Rodi, Mykonos, Santorini, come dice Petros Markaris nella prefazione a La linea dell’orizzonte di Christos Vakalopoulos, pubblicato dalle edizioni Medhelan e tradotto da Francesco Colafemmina. Ma anche Punta Presuti (o Prosciutto), Porto Selvaggio, entrambe in Salento, o la Baia del Buon dormire in Campania, Cala Goloritzé in Sardegna (fate un gioco, passate in rassegna le spiagge un tempo segrete che vi vengono in mente). Queste spiagge non vogliono più essere loro stesse. A dirlo è il Pasolini greco, morto giovanissimo, nel 1993, in un romanzo profezia del 1991. La linea dell’orizzonte, ma avrebbe potuto chiamarsi anche Nessuna linea, nessun orizzonte, poiché a perdersi è l’identità, il limite, i confini, i contorni, le definizioni. E dunque i concetti, le teorie, le visioni. E dunque la Weltanschauung (visione del mondo). Un mondo senza anima, perché senza occhi. Dove finiscono gli occhi, dietro gli occhiali da sole dei turisti, che nel gioco di specchi dovuto alla calca riflettono il nero, il vuoto totale, la pura alienazione. Alienazione dovuta a omologazione, omolagazione dovuta alla globalizzazione, secondo Vakalopoulos.

Le spiagge greche sono invase, le quattro amiche che si scambiano messaggi al telefono lo sanno. Sanno, per altro, quanto questo faccia loro schifo. Quanto sia repellente l’aroma dei turisti. Oggi si dice “overtourism”, in realtà è tutto il turismo, il turismo in sé. Siamo sempre un po’ invadenti in terra d’altri. Vogliamo l’experience, siamo clandestini ma anche potentissimi. In Italia, soprattutto gli under 40, si indebitano pur di fare la vacanza da postare sui social. Noi vogliamo il sushi con la maionese, loro ci danno il sushi con la maionese. Poi vogliamo il sushiquellovero, ci danno il sushiquellovero ma a un costo improponibile. Vogliamo la casetta sul mare per la vacanza in isolamento, ma poi affittiamo la macchina per andare a ballare nella città più vicina. Che musica si ascolta? Per Vakalapoulos nessuna musica, una “musica sedicente”.

Siamo impostori noi? Dipende. Siamo i cittadini perfetti di location false. Impostori che camminano nella grande impostura dei trend social, quindi autentici. Vakalopoulos lo aveva capito prima dei social, prima degli anni Duemila, prima di Pechio Express, prima dei giri del mondo. Orde di biondi invadono la Grecia, la Spagna, il Marocco, l’Egitto e l’Italia, che Aurelio Picca ha definito su queste pagine “un nosocomio di camerieri”. I Paesi offrono un servizio, tutto qui. Il turismo è un business fallimentare e centralizzato. Dov’è l’identità, la firma del luogo, delle tradizioni, dei costumi, degli esseri umani? Non c’è. Oltre trent’anni fa lo ha detto Vakalopoulos. “Proseguono le crociate per mezzo delle pubblicità, ci riescono abbastanza bene, hanno imparato a mettere tutto a soqquadro in un modo assolutamente naturale, dal 1204 in poi la faccenda del sacco si svolge tranquillamente, umanamente, civilmente, regolarmente”. Sì, è il libro profezia contro l’overtourism, cioè contro noi stessi, contro i secchielli pieni di civiltà gettati in mare a sciogliersi, in cambio di un “io c’ero”. Se volete resistere all’overtourism dell’editoria italiana, leggete questo romanzo e gli altri delle edizioni Medhelan. Che della civiltà non cedono, invece, nulla.
