Prendere quel piccolo libro con la costina gialla alla “K” della libreria in centro, per la sola voglia di leggere qualcosa di nuovo e non sapere cosa. Claire Keegan, paesaggio innevato, corvi, bello. Piccole cose da niente. Lo apri, neanche cento pagine, lo chiudi. Lo hai letto? O no? Cos’è successo? È il miracolo. Quando succede... Sei lì, scopri che anche l’inconscio, paradossalmente, ha una volontà, e quella volontà spinge affinché tu dimentichi di aver letto Piccole cose da niente, così da poterlo rileggere subito. L’irlandese Claire Keegan è una scrittrice miracolosa. Stesso risultato con Un’estate, se possibile ancora di più. Un capolavoro. Allora quando scopri, senza troppa pubblicità, che sta per uscire il nuovo libro di Claire Keegan in Italia, ti apposti in libreria e non aspetti neanche che finiscano di tirarlo fuori dallo scatolone. Ne prendi uno, guardi il libraio che ormai ti conosce, capisce, dice va bene. Lo copri, corri a casa, lo leggi. Io aspetto Claire Keegan come alcuni un’eclisse di sole o l’onda giusta per surfare. Luce soffusa, apri il libro di sole novantasei pagine, tre racconti e… inizi ad annoiarti. Possibile? Avrò sbagliato libro, sarà un caso di omonimia? No. È lei, ma non è più lei. Che poi il libro raccoglie anche due racconti antecedenti a Piccole cose da nulla, quindi non era lei anche prima di quel gioiello. Era emersa, due volte, e ora è riaffondata?
Quando ormai era tardi (Einaudi, 2024) raccoglie tre brevi storie che raccontano una giornata dopo la rottura definitiva di una relazione, il momento in cui emerge, dal punto di vista delle protagoniste donne, una strana consapevolezza, la misoginia del partner o degli uomini in generale. Per alcuni potrebbe essere una considerazione disincantata e cinica, ma replica a bassa intensità altre forme di generalismo che uno scrittore dovrebbe evitare: ogni uomo è un potenziale assassino, diceva qualcuno su Vanity Fair neanche un anno fa. O tutti gli uomini sono figli di mafiosi. Pare esser di fronte a una sentenza senza possibilità di appello. Nel primo dei racconti, che dà il titolo alla raccolta, l’uomo si rende conto perfettamente di ciò che gli viene detto, di quanto ha appreso dal padre e in famiglia. È pacifico, per lui quanto per lei, accettare quella verità “che non aveva mai considerato”. Così ogni uomo, in cuor suo, vorrebbe zittire la sua donna, avere da lei solo ciò che lui desidera e nient’altro; non vuole dire grazie, non vuole darle nulla. È questa la misoginia per Keegan: “Non siete in grado di dare, questo è il nocciolo. Che siate convinti di non doverci dare il voto o aiutare a lavare i piatti… è sempre la stessa zolfa” (poi lui la correggerà, “solfa”, ma anche quella sarebbe misoginia). Il minimalismo lirico e a tratti atroce di Keegan ha fatto sì che in Un’estate una bambina e due genitori che non erano i suoi, soprattutto il padre, potessero intrecciare rapporti che andavano ben al di là della loro stessa comprensione, quella di una bambina e di due contadini. E l’uomo al centro di Piccole cose da nulla sembra essere stato avvilito dalla vita, ma potrebbe essersi ripreso verso la fine della storia. Qui i personaggi, soprattutto gli uomini, sono monodimensionali, dotati di quasi nessuna psicologia, mentre le donne diagnosticano la fine della relazione, causata in tutti i casi dall’eutanasico primitivismo morale dell’uomo, che non vuole concedere una terra alla sua partner, che non vuole avere tra i piedi una donna più di quanto non avesse immaginato nel momento della proposta di matrimonio e così via.
Meglio Diego De Silva, che sempre per Einaudi esce con un libro chirurgico sulla fine di una storia (che non è la fine del desiderio d’amore, come evidenzia Massimiliano Parente sul Giornale). I titoli di coda di una vita insieme sono un modo di intendere la fine senza che l’orgoglio di una parte venga fatto passare per obiettività. Come a dire: è finita e non ha senso addossarsi le colpe. O almeno non ha senso che sia lo scrittore terzo, a distribuire in parti ineguali le colpe, 10 e 0 all’uomo e alla donna, come pare fare Keegan. Vero che le donne dei tre racconti non sono i prototipi dell’amabilità, ma è altrettanto vero che il loro cinismo viene bilanciato da secoli di patriarcato e quindi poco male per gli uomini abbandonati, traditi o criticati dalle giovani, colte e benestanti donne irlandesi dei tre racconti. Meglio anche Nick Hornby, che uscì con un libro schiacciante, Come diventare buoni, che parte proprio dalla fine di un matrimonio, nei modi plausibili in cui finisce tutto, ovvero con u po’ di vigliaccheria e una scarsissima capacità di analisi. Forse Keegan, a differenza di altre volte, ha raccontato troppo poco, lasciando che il suo stile a tratti prodigioso diventasse una piatta elencazione di azioni in preparazione a dialoghi stilizzati e fin troppo polarizzati.