Scrivere di e su Superman è dannatamente complicato. Più di Batman, più di Spider-Man, più di qualunque altro eroe nato sulla carta. Perché Superman, nella sua apparente semplicità, un uomo buono, giusto, che non mente e non uccide, nasconde una complessità che pochi sceneggiatori e registi hanno saputo cogliere davvero. Non a caso, dopo il seminale Superman di Richard Donner del 1978, il cinema ha faticato - non poco - a restituire questa figura nella sua grandezza. Ci hanno provato in tanti, da Bryan Singer a Zack Snyder, ma per ragioni diverse hanno sempre finito per tradire o snaturare l’essenza del personaggio: quella di un alieno che sceglie di essere umano, di fare del bene, non perché costretto ma per amore dell’umanità. E poi, a un certo punto, arriva James Gunn. Un regista che conosciamo tutti per Guardiani della Galassia, con cui ha reinventato un gruppo semisconosciuto della Marvel portandolo nel cuore del grande pubblico, e per quello straordinario The Suicide Squad che, in barba al flop del film precedente, ha restituito dignità a un gruppo di antieroi tragicomici. Gunn non è un mestierante: è un autore che viene dal cinema indipendente underground, con una sensibilità tutta sua, capace di fondere l’anima più pop e caciarona del cinecomic con un’impronta personale, a tratti intima, spesso politica. E questo, con Superman, fa tutta la differenza del mondo. Diciamolo subito: Superman di Gunn è, finalmente, un Superman cinematografico. Perché il Superman di Henry Cavill, pur interpretato da un ottimo attore, era scritto come un Batman con il mantello rosso: cupo, tormentato, alienato, quasi incapace di empatia. Gunn invece ci restituisce ciò che rende Clark Kent unico: la bontà. Quella vera, quasi ingenua, che però non è mai sciocca o superficiale. È il cuore del personaggio: un alieno che non si limita a vivere tra gli umani, ma che soffre per loro, teme di deluderli, si sente in colpa se non riesce a salvarli tutti. Ed è proprio questa sua fragilità emotiva a renderlo così umano, più umano di qualunque altro supereroe. David Corenswet, nuovo volto del Kryptoniano, è perfetto: ha l’aspetto da boy scout, alto, bello, rassicurante, ma riesce anche a far emergere il peso che Clark porta sulle spalle. Quello di essere, letteralmente, il simbolo della speranza per un intero pianeta. È un Superman che ride, che si stupisce, che scherza, ma che non dimentica mai la responsabilità immensa che ha verso il prossimo. E questa combinazione, leggerezza e gravita, è ciò che lo rende davvero Superman.

Il film ha un ritmo eccellente, non annoia mai, e Gunn dimostra ancora di saper gestire grandi ensemble di personaggi. Forse, a dirla tutta, Superman ha anche troppi comprimari: qualche figura secondaria in meno avrebbe dato più spazio a Clark stesso, che in alcuni momenti rischia quasi di perdersi nel coro. Ma è un difetto che si perdona, perché tutti i personaggi, anche quelli minori, sono scritti con una cura rara nel cinecomic moderno. E poi c’è lui: Lex Luthor. Nicholas Hoult, che molti ricordano per Skins, Mad Max: Fury Road e la saga degli X-Men, offre un’interpretazione magnetica. Il suo Luthor non è più la macchietta del genio del male, ma un personaggio inquietante e attualissimo, ispirato a figure reali del mondo della tecnologia e dell’innovazione. È un uomo ossessionato dall’idea che Superman – questo alieno venuto da chissà dove – rappresenti una minaccia esistenziale per l’umanità. E Gunn, qui, fa un’operazione brillante: trasforma il conflitto tra Luthor e Superman in una riflessione politica sui nostri tempi. Cosa significa avere potere? Chi decide chi può averlo? E a chi dobbiamo davvero temere: a un dio alieno che vuole solo il bene o a un uomo che, in nome dell’umanità, è disposto a distruggerla? Questo è il grande pregio del Superman di Gunn: è un film profondamente politico, anche se non rinuncia a essere un popcorn movie. Racconta l’immigrazione, l’alienazione, la paura del diverso, la responsabilità del potere, il ruolo dei media e perfino la tentazione autoritaria che può nascere da un trauma collettivo. Temi che, negli ultimi anni, il cinema d’azione ha evitato di affrontare, rifugiandosi in storie sempre più generiche per paura di scontentare qualcuno. Non a caso, il film è stato subito etichettato da qualcuno come “woke”. Ma basta ricordare che Superman è un personaggio creato da due immigrati ebrei negli anni Trenta – Jerry Siegel e Joe Shuster – per capire che la sua natura “politica” è intrinseca, non un’invenzione recente. Superman è, da sempre, la storia di un uomo che ha perso il suo mondo e cerca di essere accettato in un altro. È un simbolo di speranza per chi si sente straniero, diverso, escluso. A livello registico, Gunn conferma il suo talento: Superman è un film visivamente colorato, giocoso, con una dose di comicità ben dosata e sempre organica alla narrazione. Non è mai una parodia: le battute servono a umanizzare Clark, a mostrare il suo lato più genuinamente “ragazzo della porta accanto”. Eppure, dietro questa leggerezza, resta sempre presente la consapevolezza del sacrificio, del dolore, del dubbio morale. Anche nelle scene più spettacolari – e ce ne sono, come è giusto in un blockbuster, Gunn non dimentica mai i personaggi. Ogni esplosione, ogni combattimento, ogni volo tra i grattacieli ha una ragione narrativa, un peso emotivo. Non è solo spettacolo fine a se stesso. Questo Superman non è solo un film riuscito: è il primo mattone del nuovo universo cinematografico Dc Comics. Dopo anni di tentativi falliti, ripartenze e contraddizioni, Gunn e Peter Safran hanno il compito titanico di ricostruire la fiducia del pubblico verso un brand che ha perso la bussola. Se questo film è il punto di partenza, possiamo essere moderatamente ottimisti: perché parte da ciò che conta davvero, i personaggi. Non sappiamo cosa accadrà nei prossimi capitoli, ma Superman ci ricorda che un buon cinecomic non deve solo divertire: deve anche dire qualcosa. Deve emozionare, farci riflettere, farci sentire quel brivido che proviamo quando vediamo un uomo con il mantello rosso volare sopra Metropolis. E in questo, James Gunn ha fatto centro. In un’epoca in cui i supereroi rischiano di diventare tutti uguali, il Superman di Gunn ha un’anima. Ed era da troppo tempo che non ne vedevamo una così limpida.
