Dopo il successo di “Non mi riconosco” con Salmo e Mace, che lo ha fatto conoscere al grande pubblico, centomilacarie pubblica il suo primo album ufficiale, “IO NESSUNO” per Maciste Dischi distribuito da Universal. Per presentare in anteprima alla stampa i brani Simone, questo il vero nome ha invitato i giornalisti nella sede milanese della sua casa discografica, dove sparse fra un tavolo e l’altro c’erano delle cartoline rosse con delle illustrazioni identificative delle canzoni. Tra queste un putto riccio, alter ego dell’artista che in pose scomposte si anima, dando vita con le sue ali alle note del disco. Sui muri invece spicca la copertina, la faccia di Simone che per un gioco di sovrapposizioni appare come la maschera di sé stesso. Un brandello di una foto del proprio volto bruciata copre il vero volto di centomilacarie, duplicando graficamente il concept del progetto, “io nessuno”, la rivendicazione di un’identità immersa in una moltitudine.

Le tematiche sono quelle giuste per un ragazzo appena ventenne, che suona da quando ne ha cinque e canta da quando ne ha sedici. La scoperta dell’amore e delle delusioni d’amore, il sesso, la ricerca di evasione da un mondo che gli sta stretto e la necessità di crearsi un rifugio ideale. Centomilacarie al suo primo lavoro fa vedere come si costruisce un vocabolario e un immaginario personale, garantendosi uno spessore da autore, anzi da cantautore. Così le finestre diventano varchi per universi interiori (“Il cielo è una finestra Dove ogni giorno posso specchiarmi” canta in “parquet”, oppure in “solite cose”, “Apriti che sei una finestra chiusa sul mare”) e i corpi tele su cui dipingere la passione (“Le mie dita rosse cremisi, cremisi, cremisi, I tuoi versi così timidi” dice in “quasi nuda”). Non manca però l’attenzione alla realtà, che nel suo caso è incarnata dalla provincia di Varese, descritta con fare da cronista nel brano “tg1” (“Festeggio il mio compleanno in un centro scommesse Da me hanno la tuta però non fanno jogging”).

Simone ha una scrittura istintiva, tende a scrivere e registrare di getto, conservando tutto l’impeto creativo, che ritorna energicamente all’ascoltatore. Ha la capacità di cogliere immagini di vita quotidiana come un pittore impressionista, come la suora di cui canta in “parquet” che cela una storia di tossicodipendenza. Nasconde le siringhe ai figli di una coppia di tossicodipendenti, cercando di preservarne l’innocenza, come anche centomilacarie cerca di fare raccontandolo. Mentre risponde alle ultime domande sui testi e sui futuri concerti (il 13 marzo inizia un piccolo tour a partire da Bologna), su una parete vengono proiettate le scene del film d’animazione “La Planète sauvage” disegnato da Roland Topor nel 1973 con la regia di René Laloux. Prima di andare via gli chiedo il perché di questa scelta, visto che ha ribadito di curare tutti gli aspetti del progetto personalmente, ma stavolta è opera di Macisti Dischi, che ha visto in quel pianeta selvaggio antico il mondo di Simone. Però “sono fan” specifica centomilacarie, a riprova del fatto che si sente ben compreso dai suoi discografici, come non sempre accade ormai.
