Forse tutta l’arte è propaganda e la torre d’avorio cambia continuamente pelle e colore politico a seconda di chi vince le elezioni, ma che ci possiamo fare? Se la storia di Almerigo Grilz per emergere al pubblico più vasto ha dovuto attendere l’ascesa dell’attuale governo in carica e il suo favoritismo politico verso certo autori, c’amm’à fa? Niente, ed è giusto che sia andata così. La vicenda del giornalista triestino rimasto ucciso nel 1987 a 34 anni in Mozambico e dimenticato a causa della sua militanza nell’MSI (Movimeto Sociale Italiano) negli anni ottanta vale la pena di essere ricordata al di là del bene e del male. Il biopic di Giulio Base, Albatross, però, per certi versi fa storcere il naso. Anzitutto perché risulta altisonante, da un punto di vista meramente campanilistico che il film, finanziato dal Friuli Venezia Giulia, abbia avuto fondi anche dalla Regione Puglia. Probabilmente la maggior parte dei friulani considerano la Puglia come una continuazione del continente africano, ma questa è solo una stupida battuta che non fa ridere e che non tiene conto del fatto che le scene del film ambientate in terre lontane di Africa e Medioriente son state girate proprio in Puglia. Scene per altro decisamente ben riuscite. Il film non è così male e comunque la storia di Almerigo Grilz è una vicenda potente e drammatica che valeva la pena di raccontare. Già la scelta di occuparsene è un punto a favore, ma il fatto che il suo regista, direttore del Torino Film Festival si trovi al centro di uno scandalo che ricorda molto quello di Nanni Moretti e il cerchio magico del cinema de sinistra, purtroppo per un pubblico che legge i giornali rischia di essere un ostacolo alla digestione del prodotto senza un pizzico di malizia.

L’impressione è che nel film si sia voluto mettere eccessivamente in evidenza la partigianeria dei compagnucci e dei giornalisti che in questi quarant’anni hanno bollato Almerigo Grilz come un fascio e non come il reporter di guerra temerario e di successo internazionale, impedendone una commemorazione scevra dal discorso della militanza politica. Certo, si potrebbe controbattere “eh, ma l’obiettivo del film è proprio questo”. Beh, questo è vero, ma il problema è che la pellicola si propone di istruire un pubblico inteso a priori come acefalo e incapace di giudizio critico, o forse si rivolge semplicemente a chi già è d’accordo con il suo contenuto. Va anche detto che è poi difficile non esserlo, perché Grilz è stato per davvero ostracizzato e costretto ad andarsene dall’Italia per fare il giornalista. Però alla proiezione delle 19 e 30 all’Anteo di CityLife la sala è quasi vuota a parte una coppia di anziani signori che parlano di come l’egemonia culturale della sinistra sia ormai finita e viene spontanea una risatina. L’attore che impersona Grilz, Francesco Centorame non è malaccio, anche se ai costumi si è scelto di vestirlo come Starsky, tant’è vero che tra le prime scene, quella in cui i fascisti e i comunisti si menano, Centorame sembra proprio Starsky e il comunista Michele Favaro sembra Hutch. E Giancarlo Giannini, che impersona il giornalista di sinistra ormai famoso, nella prima scena – quella in cui alcune sue fan, sul frecciarossa gli chiedono una foto – viene il dubbio che stia interpretando sé stesso, subito poi fugato dal contenuto dei dialoghi piuttosto forzati e scritti con l’intenzione di spiegare proprio tutto tutto in maniera un po’ stereotipata, grossolana e soprattutto moraleggiante.

Però cosa ci dovevamo aspettare, è quel che accade quando la torre d’avorio viene conquistata dal governante di turno che se ne deve impossessare, necessariamente, perché fino a quel momento ne ha subito le offensive che dall’alto gli piovevano addosso. Già con la nascita del Premio giornalistico Almerigo Grilz nel maggio del 2023 presentato al Palazzo delle Stelline di Milano da Fausto Biloslavo e Gian Micalessin, salutato con entusiasmo da Ignazio Larussa e Gennaro Sangiuliano, emergeva questa sensazione, ma non tanto dalle parole di chi lo aveva organizzato, ovvero i compagni d’avventura di Almerigo, ma dai sussurri che si accavallavano tra il consueto e senescente pubblico, da cui emergeva un leimotiv un po’ deprimente, ovvero “maledetti compagni”. E allora sì, forse Albatross è un film parziale, forse retorico, forse persino goffo nelle parti in cui emerge il suo moralismo vendicativo. Ma non è questo il punto. Il punto è che oggi, come ieri, l’arte resta un campo di battaglia, e quando cambia il vento della politica, cambiano anche gli eroi, i martiri e i registi da premiare. Basta esserne consapevoli. Poi, se nel frattempo ci scappa anche un film decente e una storia che meritava di essere raccontata, tanto di guadagnato. L’importante è essere onesti con sé stessi ed ammettere che le cose stanno così.
