Ci concediamo subito un tocco di realismo tinto di cinismo e poi si parte con la Legge. Se un testo come quello di 50 Cent e Robert Greene (“La 50esima legge” esce per i tipi di Baldini + Castoldi) va preso sul serio, è perché viviamo in un mondo abbastanza del ca**o in cui la soddisfazione media dell’individuo medio – per soddisfazione si intenda: sono felice di svegliarmi ogni mattina alle 6.45? Ehm, no – è scarsa. Aggiungeteci che questo dato del tutto empirico è già stato intuito – e non di recente – anche da chi, su tal dato, non ha fatto alcun approfondimento professionale, ossia da migliaia di YouTuber, influencer, life coach, venditori di fuffa assortiti che hanno sintetizzato il loro mirabolante messaggio motivazionale in un corretto ma gravemente parziale “credi in te stesso”, frasetta “da bomber” che può arrivare, in tutta la sua prepotente precarietà, sia alle orecchie di un Neet 16enne che vuole convincere la madre che può campare a vita coltivando la maria in giardino (“basta che creda in me stesso, zia!” – non “mamma”), sia a un Flavio Briatore che… Che “sì, grazie, ma lo sapevo già”.
In questo contesto, “La 50esima legge” è un testo motivazionale che invece si prende le sue brave 318 pagine per farsi capire (bene). Per gli impressionabili: sono 5 ore e 4 minuti di lettura, dice Google. You can do it. Ma torniamo alla (non così) strana coppia 50 Cent/Robert Greene. Il primo – all’anagrafe Curtis James Jackson, classe 1975 – è un rapper dal talento talvolta impalpabile che nel 2003 spacca tutto con “In da club” e il relativo album, “Get rich or die tryin’”. Messo sotto contratto da Eminem e Dr. Dre, diventa una figura di spicco dell’ondata gangsta di inizio millennio, forte di un retroterra biografico davvero pesante (diverso da quello di Tony Effe, per capirci) in cui spiccano le 9 pallottole che il buon 50 si beccò nel 2000, materia che ovviamente ha ispirato svariate rime del Nostro. E Greene? Scrittore e giornalista, “conosce approfonditamente ed usa come ispirazione le vicende storiche dell’antica Grecia, della cultura classica latina e dei grandi personaggi che l’hanno scritta per indagare i comportamenti umani archetipici e come questi tessono, in ogni epoca, le dinamiche di potere del mondo in cui viviamo”. Così dice 4books, semmai non lo aveste mai sentito nominare. Ecco la coppia, ecco l’alchimia, ed ecco una 50esima legge che individua nella paura ciò che impedisce all’uomo di innalzarsi, realizzarsi, svegliarsi alla mattina con un sorriso e non con un rimpianto: che una delle 9 pallottole destinate a 50 Cent non abbia invece raggiunto lui, nel letto, prima che la sveglia starnazzasse un’altra volta.
Cosa dice quindi la Legge in questione? Che “le tue paure sono una specie di prigione, e ti confinano entro un raggio d’azione limitato. Meno avrai paura, più avrai potere e più vivrai pienamente”. Il volume – qui sta la sua credibilità – prende in realtà forma nel 2007 quando Greene, l’accademico dei due, incontra Fifty e ne viene ispirato, tanto da vedere nel suo coraggio qualcosa che lo avvicina ad alcuni grandi condottieri della Storia. I due parlano, si confrontano. E con l’andare della reciproca conoscenza il libro prende vita. Nel frattempo, soprattutto negli States, la figura dello spacciatore – non più un banale criminale, bensì un modello di imprenditoria alternativa, quella del ghetto capitalism, a cui aspirare – viene abbastanza sdoganato, tanto che oggi, per ogni 3-4 spacciatori o ex spacciatori veri che rappano, ce ne sono 200 – tutti molto babyface – che “dio mio, quanto avrei voluto essere uno spacciatore del Southside Queens, alla Fifty, anziché, uffa uffa, essere andato a scuola a prendere dei “non classificabile” in algebra”. Questa è la situazione, oggi. E oggi leggiamo un testo in cui l’epopea dello spacciatore medio (quella è la parte più di Fifty, ovviamente) diventa una metafora di vita importante. “La 50esima legge” – che va letto! – si regge quindi su un ping pong ardito e appassionante. Da una parte c’è Fifty, che ci parla dell’importanza del “setup” e del fatto che uno spacciatore, prima della polizia o del leader di una gang rivale, deve temere “la propria mente che si ammorbidisce”; dall’altra Greene, che disserta di moralità citando Niccolò Machiavelli (altrove, Greene, se la gioca in modo meno immediato, citando anche Ernest Shackleton, l’esploratore inglese, e il Sublime). Un ping pong divertente ed eloquente, da approfondire. Visto che già dalla premessa, il grande colpevole di questo moderno “stato di paura”, è presto individuato: i media. Greene e Fifty provano a prendere la Storia, o la loro storia, per raccontarci l’arte del coraggio. Un coraggio mai improvvisato. Figlio di una legge, la cinquantesima.