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Abbiamo letto “Urì” di Kamel Daoud (La Nave di Teseo), lo scrittore che in Italia rischia di essere arrestato: ma com’è? Ci dimostra che a essere muti non sono i dissidenti algerini ma noi, che non riusciamo a difendere uno scrittore davvero libero

  • di Riccardo Canaletti Riccardo Canaletti

  • Foto: Ansa

20 giugno 2025

Abbiamo letto “Urì” di Kamel Daoud (La Nave di Teseo), lo scrittore che in Italia rischia di essere arrestato: ma com’è? Ci dimostra che a essere muti non sono i dissidenti algerini ma noi, che non riusciamo a difendere uno scrittore davvero libero
Un romanzo che racconta una storia vera, quella di una donna che perde la voce per colpa di un regime che non vuole lasciarla parlare. E lei, invece, racconta la sua storia. Parla. Resiste. Anche Kamel Daoud, l’autore di “Urì” (La Nave di Teseo, 2025), parla ed è costretto a difendersi dal governo algerino, che vuole metterlo in carcere. Ma anche dall’Italia, che non sa schierarsi per difenderlo. Per questo non può venire alla Milanesiana organizzata da Elisabetta Sgarbi. Abbiamo letto il suo libro e abbiamo capito che i muti (e i vigliacchi) siamo noi

Foto: Ansa

di Riccardo Canaletti Riccardo Canaletti

Liberate Kamel Daoud dai vincoli di interesse di una politica piegata agli accordi commerciali, economici. Liberato dalla nostra paura, visto che lui, di paura, non ne ha. Liberatelo come lui ci ha liberato dai paraocchi del “colonialismo al contrario”, che vede il male solo in Occidente e immagina, in modo mitico, finto, brutalmente ingenuo, l’Oriente, le dittature. Lo ricorda Jean Birnbaum in Occidente infedele, la sinistra si sbronza di entusiasmo quando c’è da sostenere qualche rivoluzione anti-occidentale, da quella iraniana a quella algerina. Poi queste rivoluzioni portano a nuovi regimi, islamici, forse pure peggiori di quelli che con tanta energia criticano: le colonie occidentali. Daoud ce lo racconta a partire da una ragazza a cui hanno tolto la voce. No, non è una metafora. In Urì (La Nave di Teseo, 2025) Alba racconta quello che non può dire, in quel ribaltamento che è così profondo, così estremo, da restituirle le corde che vibrano tra le pagine. La parola scritta, voce muta di chi non ha più voce per volontà di dittatori, torturatori e assassini. Alba, che vive a Orano (Algeria), è stata marchiata dal regime che reprime. Ora coglie “l’occasione unica” per raccontarlo: “Perché, sì, tu sei l’evento imprevisto. Mi piove dal cielo, in testa, con la precisione di un meteorite sul cranio di un profeta afflitto”.

"Urì" di Kamel Daoud (La Nave di Teseo, 2025)
"Urì" di Kamel Daoud (La Nave di Teseo, 2025) Ansa

Daoud doveva venire a parlarne alla Milanesiana, il festival organizzato da La Nave di Teseo. Ma non può, perché teme di essere arrestato dalle autorità italiane e rispedito in Algeria, dove un mandato di cattura lo attende per fargli fare la fine di Boualem Sansal, autore di 2084, il 1984 dei nostri tempi, e cioè una distopia islamista. In quella distopia, però, qualcuno già ci vive. “La lama del coltello rimbalzava sulla mia cannula, indifferente al mio dolore. Insisteva a voler incidere un messaggio col suo filo tagliente” scrive Daoud, o meglio, così parlano i personaggi. Cosa resta, di quell’umanità cancellata dal regime, dall’oscurantismo, dal fondamentalismo. In una parola: dal Potere? Resta il futuro: “Tutto può portarmela via: il vento, il mare, un gabbiano che le svolazza intorno, il sole o una barca invidiosa. Anche quando ce l’ho sotto gli occhi, temo per lei. Perché lei contiene tutto: i suoi capelli sono la fiamma, la sua vivacità rilancia il tempo. […] Ho partorito un anno fa e ho ricominciato a chiacchierare. La mia lingua interiore e quella esteriore coincidono in lei”. Liberate Daoud dalla nostra vigliaccheria. O strappatevi la lingua.

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