Luca Goldoni, nome che a troppi non dirà nulla, non è stato solo un giornalista, un cronista, ma anche un testimone, a modo suo (e il suo modo era, chiaramente, scrivere). Ho sempre pensato che il fascismo fosse qualcosa di simile a ciò che raccontò in Benito contro Mussolini nel 1993. Il fascismo è sempre stato un “fascismo sbagliato”, deviato, un mussolinismo piuttosto. La guerra, che non è stata solo guerra fascista, riguardava i capi, la fine della guerra il popolo: “La pace fu quella sera che dissi a una ragazza: ‘Ti vengo a prendere dopo cena’: la caricai sulla canna della bici, tenevo il naso nei suoi capelli, mi sembrava irreale pedalare nella notte dopo anni di coprifuoco”. Quel periodo, in altre parole, fu contraddistinto da un gregarismo spersonalizzante, che si poteva dire superato solo riappropriandosi del quotidiano. I libri sul fascismo non parlano più in questo modo. Oggi sono sentenze di tribunale, documentazione storiografica montata insieme, a volte con lo scopo di formare – scrivere non è il verbo giusto – anche quattro romanzi, di cui uno vincitore dello Strega (che evidentemente non sa più distinguere un libro di narrativa da un macello di subordinate e date).
Non è il caso di Benito di Giordano Bruno Guerri (Rizzoli, 2024), che racconta la storia di un uomo e della sua epoca, senza forzare la mano per attualizzare le vicende del Ventennio, senza nessun prurito da bestsellerista. Vi avevo già parlato della sua tesi qui. Quello a cui abbiamo assistito è un governo mussoliniano, fondato sull’idea di Stato e su Mussolini, più che sul fascismo. Parlando di Galeazzo Ciano, Guerri ricorda: “Il ministro non era, e non si sentiva, fascista. Aveva mancato, per motivi di età, gli anni dello squadrismo e della scalata al potere. Non doveva tutto a Mussolini – non ancora – e il suo spirito era borghese e conservatore, affatto rivoluzionario: un motivo in più per non essere amato fra le gerarchie del regime di ogni grado”. Non era, e non si sentiva. Se il nazismo aveva immaginato una classe dirigente ineludibilmente nazista, il fascismo fece, allo stesso tempo, di più e di meno. Immaginò un potere assoluto, dunque oltre l’ideologia, che però si portava con sé l’arroganza che l’ideologia tiene a bada, grazie alla strategia. Resta da chiedersi. Se quel fascismo lì fu in realtà un mussolinismo, gli antifascisti di oggi che gridano al ritorno del fascismo, contro cosa combattono? Probabilmente la risposta è: quasi nulla. “Per dirsi fascisti o antifascisti occorrerebbe sapere cosa fu il fascismo. E, ancora di più, sapere che in Italia i fascisti furono pochissimi, neanche Mussolini lo era, lo abbiamo visto nella storia che abbiamo raccontato. Per questo motivo, prima di dichiararsi antifascisti, sarebbe bene dichiararsi antimussoliniani, visto che grande parte del nostro popolo – democraticamente, spaventevolmente – ha continuato a sperare in un capo salvifico (Berlusconi? Renzi? Grillo? Draghi? Meloni?) che di tutto si faccia carico, che tutto risolva per poi attribuircene il merito. Mai la responsabilità, sia chiaro”.