Benedetto XVI diceva: “Da una parte dobbiamo sopportare questo silenzio di Dio anche per poter capire i nostri fratelli che non conoscono Dio; dall’altro, come dice il Salmo, sempre gridare a Dio: ‘Parla, mostrati’. E senza dubbio nella nostra vita, se il cuore è aperto e attento, possiamo trovare i grandi momenti dove realmente la presenza di Dio diventa sensibile per noi. [...] Vera è la grande sete che ci parla di Dio e ci mette in cammino verso Dio. Ma dobbiamo aiutarci reciprocamente”. La poesia è questo svelamento, questa presenza incarnata, in questo caso attraverso la scrittura, una funzione della voce e della verità. Papa Francesco, nella prefazione a Versi a Dio (Crocetti, 2024), scrive: “La poesia è aperta, ti butta da un’altra parte”. E in effetti la poesia, soprattutto la poesia religiosa, è una tendenza, una forza congetturale, per dirla con Cusano. Ancora: la poesia è la possibilità di esprimere, o rinnovare, la fede; una sorta di sacramento perduto. È ciò che viene fuori leggendo l’antologia curata da Davide Brullo, Antonio Spadaro e Nicola Crocetti. Un libro che sembra rispondere alla richiesta (d’aiuto?) proprio del Papa: “Anche la Chiesa ha bisogno della vostra genialità”. E questa genialità è ciò che per Kant caratterizzava specificatamente il fare arte, poiché le verità scientifiche, riteneva, sarebbero state scoperte comunque, prima o poi, a prescindere dalla mente che le aveva per la prima volta formulate, mentre l’artista era a suo modo “fuori dalla natura”, appunto “aperto”, colui che ti butta da un’altra parte.
Come un’altra antologia, quella sulla “poesia universale”, sempre pubblicata da Crocetti quest’anno, con curatela di Davide Brullo, siamo di fronte a un caleidoscopio poetico-teologico, vorticoso, il cui ordine è, visto nell’insieme, un disordine creativo, un’immagine della limitatezza stessa del verso, del lavoro (e infine dell’uomo), di fronte all’illimitata capacità di creare ordine (e dall’ordine) di Dio. Questo nonostante la divisione sia scandita in modo perfettamente logica fin dall’indice, passando dalla prima poesia religiosa (Primordi, Mesopotamia, Egitto), fino a passare ai monoteismi del Mediterraneo. Ogni sezione riporta esempi di poesie religiose nel corso del tempo. C’è dentro tutto, fuorché un passato fine a se stesso. Al contrario, il libro potrebbe costituire un breviario, un vademecum, della controrivoluzione atea, sia essa incarnata dagli apocalittici di una qualsiasi area a scelta, per esempio i catastrofisti climatici, sia dai cosiddetti negazionisti, che è poi la miglior definisce di ateismo che possa venire in mente a chi scrive: negazionismo. Dicevamo, non un libro dei tempi passati in sé, ma del passato che torna ad aiutare, magistra vitae, gli uomini del presente a capire il proprio tempo. Così John Donne (gli esempi sono, per un bias personale, tutti cristiani): “Se questa stessa notte fosse l’ultima / del mondo? Intagliami nel cuore, / o anima che vi dimori, / il Cristo crocefisso, e dimmi se quel volto / può atterrirti”. Che poi vuol dire che nell’epoca della secolarizzazione non dovremmo cedere alla distrazione, ma cercare il centro della tragedia, il segno di una svolta, appunto “un Cristo crocefisso”. Donne chiede all’anima ciò che noi dovremmo chiedere al nostro tempo: non far sparire Dio da ciò che mi appartiene intimamente. O ancora: ci chiediamo da dove venga il male (“Altro ora nell’impazienza di vederti / mi preme sapere, nostro Dio: / quanto dei nostri mali ti sia imputabile” David Maria Turoldo), ma sappiamo che c’è un trucco, che c’è una terra promessa, un al di là che, per un cristiano, potrebbe essere facilmente intuibile. Così, “Tu Dio non farmi male. E se soffrire / io dovrò ne lo strappo e poi nel tonfo / fammi subito intero risalire / a baciarti nel volto dell’incontro” (Ferdinando Tartaglia). Ma è anche un’antologia, al solito di Crocetti, stilosa, che accanto ai più famosi Rilke e Luzi mette Jean-Pierre Sonnet, Elio Fiore, Enzo Bersacchi. Versi a Dio, di uomini, curati da uomini. È questa tensione critica alla potenza che fa la differenza, con altre – ben più ripulite – antologie di versi, stavolta, su Dio. A, invece, vuol dire tutto, è il primo modo per non escludere che esistano le persone accanto a te.