Si potrebbe iniziare la recensione de La città proibita così: è una figata pazzesca. E chiuderla con: andate in sala a vederlo. Forse basterebbe. Ma in una settima arte nazionale che si mostra opaca e mai realmente sovversiva, dove le uniche vere scoperte arrivano da un cinema emergente (qui la nostra rubrica), capaci quantomeno di farci immaginare un futuro tra le proprie immagini, Gabriele Mainetti è invece una delle poche certezze che abbiamo, e per questo, il film clamoroso che ha fatto va spiegato. Lo chiamavano Jeeg Robot, Freaks Out, La città probita. Come quando la sabbia, ancora umida e bagnata dall’acqua che si scalda sotto i primi raggi di sole dopo una notte buia, ci accarezza la pelle. Questo è ciò che abbiamo provato ancora una volta, seduti su una poltrona di un qualsiasi multisala a Roma, dopo meno di mezz’ora dall’inizio del terzo film del regista. Tutto si contorce, tutto ci piace, tutto il cinema si accende. La città proibita è una storia di conferme e di tradimenti, di stereotipi ribaltati e di una Roma che non è più quella che ci raccontano da decenni e ha rotto le scatole. Qui la Capitale è vista da un ragazzo e convive con le sue diversità mica tanto facili da gestire e la libertà, gli acciacchi e i turisti rompiballe.


In La città proibita troviamo Marcello (Enrico Borello), che gestisce un ristorante storico all’Esquilino insieme a sua madre Lorena (Sabrina Ferilli), e Mei (Yaxi Liu), arrivata dalla Cina alla ricerca di sua sorella. La Roma di Mainetti è spaccata in due: da un lato domina Annibale (Marco Giallini), dall’altro Mr Wang (Chunyu Shanshan). E poi c’è l’amore. Perché La città proibita è anche una promessa tra due ragazzi che si trovano nel mezzo di una disgrazia e gridano vendetta mentre va tutto male. Anche quando tutto fa schifo, basta un attimo per ricordarsi cosa significa essere qui. Uscire di casa, salire su un motorino e guardarla, Roma. Percorrere strade dimenticate e poi, all’improvviso, ritrovarsi davanti al Colosseo o ai Fori—quei luoghi che Marcello, pur vivendo a Monti, quasi non ricordava più. Eppure, quando la morsa del male si stringe, c’è sempre Roma lì fuori che ci aspetta per lenirlo, questo maledetto dolore. Insomma, tra scazzottate e passi di kung fu, Marcello e Mei—lei, la Kill Bill dell'Esquilino, lui, lo chef curioso e sensibile—La città proibita è il film che dovete assolutamente vedere. E il cinema di Mainetti è quello che speriamo ci farà risorgere.

