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Abbiamo sentito in anteprima Hustle vol 2 di Capo Plaza, ma com’è? Lui sembra un antropologo strafatto di cocaina, per questo ci è piaciuto

  • di Gianmarco Serino Gianmarco Serino

  • Foto: Instagram Capo Plaza

31 ottobre 2025

Abbiamo sentito in anteprima Hustle vol 2 di Capo Plaza, ma com’è? Lui sembra un antropologo strafatto di cocaina, per questo ci è piaciuto
Dalle vetrate della Warner, Milano mostra il suo volto più brutale, skyline di vetro, corruzione e sogni a motore acceso. “Hustle Vol. 2” di Capo Plaza è il manifesto di una generazione che corre ai duecento all’ora, tra soldi, droga e solitudine, in una metropoli che non dorme mai. Un mixtape che trasforma il caos urbano in una corsa verso l’abisso...

Foto: Instagram Capo Plaza

di Gianmarco Serino Gianmarco Serino

Dalle vetrate smerigliate degli uffici Warner in piazza della Repubblica svetta lo skyline di Milano con le tre torri, l’impotenza di Generali nella sua insegna penzolante, il cimitero verticale. Da qui, mentre la major ha organizzato l’ascolto in anteprima dell’ultimo mixtape “Hustle Vol. 2” di Capo Plaza, si mostra in tutto il suo brutalismo architettonico la città di Tangentopoli, dello scandalo di corruzione sull'urbanistica, quella metropoli in cui i colletti bianchi si servono della criminalità di strada per fare il lavoro sporco. Dove chi se ne sta nel ghetto e non vuole essere schiavo vuole prendersi tutto come Tony Montana. Alberto Radius cantava “Io non ho cultura / Ma non voglio stare male / Che si arrangi chi ha paura del caviale / E bruciare tutto non è sempre così brutto / Come leggi il giorno dopo sul giornale”. Ecco, l’ultimo mixtape di Capo Plaza, è un po’ una roba del genere, ma come se il soggetto del brano fosse cresciuto, avesse attraversato gli anni delle stragi di stato, tangentopoli, l’arrivo dell’Euro, e adesso, avesse dimenticato ogni cosa. E’ come se, ora, sul promontorio dei secoli con una hybris scatenata, Plaza sfrecciasse tra le vie di Milano a bordo di una Mercedes con vetri oscurati, vestiti larghi, catene d’oro, un sacco di soldi, imbottito di alcol e droga, stritolando il volante tra le mani come si stritola il mondo quando ce l’hai fatta, quando ce l’hai in tasca.

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Con quel rush di “gaìna” che precede la depressione del giorno dopo in postumi, parte come una bomba “Nasco e muoio un hustle”. Tipico pezzo adatto sia al finance-bro che pensa solo ai soldi e alla gnacchera, ma pure al ragazzino tossichello di periferia che non ha voglia di studiare e preferisce spacciare erba ai compagni di classe, indeciso se fare il salto di qualità e specializzarsi nel crimine oppure in ingegneria meccanica. “Larry Hoover”, poi, si apre con un verso particolare: “dai fai l’uomo che mi sembri una mezza tr**a”. Ecco qui immaginiamo, in fase di revisione dei testi, chi di competenza rivolgersi a Capo Plaza “dai, mezza checca non si può scrivere, meglio mezza tr**a. Avranno pure introdotto il nuovo codice Ateco per le professioniste in questione, però, sempre tr**e rimangono”. Non cascare nella trappola, Capo Plaza, “Trappala”! Avevo capito male il titolo. Eppure la trap è effettivamente una trappola mentale dovuta a traumi latenti. “Mamma guarda che sono una star. Con la guerra in testa. Pensando alla fresca”. Oppure alla “fessa”, ma non si può dire, e di nuovo “ma dai Capo, meglio la fresca!”. I soldi esistono per compensare ciò di cui non puoi parlare, i vuoti che non puoi colmare. La ricerca di approvazione da parte materna, poi, è un complesso di madre grosso così. Sarebbe interessante sottoporre queste parole ad uno psichiatra, chissà quali conclusioni ne trarrebbe. Però non c’è tempo per farlo, perché il ritmo del pezzo è serrato, velocissimo. “Non voglio feat. perché mi stanno sul c**o tutti”. Però poi le feat. nel pezzo ci stanno eccome, con Bresh, Tony Effe, e pure quel rapper brasiliano in “Tudo Bem”. Ma sì, sono solo degli sparring partner questi qua, delle comparse, perché Capo Plaza è il protagonista vero.

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A bordo di “una Mercedes sto volando nello spazio, sono Floyd Mayweather, scrivo, poi montante, gancio”. Poi è un tipo strano, prima mangia “ostriche” e poi “la pasta col tonno” su di un “Maserati nero e Milano in sottofondo”. Lei gli chiede “la luna”, ma lui c’ha “in tasca il mondo”. Però comunque se magna la pasta col tonno. E vabbé si vede che je piace. Poi ad un certo punto dell’ascolto la signorina partenopea che preme play ci spiega che nel brano che verrà “Cup + ghiaccio”, Capo Plaza ha sperimentato un nuovo modo di rappare, qualcosa che non ha mai fatto prima. Parte il pezzo, il verso del ritornello “come se è tutto normale, ma non è tutto normale” dice tutto. Sgrammaticare, pensierare un po’ alla Tondelli, ma trappando con il singhiozzo. Sì, ascoltando “Cup + ghiaccio” si comprende decisamente che il nuovo modo di rappare sia quello di provarci con il singhiozzo, imitando un po’ quello di Pippo l’amico di Topolino. Coraggioso dai. Però poi arriva un pezzo così caruccio, tutto pieno di chitarrine carine-ine-ine in stile Pino D’Angiò che ci regala un po’ di sollievo e ringraziamo il defunto artista che ha in qualche modo addolcito i lineamenti del deserto roccioso che lo hanno circondato fino alla sua morte. E infatti il pezzo si chiama “Grazie a Dio”. Dio Pino. Ciao Pino. Per non pensarci vorremmo tanto calarci un acido, ma interviene la musica di “Caramel” e ci salva dall’abisso delle droghe sintetiche, essendo questo pezzo una lisergica colonna sonora perfetta per una notte passata sotto l’effetto di svariate droghe tra i neon delle insegne che si sciolgono nell’aria dell’inverno come lava dell’Etna.

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Dal finestrino del suv Capo Plaza lancia una bottiglia di vodka vuota che s’infrange in mille pezzi contro il muro di suono delle ritmiche e dei bassi potentissimi. Non c’è amore, non c’è tempo, è solo tutto fottutamente veloce sotto l’effetto della cocaina. Pure Milano, anche se al rallentatore, è velocissima. Ed è piena di terroni, sembra spiegare la trapstar in un passaggio del pezzo in cui canta “bella Milano, ma manca Salerno”. Capo Plaza è leghista? Cosa ne penserà del Ponte sullo Stretto? Forse non ci pensa, TU-TA-TA-TU-TA, con questo ritmo inizia “Ogni male”, un ballabile in cui la prima strofa si apre con “fammi di tutto ma resta con me”. Oh, love-love-love, amore tossico. Ad ascoltarlo il brano già ti immagini il gagno in tuta adidas con il doppio taglio, l’orecchino, il sopracciglio tagliato che aspetta a bordo del suo scooter Jessica, che fa l’estetista, fuori dal parrucchiere a San Giuliano Milanese. E mentre noi ascoltiamo il mixtape negli studi Warner, in Brasile l’esercito fa centinaia di morti nelle favelas in una guerra senza quartiere ai narcos, all’oscuro del pacioccoso Lula. In qualche modo Capo Plaza, con “Tudo Bem” intercetta questa cosa. Il pezzo esce proprio a ridosso delle immagini dei telegiornali a proposito della guerra civile brasiliana ed è una sorta di “Bring on the night” dei Police decostruito in chiave cubista-trap-capohejra. Lo si capisce da un verso che fa più o meno così “passo dopo passo si sta arrivando alla sera. Ballando nella favela”.

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Poi passano altri due pezzi di sfuggita, e poi ecco a voi “Roads”. Uno di quei pezzi che se stai alla guida ti viene voglia di affondare il piede sul pedale dell’acceleratore e scoppiare lo stop, il semaforo rosso, alla velocità della luce, mentre attorno a te sfilano i grattacieli di City Life illuminati nella notte come dei maledetti alberi di Natale e, per quanto sei gasato potresti pure andare a schiantarti contro un muro. Sopravviveresti all’impatto. In chiusura “Non basta mai”, una featuring con Bresh, Tony Effe, con le basi prodotte da Sick Lucke. Il brano evidentemente parla di un amore interraziale con una ragazza napoletana le cui principali passioni sono il sushi, il sesso e il libertinaggio sfrenato. E allora sesso droga e rockn’roll. La trap è il nuovo rockn’roll e Capo Plaza è una trap-star che va davvero di fretta, ma sta dietro al ritmo del mondo, come un antropologo sotto effetto di cocaina.

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