Ciao Bambino è l'opera prima di Edgardo Pistone. Il racconto di Attilio (straordinaria prova d'attore per Marco Adamo) che fa i conti con una Napoli in cui tutto sembra funzionare male. L’amore, la famiglia, il gioco e la paura. A Traiano di Napoli, il ragazzo con un padre da gestire, appena uscito dal carcere, e i soldi da guadagnare, accetta di fare il guardiano ad Anastasia (Anastasia Kaletchuk), una giovane prostituta che viene dall’Est Europa. Un ricordo del film di Leonardo Costanzo, ma anche riferimenti quantomeno idealistici a un cinema che conosciamo bene. Il regista sembra pescare dalle storie del passato, dagli occhi di chi, con il tempo, è riuscito a raccontare un contesto ancor prima delle persone. Farlo senza pietà, se non alla fine. L'atmosfera urbana, la città, le case sono i protagonisti del film, con le strade, i palazzi scrostati, le luci fioche e le ombre che coprono tutto. Insieme a un ragazzo, a un Attilio che resta addosso, anche quando le luci si accendono in sala. Anche quando si sta rientrando a casa. I giorni dopo. Rispetto alle opere prime che circolano nelle sale del Paese (sempre troppo poche), l’esperimento di Pistone guarda indietro.
Indietro verso qualcosa che forse si è perso, indietro per prendere e recuperare la forza di proseguire in avanti. C'è l'occhio alla messa in scena, le foto bellissime e disperate con inquadrature che restituiscono la desolazione, ma anche la bellezza di un mondo in cui i protagonisti sembrano condannati. Martiri con un destino già scritto, pedine che non riescono a cambiare le cose. Niente si muove, tutto resta uguale. Eppure, tra le pieghe della disperazione, anche se per poco, può ancora nascere un amore fatto in bianco e nero.