Elio Germano e Teho Teardo hanno portato a teatro “Il sogno di una cosa”, uno spettacolo che nasce dai primissimi romanzi di Pier Paolo Pasolini. Trieste, Jugoslavia, il mito di un gruppo di ragazzi che hanno creduto di trovare una modello, il comunismo, e poi l'hanno visto sgretolarsi tra le mani. Gli ideali, i giovani, dall’Italia a un’altra terra, lì dove c’era, pareva, un “mondo nuovo, libero e luminoso”. Germano legge i passaggi dei testi pasoliniani, Teardo, musicista, accompagna con i suoni. Scenografia povera ma efficace. Due tavoli, due postazioni, come in uno studio, ufficio, qualche strumento: fisarmonica, piccole percussioni, piatti. Al centro Pasolini. Germano più che attore, cantore. Nel senso che guida e non si fa guardare. Basta chiudere gli occhi, lasciarsi trascinare dal racconto. Sul palco, anche grazie ad Amat, abbiamo visto così una sorta di podcast da ascoltare nel buio di un teatro.

Il sogno di una cosa era un piano di quei ragazzi, preciso e scritto nelle pagine di un giovane Pasolini tornato in Friuli per insegnare, dopo la laurea. Giovani emigrati per sfuggire alla povertà di quegli anni, anni che iniziavano a sentire la venuta del boom economico. Era la prima metà del secolo scorso. Milio parte per la Svizzera, posto in cui avverte tutta la difficoltà nel trovare un'occupazione in grado di riscattarlo dall'originaria miseria, ma anche la diffidenza degli altri sugli italiani, gli immigrati, quelli che vengono da fuori e da lontano. Nini ed Eligio invece raggiungono in maniera rocambolesca la Jogoslavia, attratti dal sogno di costruirsi una nuova vita nel paese di Tito. Non sapevano di dover fare i conti con la dura realtà di un paese stremato. Sogno di una cosa, abbiamo detto. Sogno della libertà, della redenzione. Sogno di uno spettacolo come questo per scappare dall’angoscia dei giorni, per farsi raccontare in un’ora una parabola pubblicata nel momento delle poesie e del cinema. “Una cosa”, quella che speravano i protagonisti della storia e forse lo stesso Pasolini, che è forse la leggerezza del presente, ma pure senso del dover etico, di fatica e di lavoro. È questa una cosa che vogliono come fosse una rivoluzione o una rivelazione nei loro piccoli giorni. La trovano? Noi sì, insieme all'immaginazione.

