A Real Pain, la storia di un dolore reale e profondo come un pozzo di cui non si vede, dall’alto, il fondo. Come quando muore una persona che amiamo, la tragedia nella parola fine. David e Benji Kaplan (Jesse Eisenberg, anche produttore, autore e regista del film e Kieran Culkin) sono due cugini ebrei statunitensi che decidono di fare un viaggio in Polonia per incontrare i luoghi dove la nonna era nata. Ma che ora non c’è più. Di lei, i due, trovano le pietre nel giardino dove era cresciuta, il dolore dell’Olocausto, la paura da bambina di vedere la morte manifestarsi tutta attorno, ma anche la pelle dura e forte che prima di morire ha ispirato figli, nipoti, Benji. Kieran Culkin che interpreta questo personaggio, candidato (e favorito) agli Oscar 2025 nella categoria miglior attore non protagonista, riesce nell’arduo compito di parlare di un doppio dolore. Quello della perdita di un familiare, quello di un’angoscia esistenziale che lo tormenta. Benji, disadattato e sensibile, si muove nel gruppo di turisti in giro per la Polonia alla ricerca di storie, racconti di altre terre, altri passati. Benji, che è stato trovato disteso, sembrava morto, da suo cugino nella soffitta di casa, Benji che ora ha bisogno di qualcuno che si prenda cura di lui.
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Per questo l’idea di un viaggio lontano per ripensare a uno o più dolori. L'Academy sceglie così un altro titolo che ha al suo centro il valore della memoria e il ricordo della religione. E ripercorre la strada dei sopravvissuti all'Olocausto. Centro focale anche di The Brutalist, il film di tre ore e mezza con Adrien Brody su un architetto sopravvissuto ai campi di concentramento e che desidera, davanti alle macerie, ricostruire il suo futuro, le case, e forse, pure il neonato Stato D’Israele. A Real Pain ma anche The Brutalist, due storie di due grandi dolori, ma se del primo, certo più semplice, ricorderemo le sincere lacrime di Benji nella sala d'attesa di un aereporto di New York, immaginando nella sua testa sorvolare l’anima di un passato e di uno sterminio, del secondo porteremo per sempre con noi le folgoranti architetture (più paesaggistiche che quelle edificate dall’uomo) di un imponente film che avrebbe potuto anche essere bellissimo.
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