Vivo auspicio per il bene dei suoi allievi è che Piergiorgio Pulixi, scrittore sardo, astro nascente e insegnante di scrittura creativa alla Feltrinelli, non porti loro ad esempio di narrazione il suo ultimo La donna nel pozzo (Feltrinelli of course), titolo di alta classifica perché assolutamente mainstream quanto a facilità di lettura, banalità dello stile e superficialità della trama, che sono gli ingredienti necessari oggi a decretare un successo editoriale. Il romanzo è di un genere ibrido che accoglie (nella linea del resto della sua intera produzione) elementi del cozy crime (nonostante i troppi morti), del mystery, del polar e del noir - sotto le insegne del quale è principalmente visto da critica e mercato per via della filiazione che lega l’autore cagliaritano a un riconosciuto ierofante della “metà oscura” qual è Massimo Carlotto - ma rimane comunque un giallo, dove devono figurare le tre parti canoniche del modello: vittima, reo e investigatore. Ora, regola inderogabile del giallo è che, data una o più vittime, l’inquirente deve cercare il colpevole dentro la cerchia dei personaggi che compongono la diegesi, smascherandolo al culmine di indagini condotte sul conto di figure già note al lettore. Se il colpevole si rivela invece una figura estranea al complesso narrativo imbastito, apparendo sulla scena solo alla fine e proprio per segnare la svolta impresagita, il giallo muta da poliziesco a romanzo d’ambiente e perde il triplice carattere di cui è stato dotato dalla cultura anglosassone nelle specie dell’howdunit, del whodunit e del whydunit, chiavi che rispondono alle domande di base “chi”, “come”, “perché” che il lettore vede potersi porre in progress, così contribuendo con l’autore - Eco docet – alla soluzione. Se manca questa collaborazione fatta di complicità, l’autore non ha motivo alcuno di disseminare indizi che tengano il lettore a lui vicino, sfidandolo nella sua capacità di anticiparlo. Nel suo Decalogo del giallo il britannico Ronald Knox raccomanda infatti all’autore di fornire al lettore gli stessi elementi di indagine in possesso dell’investigatore protagonista del giallo e G. K. Chesterton ritiene essenziale il coinvolgimento del lettore nella soluzione del mistero sulla base dei dati comuni a lui quanto all’autore.
Cosa ha fatto invece Pulixi? Ha ingannato il lettore, trovando non in uno ma in due personaggi “sconosciuti” ed estranei l’origine dello stucchevole rosario di omicidi e suicidi che costellano il romanzo. Un tradimento vero e proprio del genere giallo che lascia il lettore - impegnato ad addensare sospetti sul vedovo della vittima principale, sui carabinieri, sui genitori di una vittima, poi sul sindaco dirigente scolastico, quindi pure sulla vecchia insegnante - di fronte a un fatto nuovo tale da segnare un cedimento totale della spannung, oltre che una cocente delusione e una solenne fregatura. In sostanza quando il lettore è costretto ad arrendersi perché non riesce a trovare l’assassino e perciò si mette in attesa di conoscerlo dall’autore, levandogli nel frattempo sentite lodi essendo stato capace di tenerlo sulla graticola, ecco spuntare letteralmente dal nulla facce nuove e inavvertite che si ergono a protagonisti. Diventa in questo modo troppo facile a un autore montare un giallo, arricchirlo con motivi noir, circonfonderlo nel mystery, per fare infine la sorpresa del romanzo aperto e cosiddetto di variazione. Il poliziesco tout court è uno spazio riservato ai soli invitati, quelli scelti dall’autore. Una volta fatte le presentazioni, non sono più ammessi nuovi arrivi. Sarebbe altrimenti come ordinare al ristorante un piatto dal menu e vedersene servire un altro con ingredienti in parte non segnalati. O come costruire un mosaico utilizzando i pezzi di ricambio anziché quelli in dotazione. Se Pulixi, già in passato lesto a ricorrere a tali espedienti, insegna ai suoi allievi che questo si può fare – e certamente si può fare volendo proporre varianti e tentare la missione impossibile di compenetrare in un thriller il giallo che il noir, sfere fatte solo per convivere, indagando aspetti l’uno generali e sociali, l’altro individuali e psicologici – deve raccomandare loro di non spacciarsi per giallisti o noiristi: inscenando per esempio, come ha fatto lui in questo romanzo, una iniziale “spia” indicata come l’artifex alla cui identificazione il lettore sia subito chiamato a cooperare. È una questione di credibilità. La stessa che mina tanto la fabula quanto l’intreccio. La prima ricorda vagamente il caso di Manuela Orlandi e delle altre ragazze (fortissima la sensazione che Pulixi ne abbia voluto fare uno spin off) e rinverdisce reali pagine di cronaca degli anni a cavallo tra Ottanta e Novanta quando nel Sulcis si ritrovarono alcuni criminali siciliani della Stidda che colonizzarono Carbonia istituendo una rete dello spaccio e del pizzo. Per soprammercato Pulixi attribuisce alla cosca anche la titolarità di un giro di prostituzione minorile nel quale si trovano in forme diverse coinvolte quattro ragazze tre delle quali muoiono suppostamente suicide e l’altra di morte violenta. Sull’onda lunga di tali torbidi si contano altri due cadaveri e un terzo portato sul punto di diventarlo.
Un trentenne nerd e sfigato, costretto dalle circostanze a operare come ghostwriter per un Premio Strega che non riesce più a scrivere un rigo di mano propria e di cui è succube, così timorato da non essere in grado di dire ciò che pensa, si rende inopinatamente lucidissimo, temerario, dotato di acume e scienza tecnologica, arrivando a scoperte degne di un suo nuovo romanzo di grande successo, che non si capisce perché, diversamente dal precedente, baciato dalla fortuna, debba (per decisione di un editore truffaldino e malfattore che ha però il genio dell’editoria) essere fedelmente ispirato, alla Truman Capote, a fatti realmente avvenuti. Come due pseudo-scrittori in taccia di para-giornalisti, uno anonimo ed estenuato, l’altro in disarmo e posapiano, possano rivelarsi nelle vesti di impavidi Jimmy McNulty e Bunk Moreland di The Wire rimane questione di credibilità da risolvere insieme con quella di un editore galeotto e burino che uscito “dar gabbio” fa fortuna grazie a un illeggibile libro sulla redenzione di un detenuto una copia del quale riesce a mettere in mano a Papa Francesco fotografandolo mentre il pontefice versa gocce di sudore date per lacrime di commozione. Sob! In galera è stato anche lo scrittore famoso, caduto in disgrazia e in miseria ma poi tornato beniamino delle folle, molto magnanimi davvero nel cancellare la sua fedina penale, ipotesi questa sicuramente dell’irrealtà. Non meno irreale l’intreccio. Un prelato sporcaccione ordina a un sacerdote suo sottomesso di tenere per sedici anni sott’occhio una ragazza testimone di un delitto vecchio di trent’anni e poi di mandarla al creatore quando mostra segni di rimorso. A una coppia di coniugi altrettanto informati dei fatti l’alto prelato fa invece avere la licenza per avviare un rinomato ristorante e dà lavoro ai due figli, salvo poi ordinare che il marito sia ridotto in frantumi dagli amici stiddari – guardacaso ancora attivi – per impedirgli di parlare ai due scrittori che però nessuno molesta e che peraltro l’oste ha cacciato via. Aleggia su tutto il romanzo un senso icastico e iperbolico di eccesso, di improntitudine, l’intento di fare quadrare le tessere contro anche la logica e il buon senso. Ma al lettore mass-cult di oggi, che non si fa molte domande, non vuole essere trascinato in un rompicapo che gli chieda sforzi di concentrazione ed è di gusti spicci, va bene ogni accrocco, ancor più se fa ridere. Il talento di Pulixi è stato quello in realtà di far parlare romanesco stretto editore e celebre scrittore, sortendo risultati decisamente esilaranti. Ma il merito in questo caso è tutto dei Noantri.