In estate a San Siro i concerti iniziano con la luce del giorno e finiscono quando la notte è calata. Dalla tribuna stampa fronte palco, se è vero che si perde l’energia collettiva che invade il par terre, si gode però di una prospettiva che lascia intravedere oltre lo stadio una Milano che cresce, la Torre dell’Allianz illuminata che svetta in lontananza e più vicino palazzi alti ancora in costruzione. Non sono quelli che Marracash racconta nelle sue canzoni, dove invece riempiono i paesaggi delle periferie più trascurate, come era la Barona, in cui lui è cresciuto e tuttora vive.
Lo spettacolo, che si è ripetuto per la seconda sera consecutiva a San Siro, è la messa in scena della trilogia costituita dagli ultimi album di Marracash, “Persona”, “Noi, loro, gli altri” ed “È finita la pace”, che lo hanno consacrato nell’olimpo della musica italiana, donandogli una fama nazionalpopolare, oltre al lustro di cantautore (ha vinto la Targa Tenco per il miglior album con "Noi, loro, gli altri" nel 2022 ed è candidato quest’anno con “Gli sbandati hanno perso” per la Miglior canzone singola).
Il palco è pensato come un laboratorio cibernetico, in cui prende vita Marracash, l’avatar di Fabio, che poi è il vero nome del cantante. Nei ledwall all’inizio del concerto appare come un embrione in una capsula per poi crescere fino alla completa maturazione del personaggio: King Marra. Questa è la scritta che sul gilet di jeans gli brilla sulla schiena, quando intona la prima canzone, “Power Slap”.

Lo dice subito chiaramente, non chiamatemi “Fabio” adesso sono “Marracash” ed è questa narrazione del doppio che segue la scaletta, una guerra tra la persona e il personaggio incarnata dal dialogo tra sé e la macchina che lo ha creato, un’IA dalla voce di Matilda De Angelis. Dopo una prima parte in cui è l’ego di King Marra a sfoggiare il proprio talento, che per l’occasione ha dimostrato di sapersi destreggiare anche nel cantato, sia pop che rock, riemerge l’indole umana di Fabio, che compare magicamente davanti al finto cadavere del Marracash personaggio. Ora ha più le sembianze di un saggio orientale, con un caftano e il volto scoperto, prima aveva gli occhiali da sole invece. Qui riprende spazio la sua anima, che per tutte le date del tour è impersonificata da Madame, scalza e di bianco vestita, con cui duetta proprio sulla canzone “L’anima”, per poi tornare più avanti da sola con la sua “Per il tuo bene”. Fabio però si fa prendere dai dubbi e inizia a pensare che tutto lo stadio sia frutto della sua immaginazione, come Matilda gli conferma, così volta le spalle al pubblico e canta solo per lei “Dubbi”. L’allucinazione è troppo forte però e Fabio sviene a terra. Proverà a rianimarlo Paola Zukar, sua manager storica, che sale sul palco per poi riapparire sui ledwall, dove si vede Marracash addormentato in un salotto che sembra un backstage. Fabio che sogna San Siro nel salotto si sveglia, mentre il Fabio che si esibisce a San Siro si addormenta, in una specie di doppio sogno, come lui stesso canta in “Nemesi” (“Uno di noi è di troppo come un sogno in un sogno”).
La cultura cinematografica di Marracash fa da sfondo a tutto lo show, richiamando la tradizione fantascientifica, da “Matrix” e “Avatar” a Nolan e Kubrick, in una chiave di lettura attualizzata. Matilda non è poi così diversa dall’Alexa di Google, con cui milioni di persone ormai hanno imparato a dialogare, fin quasi ad affezionarcisi. Lo fa anche Marracash, che confessa a Matilda di essersi innamorato di lei, introducendo così il suo repertorio d’amore, con cui fa commuovere lo stadio, in particolare su “Crudelia”. L’IA Matilda lo redarguisce però, non può amare nessuno finché non amerà sé stesso, cioè fin quando Fabio non sarà più in lotta con Marracash, perché si tratta di una sola persona.

Così sul finale, con il ricongiungimento tra la persona e il personaggio, si chiude l’esplorazione della psiche di Fabio, che, per quanto sia una rappresentazione, restituisce la reale evoluzione che il rapper ha messo in atto in questi ultimi anni di vita.
Non è mancato un momento di riflessione sulla situazione attuale nel mondo, quando prima di intonare “È finita la pace”, ha invitato tutti a guardare oltre il proprio individualismo: “Non possiamo sempre essere chiusi dentro noi stessi, nei nostri dubbi, nelle nostre incertezze, nelle nostre relazioni complicate. C’è un mondo là fuori che in questo momento sta bruciando, è il momento forse di ragionare più come collettività che pensare ai nostri piccoli problemi. Non possiamo più girarci dall’altra parte, perché è finita la pace”.
Marracash con questo tour dimostra di essere uno fra gli artisti italiani più padrone della propria visione e della propria cultura e che in un gioco continuo di rimandi tra ispirazione, immaginazione e testi riesce a costruire un sogno personale, ma soprattutto collettivo.
