Possibilmente evitare di iniziare un romanzo con una lettera. Necessariamente evitare di iniziare un romanzo con una lettera di Italo Balbo (di cui ha parlato nel suo ultimo libro Giordano Bruno Guerri). È uscito il quarto monolite libresco di Antonio Scurati, M. L’ora del destino (Bompiani, 2024), che auspicabilmente sarà anche l’ora della campanella, ultimo capitolo di una saga prodotta al cinquanta per cento da altri e non dall’autore, che si sorprende di aver scritto tremila pagine, di cui però una gran parte sono in realtà documenti e fonti storiche (chiaramente non scritte da lui). Ci sono critiche sottili, come quella che gli mosse Ernesto Galli della Loggia per il primo capitolo, quando Scurati chiamo nel suo libro Benedetto Croce “professore”; lui, che professore non voleva essere definito. Poi ci sono critiche meno sottili, come quella fatta da Luca Beatrice su Libero, che nota come lo scrittore antifascista parli solo di fascismo, non solo nel libro, ma nei discorsi – preparati – per la Fiera di Francoforte. Discorso del tutto orientato al presente, visto che, con il professor Croce, la storia dovrà pur servirci a qualcosa (figurarsi le storie scritte da Scurati). Presente nero, nerissimo, in cui l’ondata fascista farà precipitare l’Italia nell’abisso. Giorgia Meloni, figlia del secolo scorso, per dirla con le parole di Scurati. O, sempre con Scurati, per essere più diretti: radici nazifasciste. Le stesse che rimprovera ad Alessandro Giuli, altro apprendista chiacchierone.
Oppure si possono muovere critiche che controbilancino il dispendio di tempo che un volume di oltre seicento pagine ti impone. E chiedersi se la “M” di Mussolini, nel frattempo, sia diventata una “m” di mattone. Né all’altezza del saggio storico (che pure può essere scritto con grande raffinatezza letteraria; si pensi, per restare in Italia, a Luigi Mascilli Migliorini, lui sì professore, e basti un consiglio: 500 giorni uscito per Laterza). Né all’altezza del romanzo storico (non si dovranno citare i soliti Baudolino e Il nome della rosa). Piuttosto, una finta, un bluff. Una stranezza del Premio Strega, che premiò questo testo (o tema) a distanza di pochi anni dal vero capolavoro italiano recente sull’epoca fascista, Canale Mussolini di Antonio Pennacchi, libro per altro di cui si continua a parlare troppo poco, mentre di questa neo-tetralogia non si fa che discutere. Vuoi per la censura Rai dello scrittore, per la censura francofortese, per la censura onirica, cioè che se la sognano, che se la immaginano loro, i Saviano e gli Scurati, che intanto pubblicano con grandi editori e scrivono per grandi giornali e vanno in tv (Saviano anche nella tv dei fascisti, la Rai). Vuoi perché si sentono tutti, oggi, un po’ (o)scurati dal governo, ma di questi libri si parla e si parlerà. Poi in quanti lo leggeranno? Una volta sì, due pure, ma quattro volumi da seicento pagine non sono un po’ troppo? Si potrebbero leggere i sette volumi della biografia di Mussolini scritti da un campione di stile come Renzo De Felice, o la Storia del fascismo di Emilio Gentile. Se avete paura del fascismo, timore legittimo, come ogni sentimento irrazionale, cercate a pochi euro, nelle librerie che vendono l’usato, Giorgio Bocca. Il filo nero. Almeno per godersi una grande penna.