“E lei , generale, si sente offeso dalle accuse nei suoi confronti?” gli chiedono nello studio televisivo immaginario che fa da filo conduttore a queste memorie contenute ne “Il coraggio vince”, il nuovo libro del generale Roberto Vannacci. La risposta è la seguente, ve la riporto così come scritta nel libro: “Certo che mi sento offeso. Accusare qualcuno di razzismo è un fatto grave: il razzismo è un reato. Senza contare l’omofobia. Dare del fobico a qualcuno significa dargli del malato. La fobia è una patologia psichiatrica. Accusare una persona di essere fobica equivale a privarla della dignità di interlocutore: chi parla con un malato psichiatrico?”. Non voglio aggiungere altro. Ma non è un caso se il libro si intitola proprio “Il coraggio vince”, e se fosse stata idea di qualcuno della casa editrice la troverei geniale e perfida. Il coraggio vince, la fobia perde. Chi parla con i fobici? Chi parla con chi ha disturbi psichici? (Oh my God!).
Per il resto il libro racconta di Vannacci, ospite in un talk show, che lui affronta come fosse in battaglia. Gli altri sono il nemico. Lui è lì, con le sue qualità, pronto a batterlo. Ogni sua risposta è azzeccata, racconta. Ogni trabocchetto abilmente superato, sostiene. Il pubblico applaude, racconta. Il pubblico scroscia, narra. Ogni domanda è una maniera per fare riaffiorare un ricordo. Dall’infanzia in cui tendeva la pargoletta mano verso gli uomini di colore alle campagne militari. Lo stile è quello de narrare monocorde che ispira quasi tutta la nostra letteratura “impegnata”, in questo, il generale Vannacci si dimostra valido incursore nella scarsissima qualità letteraria italiana. Così ci racconta gli anni del suo addestramento. Lui è sempre il più bravo, il più coraggioso, il più portato. Non lo mettiamo in dubbio: se è diventato generale un motivo ci sarà. Immagino anche che l’autoincensamento sia una delle caratteristiche necessarie: raccontare i propri successi sul campo. Di sicuro l’autoincensamento è una delle caratteristiche della politica. E nell’autoincensarsi, Vannacci è imbattibile! Da come si racconta appare agli occhi del lettore come un incrocio tra Bear Grylls e… chi è il più bravo partecipante ai talk show televisivi? Quel volto che non sbaglia una risposta? Colui o colei in grado di stendere interlocutori, di attirare verso sé l’amore del pubblico? Non so neanche se esista. Ma esiste da oggi. Ecco: Vannacci, da come si racconta, sembra un incrocio tra Bear Grylls e Vannacci. Che poi può pure essere vero. Non ha emozioni. Tranne la dipendenza da adrenalina (immagino che la dipendenza sia una qualche forma di emozione, ma potrei sbagliarmi, dovrei forse chiedere a qualcuno esperto in disturbi psichici, ma non ne esistono, chi parla con i malati psichiatrici?): “Sono drogato di adrenalina, sempre più dipendente da emozioni che niente nella vita normale mi può regalare. Quant’è bella questa anormalità”.
Immagino che per diventare incursori sia una qualità. È un uomo alfa. I racconti di guerra si fanno leggere bene. Sono racconti di “azioni”: linguaggio piatto, nessun approfondimento psicologico (tranne l’adrenalina). E poi molte spiegazioni, rassicurazioni, sul suo presunto razzismo e sull’omofobia. Mi aveva quasi convinto, devo dire: le sue idee non saranno condivisibili, ma, come dice Vannacci nel libro: "Le garanzie sono date dai fatti e dalle azioni, non dalle idee”. Concordo, concordissimo. Sono per l’assoluta libertà di idee e di parola, contano i fatti. Mi aveva quasi convinto. Poi però quella frase sui malati psichiatrici. Nessuno parla con loro, sostiene il generale. Né le loro famiglie, né i loro amici, né i loro medici, né chi si prende cura di loro, né chi li ama. Di sicuro non si tratterà di paura, questa convinzione di Vannacci che nessuno parli con soffre di disturbi psichici. Perché lui è coraggioso. Il coraggio vince sempre. Basta non parlare con i malati psichiatrici.