ACAB - All Cops Are Bastards, era il titolo del film di Stefano Sollima del 2012. Di quella storia e di quei “bastardi”, nella serie di Alhaique, non è rimasto quasi più nessuno. Cambia il cast ma non lo stato delle cose in Italia. Proprio ora, all’indomani del caso Ramy, che continua a scuotere profondamente le coscienze collettive, la serie Acab arriva con un tempismo che sfiora il profetico. Un racconto che sembra emergere dalle cronache di ogni giorno, trasformando il prodotto di Netflix in uno specchio spietato della realtà, dove il confine tra fiction e verità si dissolve nell’eco di un grido che ancora non riesce a spegnersi. “Chiudilo, chiudilo che cade. No, non è caduto”, si sente ripetere nel video reso pubblico in cui assistiamo all’inseguimento da parte dei carabinieri di Ramy Elgaml, il giovane morto a seguito dell’incidente a novembre scorso. E fa specie, anzi fanno venire i brividi le scene nella serie di Alhaique. Qui Mazinga (Marco Giallini), Marta (Valentina Bellè, new entry femminile), Michele Nobili (Adriano Giannini) e molti altri ancora, ci appaiono già nei primi minuti come dei personaggi che non ci piacciono, dei poliziotti da cui vorremmo prendere ben presto le distanze. Certo, quando si parla di violenza. Eppure, d'un tratto, quella frase che lo stesso regista aveva dichiarato durante un’intervista ci torna alla mente. “Sono ossessionato dal punto di vista”, aveva ripetuto a Rolling Stone. “Io ho sempre bisogno di vedere le cose come le vedo io. Sono entrato nel progetto quando i copioni erano già in fase avanzata, ma ho parlato molto con gli sceneggiatori. La mia ossessione è il punto di vista, perciò ho voluto mantenere lo stesso punto di vista sempre, anche nelle scene degli scontri. Volevo sempre stare con i protagonisti in maniera molto soggettiva, vivere tutto dalla loro parte”.
E così ci chiediamo: come avremmo reagito noi in determinati momenti, vestendo le divise di chi il Paese lo deve difendere, di fronte alla rabbia di alcuni tifosi che sfasciano una città intera. Lì reagire sarebbe stato giusto? Legittimo? In che modo? Dove inizia, se inizia, il giusto e dove e come si ferma l'errore irripetibile? Quello che possiamo criticare, con in mente le parole di Mattarella sulle manganellate delle forze dell’ordine contro gli studenti a Pisa il 23 febbraio, “con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento”, è soltanto una serie, interessante e lenta, lentissima destinata a uno spettatore che ha voglia di pensare e non di essere solamente intrattenuto. Acab veicola i mostri, gli amori e i dolori dei protagonisti di questa storia (esplorando bene ogni personaggio, andando oltre la divisa). Il dramma di casa Nobili (Adriano Giannini), Mazinga che è sempre Mazinga, come nel vecchio film di Sollima. Forse solo più incazzato. Perché il tempo sembra non aver portato alcuna vera soluzione, solo una perpetuazione dei vecchi “casini”, sempre uguali, sempre presenti, come se il sistema e le sue contraddizioni fossero rimasti inalterati. Si aggiunge però come un desiderio agognato di un'Italia fatta da menti nuove, perché come ha raccontato lo sceneggiatore Gravino a Il Manifesto: “È oggettivo che dopo il G8 di Genova c’è stato un ripensamento sostanziale su certi modi di fare, alcuni capi della polizia, penso ad esempio ad Antonio Manganelli (citato nella serie come 'maestro' del poliziotto buono), hanno aperto un dibattito vero tra gli agenti”. E alcune preoccupazioni, come l’angoscia da parte di Nobili di registrare tutto quello che accade durante una protesta così da essere pronto, nel caso partisse una gogna social, a rispondere. Come a dire che la verità è forse un’altra, quantomeno più complessa. Come che rispondere a pochi serva per difendere molti?