Sono bastate le anticipazioni della puntata di Report di domenica 27 ottobre, un attacco al Governo, per determinare le dimissioni di Francesco Spano, il Capo di Gabinetto del neo ministro della cultura Alessandro Giuli. Ma come mai viene sempre preso di mira quel ministero? C’è qualcosa che accumuna il caso di Vittorio Sgarbi, quello di Gennaro Sangiuliano e, ora, quello di Giuli? Prima della messa in onda della trasmissione, abbiamo parlato di cosa sta succedendo con Giordano Bruno Guerri, da molti a sua volta ben visto come possibile ministro della cultura, noto storico e saggista italiano, oggi direttore del Vittoriale, in libreria con “Benito. Storia di un italiano”. Ma abbiamo affrontato con lui anche altri temi, dai valori che oggi portano avanti destra e sinistra, da che tipo di opposizione c’è in Italia con Schlein e Conte, passando per l’abusato termine “fascismo” fino ad arrivare al concetto di egemonia culturale. Un’intervista totale al massimo esperto di fascismo, e non solo, che abbiamo nel nostro Paese.
Che idea si è fatto dell'affaire Giuli?
Giuli è sottoposto a un attacco strumentale, ci si appiglia a qualsiasi cosa pur di andare contro di lui, come al linguaggio. Il suo è un linguaggio alto ma comprensibile a una persona colta. E Giuli parlava alla Camera e, a Francoforte, a un pubblico di scrittori. Chi non lo capisce, fa finta di non capirlo o non cerca neanche di capirlo. Il compito dei giornalisti dovrebbe essere quello di trasmettere con semplicità il suo pensiero, non di sbeffeggiarlo. Ci si occupi dei contenuti, è modesto ironizzare sull'infosfera e sul pensiero solare. E chiunque ami i libri li annusa con piacere, appena stampati.
Però un politico deve parlare anche al popolo, non solo alle persone alte.
Un politico deve parlare alle persone alte e al popolo. Giuli è in grado di fare entrambe le cose, sceglie le situazioni in cui lui ritiene opportuno parlare in un modo piuttosto che in un altro e secondo me si diverte pure a sfottere.
Cosa ne pensa di quello che è successo al suo capo di Gabinetto Spano?
Giuli ha tutta la mia solidarietà perché ha il diritto di scegliere chi vuole come suo principale collaboratore e il fatto che abbia scelto uno di sinistra, che per di più per i suoi gusti sessuali irrita una certa sensibilità, gli fa onore: ha dimostrato indipendenza, volontà di operare secondo i suoi criteri, che è quel che un ministro deve fare. Se non rompe gli schemi un ministro della cultura, chi li rompe? Ha anche dimostrato grande coraggio e indipendenza intellettuale nell'attaccare il clericalismo reazionario, che nel nostro paese è presente ed è molto potente. Certo, ha mancato di prudenza, ma non di coerenza.
Ha nominato i gay. Sembra una notizia eclatante che ci siano i gay a destra.
All'Indipendente, nel 2005, volli una rubrica tenuta da Daniele Priori, gay dichiarato ed esponente della destra, che si chiamava la Gaya Scienza. Gli omosessuali di destra esistono e hanno diritto di parola, così come hanno diritto di esercitare liberamente la propria sessualità. Se non piace agli estremisti della destra, possiamo tranquillamente dire che il conservatorismo a volte reazionario di una certa parte della destra non piace alla destra libertaria, che pure esiste.
Da questo governo i gay non sono malvisti, ci sono direttori di giornali, intellettuali o politici dichiaratamente gay.
Solo una minoranza non ne fa mistero, per timore di perdere punti. Meloni è di gran lunga superiore al mondo che la circonda, per visione politica, ha un pensiero più aperto, sa che la società non si può fermare né si può cambiarla bruscamente con le leggi.
Sgarbi, poi Sangiuliano, poi Giuli, sembra che sia preso di mira in modo specifico proprio il Ministero della Cultura.
Sgarbi è capitato in incidenti sgarbiani che hanno costellato tutta la sua cultura e la sua vita. È un amico, gli voglio bene, con una grande stima, anche se ogni tanto deborda, esce di strada. Sangiuliano ha avuto un incidente di ingenuità provocato da lui, peraltro, con l'ovvia complicità della signora Boccia. Adesso, con Giuli si è individuato nel Ministero della Cultura un punto debole, attaccabile, proprio per questi due precedenti. Quindi non si aspetta altro che il modo di dare addosso a un nuovo ministro.
Perché questo?
Perché il governo e molti intellettuali di destra non fanno che parlare di un’egemonia culturale che va conquistata, ma mi trovo del tutto in disaccordo con questa ipotesi: l'egemonia culturale non si conquista occupando posti, si conquista con le opere, i pensieri, sviluppando cultura.
Beh, ma è anche una provocazione della destra, perché erano decenni che si sentiva parlare di egemonia culturale da parte della sinistra.
È vero, ma non si ripetono gli errori dell'avversario. Quello che la destra deve fare è una narrazione della cultura di destra, che è sempre esistita, esiste ancora e ha avuto fortissimi rappresentanti.
A proposito di cultura, vogliamo mettere fine alla propaganda di sinistra per cui questo governo è fascista? Lei è in libreria con “Benito. Storia di un italiano”. C’è o no il rischio di un ritorno a quegli anni?
Il pericolo fascista è un feticcio che conduce su una strada sbagliata. Non c'è nessun pericolo di ritorno al fascismo, è ridicolo solo pensarlo. Verrebbe da ridere anche a La Russa pensare a quel fascismo applicato oggi. Il fascismo che oggi può verificarsi è quello di un controllo intellettuale sulla vita delle persone con gli algoritmi, con i social, con il politicamente corretto, questi sono i veri pericoli.
Politicamente corretto portato avanti dalla sinistra.
Credo che la libertà dell'individuo sia quanto di più sacro da difendere e valorizzare e questo la sinistra non lo fa, perché si occupa delle masse, non più come massa operaia, ma come massa sociale che va educata con il politicamente corretto ecc. Mi auguro la destra non faccia lo stesso errore tentando di massificare i suoi elettori. Esemplifico: cercando di imporre il modello Dio-Patria-Famiglia. La sinistra commette anche l’errore di parlare continuamente di fascismo ipotizzando un pericolo irrealizzabile, mostrando uno spauracchio assurdo. Quello che dovrebbero dire è che si ha paura di una democrazia autoritaria. Se la sinistra oggi parlasse del timore della democrazia autoritaria sarebbe un discorso comprensibile, logico e accettabile, perché questo rischio c'è sempre, la democrazia autoritaria è una costante della storia fin da dopo la Rivoluzione francese.
Democrazia autoritaria nata in Italia è con Crispi.
Sì, quattro volte capo nel governo a fine Ottocento, è lui è il padrino nobile della democrazia autoritaria in questo paese, ma anche di un’apertura democratica che prima non c’era: diritto di sciopero, ampliamento del diritto di voto. Non a caso sto preparando per la Rai un docufilm su Crispi: è l'uomo che, fatta l'Italia, si è preso il compito di fare gli italiani e nessuno gli riconosce questo ruolo.
A proposito di Crispi e Rivoluzione francese, chi è tra destra e sinistra che sta rimanendo fedele ai valori fondanti di destra storica e sinistra storica?
Certamente la destra, perché sono appunto i valori riassumibili grossolanamente in “Dio, patria e famiglia”, mentre la sinistra non ha più il proletariato al potere, non opera più molto sul piano sindacale e quindi punta tutto sui diritti sociali, che sono nuovi per il suo storico elettorato, anche se il suo elettorato lo sente molto più della destra.
Tornando a oggi, come si spiega che la Schlein e Conte si uniscono e si dividon: alle regionali si presentano uniti, in Parlamento si presentano divisi. Cos'è, oggi, l'opposizione?
È un'opposizione debolissima, senza strategie, senza unità, direi quasi senza speranze, che fa casino. Il Paese ha bisogno di un'opposizione sana, coesa, pensante e non umorale. Invece continuano con la retorica sul fascismo, che sembra il loro unico punto culturale, ed è preoccupante. Francoforte, con tutti quegli intellettuali, di destra e di sinistra, era un'occasione unica per ripensare il Paese, per proporre idee, ma si è parlato soprattutto di fascismo, Scurati e Saviano. È una follia.
Come mai ha scelto di pubblicare il suo libro proprio ora?
Un libro su Mussolini me lo chiedevano da quarant’anni, ho scelto di farlo ora proprio per il momento storico che stiamo attraversando. Sentivo che c'era bisogno di dire che il fascismo non è mai esistito in Italia: era una religione della politica basata sulle idee di Gentile, alle quali non credeva neanche Mussolini. Si parlava di fede, credere, obbedire, combattere, ma erano parole vuote, pochissimi avevano quel tipo di fede: l'uomo al di fuori dello Stato non è niente, ve li immaginate gli italiani, anche di allora, credere in una cosa simile? Non abbiamo avuto il fascismo, abbiamo avuto una dittatura basata sul mussolinismo. Siccome abbiamo avuto una dittatura, chiamiamola dittatura, e come tale decisamente inaccettabile. Ma la pretesa che ci si debba dichiarare antifascisti… io non ho nessun problema a dirlo, viene in secondo piano, perché io sono libertario, che è molto di più di antifascista. E poi, riguardo all’oggi, si dovrebbe casomai parlare di neofascismo, molto diverso da quello originale. Allo stesso modo gli antifascisti si dovrebbero dire “neoantifascisti”, perché una cosa era esserlo allora, quando si rischiava la galera, una cosa è proclamarlo adesso, quando si rischia solo un applauso.
Si fa quindi del falso revisionismo storico?
Magari, ma non si fa neanche revisionismo, perché per farlo bisogna conoscere la storia. Il libro dovrebbe servire, appunto, a questo: spiegare questo è accaduto in Italia negli anni Venti e Trenta, indicare che il pericolo è nel pensiero unico, o omologato, e nel desiderio di un “uomo forte”.
Tornando al caso Giuli, come giudica il comportamento di Ranucci?
Ranucci è un giornalista, fa il suo lavoro, fa inchieste legate al suo orientamento politico. E sta applicando, con abilità, certe pratiche di comunicazione. Sta mirando ad abbattere il governo, perché questa è la sua ambizione finale, e lo fa dosando sapientemente la comunicazione. Ha creato sulla puntata di oggi un'aspettativa come se fosse un giudizio divino sul governo, è stato abilissimo. Ho voluto parlare prima della puntata perché non voglio dire le cose a posteriori, le voglio dire adesso: ho stima di Giuli da oltre vent’anni, quando lo volevo assumere all’Indipendente, invece andò al Foglio. Se salteranno fuori responsabilità e colpe, discuteremo di quelle.
Si può trarre, quindi, la conclusione che ci sia un unico “disegno” per screditare in modo mirato il Ministero della cultura?
È il Ministero più temuto e ambito perché è quello da cui transitano concetti e si realizzano idee. L’errore di partenza, da rimediare, è stato chiamarlo “Ministero della cultura”: il suo ruolo è fare il “Ministero per la cultura”.
Ma lo accetterebbe mai quel ruolo?
Adesso, davvero no, non sono un uomo d'ordine, il gioco di squadra non è nella mia natura, nelle mie intenzioni.
Si dice che su questo tema lei ce l'abbia un po' con governo per non essere stato preso in considerazione, è così?
Non per il Ministero certamente, ma avrei potuto fare altre cose, anche se sono contentissimo di quello che faccio. Sto bene al Vittoriale, a parte risanarlo, renderlo un motore di cultura amato e redditizio, la vera impresa è stato liberare d'Annunzio dai pregiudizi. Questa è stata una grande operazione di “egemonia culturale”, come la chiamerebbe qualcuno. Ho cambiato la vulgata, il parere che circolava ovunque è mutato e ho ridato a questa figura il ruolo che gli spetta, ovvero di modernizzatore, innovatore, uomo libero. Amo lavorare, le sfide. Tutti i miei libri, nessuno escluso, tendono a cambiare un'idea ricevuta.
D'Annunzio era un uomo molto temuto da Mussolini.
Sì, perché ne conosceva le qualità intellettuali e il coraggio. Purtroppo, negli ultimi anni di vita d'Annunzio non le ha esercitate, a parte l’ostilità dichiara a Hitler. Fu una sua scelta che ci ha danneggiato.
Una battuta sulla parola pederasta?
Una parola che non si sentiva più da mille anni, ma chi l'ha detta probabilmente non ne conosce neanche il significato. Il pederasta è uno a cui piacciono i ragazzi giovani e non risulta che l’accusato abbia la minima propensione verso quel tipo di uomini, anzi è sposato con un coetaneo.