Bisogna riprogrammare il senso della parola “candidato”. Questa, oltre alla frattura mandibolare da sbadiglio, è la più evidente eredità lasciata dalla lettura di Onesto, il manufatto editoriale firmato da Francesco Vidotto e impunemente commercializzato dall’editore Bompiani. L’esigenza di rivedere i contenuti di candidato, ma anche di candidarsi, viene dalla percepita ansia che l’autore ha di mettere in piazza un’aura da Forrest Gump di ritorno, da folgorato sulla via della purezza che con tono da maestro di vita dispensa supposte di saggezza, da neo-francescano predicatore di un verbo che va ben oltre il less is more per approdare al nothing is all. La vita nuda, col solo supporto delle scarpe da trekking. Sicché, giunti in fondo alla lettura del manufatto editoriale, non ci resta che rimettere mani al vocabolario per dare un senso nuovo alle parole. Partendo proprio dalla necessità di esprimere l’idea del farsi candidi. Che un po’ ricorda il vecchio spot della candeggina, con Franco Cerri che in camicia a righe se ne stava a mollo fin quasi al colletto, versando il liquido per smacchiare gli indumenti ma infine anche sé medesimo. E riportando il discorso fuori dall’ammollo, l’immagine che Vidotto proietta è quella dell’omino ansioso di sgravarsi d’ogni sofisticheria. E di rimarcare l’esigenza di fare macchina indietro verso la Natura, dopo essersi spinti troppo nella direzione della Cultura. E forse lo stiamo anche prendendo troppo sul serio, dato che i cimenti letterari e oratori di Vidotto sono immensamente più terra-terra. E tuttavia, la posa ch’egli sistematicamente prende ti suscita quel pensiero lì. Il suo presentarsi puro e lindo, un soldato della vita semplice che predica un ottimismo dell’esistenza da esercitarsi a qualunque costo, sublimato in frasi di scorticante banalità. Quell’esortazione sistematica a vedere il bello anche nelle circostanze più infami, a essere un forzato del contentàmose. Sei rimasto senza il becco d’un quattrino? Ma apprezza quanto è bello non essere schiavo del denaro! Ti sei spezzato una gamba? Pensa a quanti amici ti autograferanno il gesso! Hai pestato una merda? E allora goditi lo sprigionarsi di quell’afrore d’organico, che ti riconcilia col mondo delle cose vere!

Che una volta capita l’antifona, ti chiedi se questo Candido a tutti i costi, questo Mauro Corona astemio, ci è o ci fa. Nel dubbio, e prima d’inoltrarci in quell’Incubatore del Nulla che è Onesto, può essere istruttivo farsi un giro di ricognizione attraverso i filmati che il nostro candidato sparge onanisticamente per il web. Prodotti che raramente oltrepassano la soglia dei tre minuti, infarciti di rudimentali evoluzioni mentali che sfociano in pensierini da Premio GAC – Sezione Fuori Concorso. Come quello in cui racconta che “la miglior comunicazione è quella che non comunichi”, o quello in cui esorta a “avere poco, e quel poco usarlo molto”, o dove racconta di essere stato “crocifisso dal giudizio degli altri” e che per questo ha smesso di curarsene (e ci lo crediamo bene). Ma il meglio lo dà quando parla della figura della donna; perché sono proprio quelli i passaggi in cui, più che in altri momenti, ti chiedi se ci fa o ci è. Perché lui sembra seriamente convinto di dire cose che portino a elevare il ruolo del femminile nelle relazioni umane e sociali. Ma, purtroppo per lui, usa argomentazioni intrise di un maschilismo talmente ontologico da toccare la misoginia strutturale. Un clamoroso boomerang. Come quando parla della vita privata è dice che «è come una bella donna: intrigante se è vestita, ma se è nuda, dopo 10 minuti sei stufo». O come quando tocca la vetta del sublime, parlando della donna come “un uomo, ma migliore, perché tutto quello che le dai ti torna migliorato”. E già, pensa te che rispetto per il mondo femminile: la donna ridotta a nulla più che un ente trasformatore, il mondo maschile sottoposto a processo di upgrading. Ascoltare per credere. Al tirar delle somme, Vidotto dice che la donna è quell’essere che «le dai un appartamento e ti torna una casa, le dai il seme e ti ritorna indietro un bambino». Mancava solo che dicesse: «Le dai una costola e ti restituisce Valentina Nappi».
La Tecnica del Laureando Scarso
Tutto quanto premesso è servito a preparare l’illustrazione di Onesto, l’ultimo manufatto editoriale di Vidotto che nelle librerie viene pompato in modo inverecondo. Che poi magari i librai si lamentano se il pubblico compra su Amazon. Libro insipido come pochi altri, da 2,5 in pagella, con tanto di frase in copertina che è già una sintesi dell’insussistenza spansa all’interno, e che di per sé sarebbe sufficiente a giustificare la stroncatura: Credo di avere capito l’amore cos’è. È qualcosa che, se lo metti accanto al cielo, non sfigura. Non è facile leggere frammenti così cicisbei. E tuttavia, fin qui era stato impossibile vederli sparare in copertina. La ditta Bompiani & Vidotto è riuscita ad accaparrarsi questo primato e ciò può essere consegnato agli archivi. Dunque, questo dettaglio sarebbe già stato abbastanza per valere a Onesto la stroncatura. E però, ci si perdoni l’infame gioco di parole, non sarebbe stato Onesto da parte nostra se la si liquidasse così. Le stroncature vanno prese tutte quante sul serio, a ciascuna va assegnato il congruo spazio. Altrimenti sarebbe mancanza di rispetto e non sia mai. E allora inoltriamoci pure nella perlustrazione di tutte le dimensioni del vuoto che il manufatto editoriale di Vidotto ci mette a disposizione. Bisogna partire dal dato quantitativo. La storia va avanti per 247 pagine. Una misura non particolarmente estesa, ma che risulta esorbitante se si tiene conto della lunghezza media dei periodi e dei paragrafi che compongono il testo. Non conosciamo il numero delle battute che compongono Onesto. E tuttavia ci sentiamo di dire che, se periodi e capoversi fossero stati amministrati in modo più Onesto, il volume avrebbe stentato a raggiungere le 80 pagine. E certo, l’inconsistenza del testo sarebbe rimasta intatta. Ma almeno si sarebbe abbattuto di due terzi l’impatto ecologico del manufatto – ciò che per il Walden di Conegliano dovrebbe pur essere un valore primario – oltre a far spuntare un prezzo di copertina quantomeno dimezzato. E invece no. Il libro si sviluppa per intero con un testo come quello della pagina 179, che vedete in foto.

Una raffica di frammenti della media di due righe. Quando toccano le tre righe, scatta la spia della riserva. E laddove, chissà come, l’autore arriva a toccare le sei righe, c’è da chiedersi se per caso non abbiano dovuto riprenderlo per i capelli con uso di defibrillatore. Usando una gestione seria delle spaziature (cioè, senza inutili capoversi, superflui “a capo” e paragrafi sparati ad minchiam), il testo di pagina 179 avrebbe occupato circa un terzo di pagina. Soprattutto, pagina 179 sarebbe stata, sì e no, pagina 63. E invece si procede così per l’intero svolgimento del manufatto. Per il cui sviluppo Vidotto utilizza ciò che possiamo battezzare come La Tecnica del Laureando Scarso (TLS). Si tratta della triste realtà conosciuta a chi deve portare studentesse e studenti in tesi. Capita spesso quello/a quello che ha serie difficoltà nella stesura del testo. Difficoltà qualitative, ma anche e soprattutto quantitative, nel senso che la sua autonomia di stesura si arresta alla trentina di cartelle. Ma mica potrà presentarsi in tesi con una fetecchia da 30 pagine? E allora, non c’è altro modo che scegliere il font più ingombrante, optare per il carattere 14 e dare interlinea doppia. E se ci si butta dentro tabelle e grafici raccattati qua e là, oltre a una raffica di citazioni da altri testi, ecco che si approda al centinaio di cartelle come se fosse un cammino penitenziale sulle ginocchia. Che vi sia dietro o meno dell’intenzione, il testo di Vidotto applica la TLS per cumulare 247 pagine. E poiché, in applicazione uno dei corollari più forti della TLS è che “ogni mestolo d’acqua è utile a allungare il brodo”, ecco quell’utilizzo stucchevole, per esteso, di nome, cognome e soprannome di uno dei personaggi: Guido Contin detto Cognac. Bastava scriverlo per esteso una volta, e successivamente limitarsi a chiamarlo “Guido”, o “Guido Contin”, o “Contin”, o “Cognac”. E invece no: Vidotto riscrive stucchevolmente, ossessivamente, stolidamente, “Guido Contin detto Cognac” ogni volta che deve citarlo. Capita pure che lo ripeta a raffica, come succede alle pagine 234 e 235, dove la formula ricorre ben sei volte.

In totale, nelle 247 pagine del libro abbiamo contato ben 85 stringhe di “Guido Contin detto Cognac” (e magare ce n’è pure sfuggita qualcuna). Che a 25 battute spazi compresi ciascuna fanno un totale di 2.125 caratteri aggiunti. Un numero irrisorio, se si trattasse di un testo normale. Ma in un testo che applica la TLS, trattasi di un prezioso pentolino d’acqua supplementare per allungare il brodo. Del resto, potete capire anche voi come funziona la TLS facendo un semplice esperimento sul seguente frammento, tratto da pagina 218:
Ma poi, un giorno, ho sentito di dover ritornare.
Così, dal nulla.
Una cosa completamente inaspettata.
Mi sono alzato, ho guardato fuori dalla finestra e ho sentito la nostalgia di casa.
Degli odori del mio paese.
Delle mie montagne.
Non saprei.
Allora ho preso ferie.
Per la prima volta da quando avevo iniziato il mio lavoro da boscaiolo.
Dopo la prima riga, quella che si chiude con “ritornare”, sono piazzati ben otto “a capo” totalmente superflui. Se trascrivete l’intero frammento in Times New Roman carattere 12 (cioè, la combinazione di videoscrittura più diffusa), senza dare tutti quei superflui capoversi, scoprite che l’intera sequenza occupa tre righe e mezza. Ma poiché Vidotto applica la TLS, ecco che la somma è quasi triplicata: nove righe. Così facendo, potrebbe tranquillamente produrre manufatti editoriali da mille pagine.
Il banalogio illustrato
Difficile decidere da dove cominciare per fare la rassegna delle banalità contenute in Onesto. Bisogna trovare delle chiavi per ordinare la fuffa, un criterio per la composizione del banalogio vidottiano. Cominciamo con la classifica del Premio GAC, che per chi non ne fosse al corrente sta per “Grazie Al Cazzo”. Partiamo dal basso.
Posizione n. 10:
Se mai nasci, mai muori. (Pagina 108)
Posizione n. 9:
Un tempo bastava la tosse per farti andare al creatore: era una vita più dura, ma di certo anche fragile. (Pagina 102)
Posizione n. 8:
Se un lavoro lo fai per bene, finisci che è migliore il risultato e sei migliore anche tu. (Pagina 108).
Posizione n. 7:
L’amore fa sempre la cosa giusta. (Pagina 193).
Posizione n. 6:
Mi sentivo orfano e solo, e la solitudine è una brutta bestia quando non hai scelta. (Pagina 205).
Posizione n. 5:
Qua non c’è niente da rubare. Proprio niente. È la bellezza della povertà. Quando sei povero, puoi solo ricevere (Pagina 81).
Posizione n. 4:
Tutti quanti dovrebbero avere due nomi. Così, quando ti stanchi di te, puoi essere un altro. (Pagina 216).
Posizione n. 3:
Quando c’è troppo da dire, alle volte non sai da dove cominciare. (Pagina 223).
Posizione n. 2:
Alcuni pesi, se li porti da solo, finisce che ti schiacciano. (Pagina 127).
Posizione n. 1:
Alle volte, per trovare la libertà, bisogna perderla. (Pagina 213).
Le banalità appena sfoggiate si presentano nella loro nudità, come scintillanti aforismi del superfluo. Ma il banalogio vidottiano è composto anche di formulazioni più articolate. Che tuttavia, invariabilmente, comunicano una sensazione di artificialità, di artefatto, ma anche – diciamolo! - di stile paracoolish, speso nel tentativo di acchiappare la vasta tribù dei new agers, che non ha mai smesso di crescere. Rientrano sotto questa etichetta tutti quei frammenti in cui che ammiccano a un naturalismo molto di maniera, che tanto puzza di marketing rivolto a una platea di lettori iper-urbanizzati per i quali un weekend in agriturismo corrisponde alla riconciliazione con la Terra Madre. A questa platea di Naturalisti del Ponte di Pasquetta sembrano rivolti tutti i frammenti scritti con tecniche da Scuola Holden, quelli per cui la citazione di un elemento della natura, o di ambiente, o di colori, è strumento sufficiente per ottenere l’effettaccio. Per esempio, quello che segue, con ennesimo utilizzo TLS dei capoversi:
Il sole brillava nel cielo pulito, anche se l’aria era fresca e la montagna si stava preparando a ricevere un sordo cazzotto dall’inverno.
Le foglie dei faggi piovevano leggere: si poggiavano sulla terra nuda ricoprendola con un tappeto croccante.
Il terreno umido profumava di muschio e s’infilava nel naso e nei polmoni. (Pagina 100).
E ancora:
Il vento cattivo percuoteva con violenza le persiane (…). La pioggia bastonava i coppi del tetto (…). (Pagina 27).
L’acqua scendeva orizzontale e martellava i muri e gli steccati e ogni cosa. (…) Il fragore del tuono capitò improvviso e assordante e mi entrò nelle viscere. (Pagina 28).
Al mattino, sopra al prato accanto casa, si posava la brina e vestiva l’erba di ghiaccio.
Gli steli, immobili nell’aurora, aspettavano il tocco del sole, capace di farli luccicare e di liberarli dall’alito gelido dell’autunno in montagna. (Pagina 53)
Il suo sguardo allora si fece profondo come la notte in mezzo al bosco. (Pagina 147)
Quando guardo l’immensità del cielo, mi pare che nostre faccende di ogni giorno, rispetto a lui, siano nulla. (Pagina 153)
La trovammo intenta a stendere le lenzuola all’aria, perché se asciugano al sole, quando vai a letto ti sembra di dormire nel cielo. (Pagina 192)
In questa stucchevole esibizione del rapporto tra forze naturali rientra anche lo schema “abbraccio fra la fiamma e il legno”:
Ne facevo delle liste sottili che il fuoco potesse abbracciare quando si trattava di accenderlo, e altre più grosse per dar corpo alle fiamme, e le riponevo in fila con cura. (Pagina 107).
Le fiamme, dal niente, rinacquero.
Abbracciavano i tronchi dolcemente e, amandoli, ne facevano cenere. (Pagina 109).
Finalino
Molto altro potrebbe essere citato riportato, del manufatto editoriale denominato Onesto. Di cui nemmeno abbiamo illustrato la trama, perché è talmente esile da renderne difficile la sintesi. Quanto a tutto ciò che non viene menzionato, ci riserviamo di riutilizzarlo più avanti, quando avremo analizzato altri prodotti editoriali di Vidotto. Però ci piace chiudere con una nota extra-narrazione vergata dallo stesso autore, in coda la testo:
Ho iniziato a scrivere questa storia il primo novembre del 2021, mentre fuori pioveva e l’autunno incendiava i boschi di rosso e di giallo e l’ho terminato il due dicembre 2023, seduto nel mio studio di Tai di Cadore, alle nove e ventinove della sera.
Ha appena smesso di nevicare e ora vado a accendere il fuoco che finalmente fa freddo e devo scaldarmi le ossa e il cuore. (Pagina 249).
E questa sì che è una notizia: per scrivere cotanta fetenzìa, Vidotto ha impiegato venticinque mesi e un giorno. Eroico.
