, faccia di chi vorrebbe tanto essere altrove. Ecco a me la sola cosa che è rimasta di "Demoni" è questa immagine, per il resto il mio subconscio ha fatto il suo sporco lavoro, per cui è pagato lautamente, cancellando tutto.
Joan Thiele - "Eco"
Canzone elegante che spicca nel marasma, con qualcosa di sofisticato, roba che avrebbe potuto usare Tarantino per un suo film, tra western e surf, la voce che sensualeggia su una melodia che avrebbe potuto cantare in passato Mina come Nada. Con addirittura un assolino di chitarra, roba che a Sanremo 2025 sembra quasi fantascienza. Belle sorpresa.
Modà - "Non ti dimentico"
Una ballata d’amore molto alla Modà. Intima, tutta giocata per permettere a Kekko di fare Kekko, cioè cantare emozionato e emozionante a piena voce, come un Roby Facchinetti più giovane. Nella seconda strofa parte la cassa dritta, ma sempre una ballad resta. Col suo incedere epico e le sue aperture rappresenta una certezza, specie in epoca di scarse vocalità come questa.
Tony Effe - "Damme na mano"
Tony Effe prova a fare il Califano recitato. Ma non è Califano, che indegnamente cita nel testo. Uno stornello sostenuto da una voce che nel ritornello è sorretta tutta dall’autotune. In confronto "La cacciara" di Ketama 126 è Paul Anka che scrive "My Way". Una cosa indegna.
Massimo Ranieri - "Tra le mani un cuore"
Ranieri canta Ferro e Nek, con l’aiuto di Marta Venturini e Giulia Anania. Un brano che sa di passato, e detto arrivato al diciassettesimo ascolto di questo Sanremo non è certo una critica negativa. La,canzone, però, fatica a partire, mi sembra, come un coito trattenuto con troppo tantra. Ranieri canta ovviamente da Dio, peccato il sax sotto, troppo antico, e anche questa mancanza melodica più potente.
Sarah Toscano - "Amarcord"
Siamo in zona cassa dritta, con Merc e Kremort, con Ettorre e Abbate che costruiscono un brano che melodicamente guarda agli ottanta. Ben cantato, intendiamoci, ma forse già sentito. O forse fuori contesto.
Fedez - "Battito"
Sui social la Rai ha caricato video interviste ai cantanti, chiedendo loro di parlare della propria canzone. I video si chiudono coi cantanti che dicono che immagine potrebbe raccontare la stesa canzone. Ecco, dovessi raccontare "Battito" direi qualcosa come "un prolasso" (decidete voi dove).
Coma_Cose - "Cuoricini"
Siamo anche qui in zona cassa dritta, e anche in zona megahit, tutto molto lisergico, e tutto molto manga, volendo. Una canzone leggerissima che ti si pianta in testa, e non so se sia un bene, senza avere la minima intenzione di andarsene. Felicità sotto ketamina, mentre sei sul divano a guardare Dragonball. La "Ciao Ciao" di quest’anno, e forse anche degli anni a venire.
Giorgia - "La cura per me"
Giorgia al suo meglio, inizia voce e piano, come solo lei può. Una canzone che merita la sua voce, e meritare la sua voce è difficile. Del resto la voce sorregge quasi tutta la canzone, molto spoglio e elegante l’arrangiamento. Non serve altro, del resto, una bella melodia in mano un talento immenso. Vince. Finalone che sposta l’accento sull’oggi, con Giorgia che dà lezioni di come essere mature e contemporanee al tempo stesso. Bellissima. Vincitrice annunciata, a Giorgia fare gli scongiuri del caso.
Gaia - "Chiamo io chiami tu"
“Stare nuda e nessuna ti giudica” canta Gaia a inizio canzone. Dopo Dea saffica e Sesso e samba Gaia assesta un uno due con una canzone che ambisce a diventare una hit. Forse lo diventerà, per sfinimento, col titolo ripetuto decine di volte, ma non saprei se è quello il posto giusto dove presentarla. Poteva essere parte del cast di un Sanremo amadeusiano, con questa canzone, a voi le conclusioni del caso.
Bresh - "La tana del granchio"
Tifo Genoa. Potrei fermami qui, guasto d’amore. Ma Bresh porta una canzone pop, dove di rap non vi è traccia, con un ritornello notevolissimo, per melodia e testo, che ci dice come Genova, penso a Olly, a Alfa, a Bresh appunto, si stia riprendendo un bello spazio nel nostro maimstream. Forse il ritornello più orecchiabile, tolto il killer Cuoricini. Indubbiamente un ottimo modo per presentarsi a un pubblico più ampio di quello che già ha. E ovviamente forza Genoa.
Francesca Michelin - "Fango in paradiso"
Francesca si affida a Simonetta e Raina, e porta una ballatona che ci spinge a chiedere a gran voce: perché trenta canzoni? Una classica canzone di Sanremo, ma del Sanremo che non ambiva a durare anche nelle settimane successive al Festival. Per me la Michielin resta sempre un mistero, e questa canzone non mi aiuta certo a sciogliere dubbi e trovare soluzioni a enigmi. Già sentita.
Shablo - "La mia parola"
Peccato perché Tormento è una delle più belle voci soul che abbiamo in Italia, e Guè è un king del rap, ma questa è una canzone indegna. Base di maniera, su cui le parole scompaiono, coperte dalla caciara, e che finisce col pretendere di essere qualcosa che non ti fa stare fermo, anche se il solo movimento che è possibile e battersi una mano sulla fronte esclamando: che ti ho fatto di male?
Una notazione di servizio: nessun cantante, nessuna cantante, nessuna band, nessun cantautore o nessuna cantautrice è stato maltrattato mentre si scrivevano queste pagelle. Specificato che si tratta di trenta canzoni ascoltate in tre ore, tutte di fila, con un brano via l’altro, con te che stai scrivendo una cosa e nel frattempo dalle casse è partita una nuova canzone, è bene chiarire che sarebbe poco serio dire cosa è bello e cosa è brutto oggi, non fosse che qualcosa di particolarmente bello e particolarmente brutto è saltato agli orecchi, e quindi difficilmente altri ascolti cambieranno i giudizi. Per tutto il resto serve un ascolto più attento, per cogliere sfumature che al momento sono sfuggite. Non so se l’idea di nuovi ascolti sia poi così esaltante, pensando a qualcuna di queste canzoni, ma è un duro lavoro e qualcuno deve pur farlo.
Chiudo con due momenti epici credo che meritino di essere raccontati. Primo, durante gli ascolti a chi prende parte viene dato un plico, con su il proprio nome e cognome, nel quale sono contenuti tutti i testi. Roba che non si può portare via, né fotografare, almeno in teoria. I plichi vengono recuperati da solerti addetti della Rai, una volta terminati gli ascolti. Il mio plico, che ho tenuto sotto la poltroncina, dove avevo la mia borsa, è andato distrutto a causa del rovesciamento involontario di una bottiglietta d’acqua, sono stato un guastatore anche senza volerlo. Altro momento clou, quando Valerio Palmieri di "Chi", mio amico nonché uno dei pochi colleghi della Sala Stampa con cui fraternizzo, mi presenta, così di colpo, a Claudio Fasulo, autore e dirigente Rai. Il quale mi ha appellato “mitico Monina”, sottolineando come la mia penna sia sempre precisa e a fuoco, tralascio i complimenti sulla mia scrittura. Considerando che Fasulo è stato per anni al centro delle mie inchieste, quelle poi finite al centro dell’attenzione grazie a Pinuccio e Striscia la Notizia, oltre che DagoSpia, direi che chi è veramente potente si sa distinguere anche per questo, per quel suo stare al di sopra del bene e del male, sempre e comunque. Chiudo sottolineando come quest’anno il “lodo Laffranchi”, così l’ha chiamato Dante Fabiani dal palco, non è stato approvato, per cui non abbiamo dovuto aspettare sera per pubblicare i nostri pezzi. Fanculo i quotidianisti, e sottolineando come Mario Luzzato Fegiz che, a settantotto anni compiuti, novanta percepiti, che ha continuato a fumare la sua sigaretta elettronica cantando a voce piena “all’alba vincerò” per tutto il tempo attesta una volta per tutte come una vita di eccessi non sia un ottimo viatico per una vecchiaia altrettanto serena. Per adesso da Sanremo è tutto, almeno per oggi.