Niente di nuovo, ma… Luigi Marattin ci riprova, e con lui ci riprovano altri (per esempio Oscar Giannino, leader indiscusso e causa della fine di Fare per fermare il declino; altri ancora sono confluiti in Drin drin, una sorta di associazione forchiello-boldriniana). L’idea è di superare, stavolta, la soglia di sbarramento. Il nuovo Partito liberal democratico non è esattamente il terzo polo e non dovrebbe aspirare a essere un fenomeno ulteriore di frammentazione, ma pare che i giornali lo abbiano già inquadrato così, dandogli l’estrema unzione. Ma quali sono le idee dietro a questo nuovo movimento riformatore? Per capirlo abbiamo letto il libro-manifesto di Marattin, La missione possibile: La costruzione di un partito liberal-democratico e riformatore (Rubettino, 2024). Il problema, al netto del compito portato decentemente a casa, è la mancanza di originalità e, per questo motivo, la sensazione che nonostante l’analisi concreta dei dati e delle cause della crisi economica e politica italiana, si continui a confondere ancora il liberalismo con una forza di moderati, con idee annacquate e una visione filosofica superficiale.
A partire dal giudizio sulla politica odierna: “Le cose a cui la politica italiana oggi assomiglia maggiormente sono due: il Grande Fratello e una diatriba tra curve ultrà allo stadio. […] In questo reality show sia la selezione dei partecipanti che la loro dinamica competitiva avvengono su dimensioni quali la simpatia, l’essere eccentrico, il saper ‘bucare lo schermo’ o saper creare scompiglio al punto giusto. Sono questi i fattori principali su cui i concorrenti vengono selezionati e in base a cui gli spettatori, attraverso il televoto, decidono chi premiare e chi eliminare. Diversamente da altri programmi in cui è richiesta una particolare attitudine o talento (culinario o canoro, ad esempio) ai concorrenti del Grande Fratello non è richiesto alcun tipo di competenza o capacità. Basta saper comunicare al pubblico la sensazione giusta che lo porti a identificarsi a sufficienza con la persona in nomination”.

Tutto giusto, ma – come avevamo detto fin dall’inizio di Elly Schlein – servirebbe rileggere Max Weber o qualche studio sul carisma dei leader politici, per capire magari che la politica si fa, anche e soprattutto, perché si sa bucare lo schermo, si sa essere simpatici, magari eccentrici (Hitler, Mussolini, Stalin, Churchill: erano tutto eccentrici, soprattutto se paragonati ai nostri animali sedati a caccia di poltrone). Va detto altrimenti: la politica è un gioco e ogni gioco ha una sua estetica, una sua poetica. L’estetica moderna della politica è forse quella che giustamente nota Marattin: simpatia, liti, risse. Javier Milei? Ha vinto così. Donald Trump? Pure. Giorgia Meloni? Idem. Si salvano Inghilterra e Germania, per ora. La Francia chissà. Ma la Germania ha una forza liberale e di centro consolidata e storica, il Regno Unito usciva da oltre un decennio di crisi causate dal partito conservatore. Allora la domanda è: Marattin vuole davvero costruire un partito che possa competere politicamente? Se la risposta è sì, allora dov’è la rissa, il fuoco o, almeno, la simpatia? Marattin ha le stesse idee di Calenda, che però risulta antipatico. Vuole fare la fine di Calenda?
La politica dei nerd, in ogni caso, è tutto fuorché liberale. È vero, la classe dirigente competente che auspica Marattin dovrebbe essere il minimo, la base in una democrazia seria. Ma questo non ha nulla, o quasi, a che vedere con il liberalismo. Idealmente, come hanno dimostrato in tanti, da Tullio De Mauro a David van Reybrouck, servirebbe un elettorato altrettanto competente. Non è l’apatia dei competenti, il cinismo dei meritevoli, a cui si dovrebbe puntare. Questa è, semmai, una perversione leninista. Una democrazia surrogata, niente più di quel “soviet più elettrificazione” con cui Lenin identificava il socialismo. Il problema italiano? Troppa spesa pubblica. Le guerre? Difendiamo i nostri valori. Destra e sinistra? Tra sovranismo, decrescita felice e pressione fiscale sbagliano tutto. Marattin ha ragione, è evidente. Serve più Europa, più Occidente, più liberalismo, più democrazia. Ma l’Europa, se vuole sopravvivere, deve essere non solo migliore, ma anche più bella, più seducente, più simile a un’opera d’arte e meno a un problema di matematica. E questo Marattin non lo sa o finge di non saperlo. Nel secondo caso: perché?
