Un giorno arriveranno gli alieni e ci costringeranno ad ascoltare reggaeton fino a farci sanguinare le orecchie e desiderare di non essere mai nati. Mentre aspettiamo questa invasione, a farci tristemente compagnia ci sono i tormentoni estivi, uno più brutto dell’altro (salvo qualche eccezione), e le librerie invase, ormai da anni, da libri di youtuber, creator e artisti. I rapper vanno alla grande: praticamente una volta al mese esce una sedicente biografia in cui l’artista X vuole raccontarci tutte quelle verità che non ha mai osato dire ad alta voce, o magari in un brano. Sono i classici libri da “non mi conoscete e non avete capito chi sono davvero”, che poi, in realtà, ci rimandano esattamente l’immagine che già abbiamo di quell’artista. Non volevo ma lo sono, di Tony Effe, pubblicato da Mondadori, già dal titolo ci fa chiedere: perché? A cosa allude? Non voleva essere un rapper? Famoso? Ricco? Un personaggio pubblico sempre criticato e raramente elogiato?
“Nessuna redenzione, solo verità. La storia vera, cruda e spietata di Tony Effe. Una storia raccontata senza falsi moralismi e senza il bisogno di piacere” è il commento che si legge sulla pagina di Mondadori dedicata alla biografia. Al di là di redenzione e verità, Tony Effe non sembra essere mai stato uno particolarmente interessato al “piacere alla gente”. O almeno, così pensavamo fino a oggi. In questa autobiografia ripercorre la sua carriera, dalla Dark Polo Gang al dissing con Fedez, fino alla partecipazione a Sanremo, raccontandoci dettagli già conosciuti, arricchiti giusto da qualche retroscena che non aggiunge molto alla narrazione di storie che conosciamo fin troppo bene. Al di là del dissing con Fedez, che ci ha intrattenuto per settimane e che ci dimostra, se mai servisse una dimostrazione, che le amicizie e i rapporti umani possono sempre incrinarsi per colpa del lavoro, soprattutto quando ci sono di mezzo dei soldi, colpisce la riflessione che Tony Effe racconta a proposito di Sanremo. È innegabile (e lo dimostrano, forse, anche il concerto al Circo Massimo, non esattamente sold out, e la data riprogrammata in una venue più piccola, da Fiera Milano Live a Carroponte, in “apertura” a J Balvin) che il Festival non sia stato esattamente un toccasana per lui. Concepibile anche il dissing alla stampa italiana, che lo avrebbe affossato durante Sanremo. Come ha detto un saggio qualche anno fa “i giornalisti hanno solo quella settimana per sentirsi importanti”, e in parte è anche vero. L’accanimento verso alcuni artisti in gara è ridicolo e dettato da simpatie e antipatie. Tony Effe scrive: "Sembra che Sanremo senza stronzate, solo con la musica, io non lo possa fare".

E continua, nella seconda parte dedicata al Festival: “mi rode di essermi snaturato per partecipare al festival delle radio e dei giornali, cerco il colpevole di questa cosa ma alla fine me la posso prendere solo con me stesso”. Ecco, perlomeno il rapper si è fatto un mezzo esame di coscienza, perché Damme 'na mano non è certo il brano peggiore di Sanremo 2025 e non è stato neanche tra i più criticati. Ma la scelta di volersi “ripulire” e mostrarsi come un "bravo ragazzo" che porta all’Ariston la romanità e uno stornello non è di certo da ricercare nella volontà di piacere a radio e giornalisti. A loro, Tony Effe, non sarebbe piaciuto comunque, neanche se si fosse presentato vestito da chierichetto con una canzone per bambini (magari anche presenti sul palco, che ha sempre fatto piacere anche al pubblico). Ecco, qui forse si torna al concetto di “piacere alla gente”. Tony Effe è pur sempre un comune mortale come tutti noi, e per quanto possa dire “me ne sbatto del giudizio degli altri”, forse a Sanremo è proprio questo che ha creato un cortocircuito. È arrivato pensando di non essere lì in una veste che non è la sua, convinto di non aver fatto assolutamente nulla per piacere ai giornalisti e al pubblico. Invece, tutti lo preferivano quando era il classico bad boy tutto collanoni e “swag”. Ma il fatto stesso di volerci raccontare tutto questo, di mettere nero su bianco che non voleva piacere e che anzi, quasi si pente di averci provato, è già un modo, neanche troppo nascosto, per rimettersi al centro della scena, per dire “guardate che io sono ancora quello vero, quello che non si piega”. E in fondo, anche questo è un modo per piacere. Perché Tony Effe, con tutti i possibili "me ne frego", continua a raccontarsi, a spiegarsi, a precisare. E chi ha davvero smesso di voler piacere, semplicemente smette anche di giustificarsi. C’è la possibilità che tutto questo discorso sia troppo alto e arzigogolato e che, molto semplicemente, a Tony Effe non freghi davvero un caz*o. E siamo noi a volerci ricamare sopra, per rendere questa autobiografia leggermente meno inutile di quello che è realmente.
