Nel 1978 John Szarkowsky, al tempo curatore del Moma di New York, in una mostra collettiva ha cercato di dividere gli oltre 80 fotografi partecipanti in due categorie: fotografi specchio e fotografi finestra. La distinzione di Szarkowsky è piuttosto semplice, ma per nulla banale: i primi sono coloro che usano la fotografia come espressione autoreferenziale, mentre i secondi quelli che la considerano un mezzo di osservazione del mondo. Lee Miller sarebbe sicuramente stata una fotografa finestra. E a ricordarci questo, e non solo, è “Lee”, esordio alla regia di Ellen Kuras. “Sapevo bere, fare sesso e fare fotografie. E ho fatto tutte e tre in modo sfrenato”. Così si racconta all’inizio del film l’ex modella, interpretata da una straordinaria Kate Winslet, diventata una delle più grandi fotoreporter del Novecento e colei che ha fotografato gli orrori del nazismo e dei campi di concentramento. Una donna, ancora prima che una fotografa, cinica, determinata, con un’ironia pungente che nasconde una grande fragilità e il senso di impotenza di fronte a immagini strazianti, violente, degradanti, che hanno segnato la nostra storia e quella di tutto il mondo. “Non mi sembra un affare di stato, sono solo foto”, “io penso di no, ci sono storie in queste foto”. Ed è così. Perché Lee Miller ha catturato, con la sua Rolleiflex, il dolore, la sofferenza, la paura e l’ignoto.

Come fotografa di Vogue, Lee Miller ha raccontato, ma soprattutto visto e documentato, tutto quello che mai avremmo voluto vedere: corpi ammassati e rinsecchiti, lasciati a marcire come se le tante vite spezzate non contassero nulla. E nell’esordio alla regia di Ellen Kuras non c’è spazio per il buonismo e per chi, entrando in sala, non ha il coraggio di guardare le fotografie di Lee Miller. Alla fine, l’immagine che rimane davvero più impressa, e che ha consacrato la fotografa, scomparsa nel 1977, nella mente di molti, è lo scatto nella vasca di Adolf Hitler. Un segno di sfida. Una cornice spaccata, la foto del Fuhrer poggiata lì, sul bordo della vasca. Si potrebbe dire tanto di questo film, ma per chi non conosce Lee Miller e la sua storia, andremmo noi a raccontare per lei quello che, oggi, è possibile vedere al cinema, in un film che in due ore racchiude una vita che ha meritato davvero di essere vissuta, che ha visto l’orrore più grande che si possa immaginare, ma non per questo l’ha nascosto. E se come dirà a un certo punto del film Autrey Withers (interpretata da Andrea Riseborough), allora direttrice di British Vogue, “le persone hanno bisogno di guardare avanti”, è giusto farlo, ma è importante ricordare. E questo film lo fa senza voler fare la morale a nessuno, ma riportando i fatti, una storia vere che è giusto almeno provare a non dimenticare.

