“I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”. L’incipit perfetto viene dalla citazione di Umberto Eco su un pensiero pronunciato 10 anni fa e che sembra scritto ieri, anzi in queste ore, viste le insinuazioni gratuite suscitate dal caso del cooperante detenuto in Venezuela, Alberto Trentini. Ovviamente si sprecano i riferimenti classisti nei confronti della giornalista Cecilia Sala, liberata secondo loro per via del suo lignaggio e non come pedina diplomatica nello scambio con Abedini, il tecnico iraniano inseguito dalla Cia. Lei che nei giorni della prigionia era oggetto di accuse del tipo: “Te la sei andata a cercare, “ti sta bene, ricordati dei due marò”, fino alle ultime deliranti annotazioni fashion sul suo Barbour e le Camper indossate. In buona compagnia con le orde digitali che settimane fa minacciavano le figlie minorenni della giornalista Francesca Barra, dopo lo scontro a tema immigrati con Daniele Capezzone. Virgolettati che ci riportano ogni volta coi piedi per terra, anzi sottoterra, a 10 anni di distanza dal preveggente aforisma formulato dal compianto semiologo, perché dalle legioni di imbecilli siamo arrivati a un’inarrestabile e feroce mutazione: quella degli hater che a priori riversano odio contro chiunque rifugga dalle semplificazioni e aderisca a un pensiero argomentato, soprattutto i giornalisti che si comportano come tali e cercano di verificare le fonti. Non a caso i mass-murder prima di entrare in azione, travestiti da Rambo, pubblicano deliranti farneticazioni zeppe di nemici sistemici, di Grandi Vecchi e di Illuminati e lo fanno su X, TikTok o Facebook che già questa è una madornale contraddizione.
Lo facevano anche gli integralisti dell’Isis, coi loro snuff clip truculenti, mentre i trapper finti gangster fanno soldi e ascolti a suon di insulti concordati. Molti dissing, molto onore. Tira fuori la tua me*da atavica e buttala in pasto ad altri rabbiosi in timida attesa di feci e sangue dietro un touchscreen. Ti chiedo scusa retroattivamente, caro Umberto. Con quale spocchia e arroganza all’epoca anche io ti dileggiai dalla mia tastierina, dandoti dell’accademico, dell’intellettuale elitario, difendendo Facebook che permetteva a tutti noi del pueblo unido di dire la nostra, oltre che postare gattini. Come se questo irrilevante monumento all’ego fosse una conquista. Avevi così ragione che ora, quando il "mostro blu" di Mark Zuckerberg mi riporge dei miei vecchi status risalenti a quegli anni, li rimuovo, specie se superano i 100 like. Il più delle volte facevo mie le notizie e le interpretavo, seppure in buonafede. Sapevo tutto su tutto, dalla Guerra dei sei giorni ai Joy Division, fino alle adenoidi della rana bue. Puntualizzavo e mi erigevo, senza mai arrivare all’eiaculazione e per mia fortuna neanche all’odio. Ottemperavo però a quella dannata presunzione, figlia di una democrazia troppo recente e poco spiegata, che ci insegue da quando abbiamo aperto i nostri vanagloriosi profili digitali: il culto dello spirito critico, da esibire sempre e comunque per risultare controcorrente e acuto.
Ma almeno oggi ne sono guarito: evito a priori di argomentare via social le notizie, se non sono informato e soprattutto se non mi pagano. E quindi un sentito appello ai commentatori seriali delle topic news da parte di un ex-drogato dei social. Staccate il web, andate a fare delle passeggiate o di meglio: accarezzate i vostri figli, i vostri cani o il vostro pene o vagina. Ve lo dico col cuore e la coscienza: quei like non vi cambiano la vita, anzi spesso vi abbruttiscono, senza che ve ne accorgiate. E se siete così ingenui e ignoranti da essere diventati veri e propri hater, sappiate che le vostre minacce sgrammaticate potrebbero portarvi in tribunale, specie se proferite contro personaggi pubblici, di solito tutelati da team di bravi avvocati: vi ritrovereste a dover pagare risarcimenti che vi impedirebbero decenni di last minute nel Mar Rosso o in Slovenia, se siete diversamente ricchi. Ma so di parlare al vento umido di Milano e che nuova melma faziosa sta già germinando da quei profili con bandierine nazionaliste e l’avatar di Anonymus. Neanche vi cito, siete imbarazzanti. Ripigliatevi, fermatevi a riflettere, tirate fuori la vostra parte ancora buona e ingenua. E se non arrivate a questo coming out, almeno fate log out. Sappiate che esiste la parola empatia, ovvero l’immedesimazione col prossimo, specie quando gli accade una disgrazia o si ritrova in una situazione scomoda. Concetto reso celebre dal povero Kurt Cobain, con il quale andava a chiudere la sua lettera d’addio: “Love, Peace, Empathy”. Lui era troppo sensibile per reggere tutti noi e il successo massivo che gli abbiamo procurato, per delle canzoni di cui pochi hanno cercato di capire le parole. L’odore di sterco contemporaneo è tale che più indicato citare quel genio situazionista di Freak Antoni, frontman poeta degli Skiantos: “Largo all’Avanguardia, siete un pubblico di merda". La sua statua coi razzi fuoriesce da un cesso che si staglia per 170 centimetri di marmo in un parco centrale di Bologna. Salvatevi, sottraetevi, datevi al Lucidismo (che cos'è lo spieghiamo qui); iniziate a leggere libri, ad ascoltare musica da epoche analogiche, a guardare film di cui non capite il finale e magari ad assumere medicine psichedeliche e reintrodurvi in una nuova realtà e superare quei cinque sensi che evidentemente non vi bastano. Siamo nati per palpitare, emozionarci e provocare sorrisi. Il resto non è così importante da essere riportato su un social. Parola di un ex-imbecille.