Roberto Andò parla con tono basso e grande pacatezza, ma mentre ragiona sulla società attuale non usa mezze misure: “Palermo è più rassegnata, più anonima rispetto agli anni delle stragi di mafia. È una città impermeabile al dolore e alle ferite, che ha perso una parte del suo carattere combattivo,” dice il regista e scrittore palermitano in questa intervista a MOW. Parole che colpiscono, come quelle che riserva ad Agrigento, neo capitale della cultura: “Uno dei posti più violentati della Sicilia”. Con la lucidità che lo contraddistingue, affronta poi temi cruciali come la marginalità degli intellettuali e delle università (“non hanno più alcuna funzione, perché chi indaga la complessità del mondo è stato sostituito da chi fa presenza fissa in tv o su certe piattaforme”), le contraddizioni della critica cinematografica (“molte scritture critiche sembrano irrilevanti”) e il potere, che oggi considera più personale e frammentato: “Negli Stati Uniti abbiamo figure come Trump e Musk, o in Italia Giorgia Meloni, che rompe i protocolli per trattare direttamente sulle questioni chiave”. Neanche con una donna al potere è cambiato qualcosa, lo sollecitiamo? “No, perché mi pare abbia soprattutto delle virtù maschili”. Il suo libro Il coccodrillo di Palermo (edito da La Nave di Teseo) - un romanzo sospeso tra peso della colpa e desiderio di redenzione - e il film L’Abbaglio in questi giorni al cinema con la colonna sonora composta da Michele Braga ed Emanuele Bossi (Curci Edizioni) - ambientato durante l'epopea dei Mille in Sicilia - dimostrano come riesca a intrecciare passato e presente per interrogare chi legge o guarda le sue opere. E in queste riflessioni, c’è tutto il senso di un impegno artistico e umano che continua a cercare risposte e a porre domande sulle contraddizioni del nostro tempo.

Partiamo dal suo libro, Il coccodrillo di Palermo, uscito per La nave di Teseo. Quanto c’è di personale e quanto invece è inventato in questa storia?
È un libro molto personale, dove l’invenzione serve un po’ a decantare questa materia e a dissimulare anche quanto io sia coinvolto. La scrittura ha questa capacità: ti permette di creare una sorta di filtro attraverso cui raccontarti senza esporti completamente. Ma è evidente che il cuore della storia, i luoghi, le dinamiche, hanno radici profonde nella mia esperienza personale.
Non è la prima volta che lei affronta questa città, Palermo, come se fosse più un personaggio rispetto a uno sfondo delle vicende narrate.
Palermo è assolutamente un personaggio, non solo un luogo, ma una sorta di deriva del romanzesco. È una realtà che non si vede più, una specie di indagine estrema. La città è un’espressione del tempo e dello spazio in cui i suoi abitanti vivono, ma è anche un teatro di conflitti e storie che si intrecciano, che sfidano continuamente chi cerca di comprenderla. In questo senso, Palermo è molto più che uno sfondo.
E descrive una città intrisa di storia, ma anche decadente. La Palermo che racconta è ancora quella di oggi o è cambiato qualcosa?
Purtroppo non è in gran forma. Palermo è una città con una stratificazione di problemi atavici, ma oggi è più rassegnata, più anonima rispetto agli anni delle stragi di mafia. Una città impermeabile al dolore e alle ferite, che ha perso una parte del suo carattere combattivo. Questo è il punto dolente: si sente una sorta di rassegnazione, un silenzio che pesa.
È tutta colpa della politica o c’è anche una responsabilità dei cittadini?
La politica c’entra moltissimo, ma anche il carattere dei cittadini ha un ruolo. Palermo è abitata da una contraddizione: da un lato, è una città straordinaria, con una cultura che potrebbe renderla unica al mondo, dall’altro è una città che accetta troppo spesso di vivere nell’ombra dei suoi problemi.
Ha fatto dichiarazioni forti sulla neo capitale della cultura: “Agrigento è uno dei posti più violentati della Sicilia”.
Mi chiedo come si possa definirla capitale della cultura, vista la situazione. Agrigento è stata un centro nevralgico del malaffare, e oggi i suoi templi meravigliosi sono sepolti dalla vergogna. Ci vuole una scossa, non basta un decreto politico. Ho ricordato che chiamarono un architetto giapponese per il piano urbanistico di Catania. Alla domanda su cosa andava fatto, rispose con una sola parola: bombardare. Ecco, ci vuole una scossa. Ovviamente è un paradosso, ma serve a sottolineare l’urgenza di un cambiamento vero.
Il tema della memoria, così centrale nel suo libro, si lega anche a un’Italia che fatica a fare i conti con il proprio passato.
Certo, è un problema generale. A Palermo c’è un’ipertrofia della memoria in alcuni, mentre altri sono smemorati totali. È una memoria malata, distorta. E il problema non riguarda solo Palermo. Molte città del Sud vivono una condizione simile, dove la memoria è più una ferita che una risorsa.
Affronta anche i limiti della giustizia e della moralità.
Sì, oggi giustizia e moralità sembrano quasi romantiche, più che reali. Il protagonista del libro, un regista di documentari, si trova intrappolato in frammenti di una colpa che non riesce a decifrare. Sono temi che diventano sempre più difficili da penetrare, come se il nostro tempo avesse perso gli strumenti per comprenderli davvero.

Nel frattempo è al cinema anche con il film L’Abbaglio, che racconta una vicenda poco nota avvenuta durante l'epopea dei Mille in Sicilia. Finora come è stato accolto?
Mi sembra che il pubblico stia rispondendo bene. Ho girato molto per presentarlo, da Milano a Palermo, e vedo che suscita emozioni e domande. Questa è per me la funzione del cinema: non fornire risposte, ma aprire spazi di riflessione.
La storia poco nota raccontata nel film è lo specchio di un’Unità d’Italia che è rimasta ancora oggi un abbaglio?
Il film racconta giovani volontari che rischiano la vita per un progetto politico. È uno spazio in cui tutto è possibile, sia il meglio che il peggio. Si confrontano illusione e disillusione, speranza e realtà. E in questo senso, il film è anche una metafora del nostro presente.
A parte Toni Servillo, indiscutibile, si confermano ottimi attori anche Ficarra e Picone.
Ho sempre visto in loro attori a tutto tondo. Anche qui emerge un temperamento drammatico che i grandi comici possiedono. Credo abbiano dato profondità ai personaggi in modo unico.
Che rapporto ha con la critica?
Un giudizio critico intelligente colpisce sempre. Ma oggi molte scritture critiche sembrano irrilevanti. Ci sono ancora firme prestigiose, ma è sempre più raro trovare una critica che ti faccia riflettere.
Uno dei temi indagati dai suoi lavori è spesso il potere. Oggi nella società che viviamo che forma ha assunto?
È frammentato. Non appartiene più ai partiti ma a singoli individui, spesso legati alla comunicazione. Penso agli Stati Uniti, dove abbiamo figure come Trump e Musk con una situazione in questo senso esasperata. C’è una vignetta bellissima del New Yorker che li ritrae entrambi giurare insieme come se rappresentassero un potere doppio. Questo potere oggi è personale, non collettivo, tanto che il partito Repubblicano rispetto a Trump è irrilevante. Anche in Italia lo vediamo con Giorgia Meloni, che rompe i protocolli per trattare direttamente su questioni chiave. Non c’è un sistema di potere, è una questione di leader.
Con Giorgia Meloni, prima premier donna, non è cambiato niente rispetto alle logiche del potere?
No, non mi sembra. Anche perché mi sembra abbia soprattutto delle virtù maschili.
L’egemonia culturale di questa destra al potere sta funzionando?
L’egemonia culturale è una cosa seria, che si muove su partite diverse e in tempi diversi. Non credo sia cambiato qualcosa. Potrebbe farlo, ma ci vorrà tempo. Ad oggi non si vede.
E lei come lo esercita? Anche il regista è un ruolo di potere.
Mi circondo di persone che seguono la mia visione. Il regista è spesso solo, e questa solitudine richiama altre forme di potere. Ma credo nel lavoro di squadra, non nel potere dittatoriale.

È stato amico di Leonardo Sciascia, ma ha conosciuto bene anche tanti altri grandi artisti, da Italo Calvino a Federico Fellini. Come si spiega che oggi gli intellettuali siano così poco ascoltati da chi è al potere e così poco rilevanti nel dibattito pubblico?
Perché gli intellettuali non hanno più alcuna funzione riconosciuta. Le dirò di più, non ce l’hanno più neanche le università nel nostro Paese, esse stesse sono state marginalizzate. Oggi conta chi occupa uno spazio comunicativo, chi ha una presenza televisiva o su qualche piattaforma. Chi riflette, pensa e agisce, come tradizionalmente facevano gli intellettuali per dare un senso alla complessità del mondo, è diventato irrilevante. È una perdita enorme.
Una marginalità anche delle sale cinematografiche.
Questo è un dato ormai epocale. Ci sono dei segnali, post Covid, di voglia di tornare al cinema. Però non so come andrà a finire. Non penso ci sarà nel breve periodo l’eclissi totale delle sale, ma di certo, ormai, chi le frequenta è una èlite. I film si consumano in altro modo.
Le è mai capitato un confronto con i responsabili di piattaforme streaming, come ha descritto Nanni Moretti ne Il sol dell’avvenire, che si lamentano dell’assenza nella trama del momento “what the fuck”?
No, non direttamente. Ma se mi lasciassero libero di fare ciò che voglio, perché non provare? Però non mi è mai capitato di avere confronti del tipo che racconta Nanni Moretti nel Il sol dell’avvenire. Quella scena mi sembra una sua fantasia, un suo modo di guardare a quelle situazioni, non credo gli sia capitata davvero.
E l’intelligenza artificiale la spaventa?
Rispetto alla creatività, sì. Mi sembra pericolosa. Rispetto ad altre implicazioni no. Rimane il teatro, per ora, difficile da replicare. Non saprei come potrebbe sostituirlo. Forse producendo dei testi, potrebbe surrogare la drammaturgia in un’esplorazione delle possibilità, ma per il resto no.
