L’ultima vera intervista Alain Delon non l’’ha fatta nemmeno a un giornalista, categoria che lui odiava, tanto è vero che quando rimasi con lui tre giorni a Pavia per la pubblicità della pellicceria Annabella, dovetti dire di essere un assistente dei figli di Giuliano Ravizza, se no mi avrebbe fatto buttare fuori dal set. Ma aveva mangiato al foglia e mi disse qualche tempo dopo: «Mi hai preso per cretino? Avevo capito subito chi eri: eri troppo curioso». Ma il cachet (lo spot vedeva con lui Monica Bellucci) era alto, in quei tre giorni fece finta di nulla. «Voglio morire, la vita è finita», disse in quell’ultima grande intervista come detto non fatta da un giornalista, ma dalla gendarmeria di Douchy, dove viveva: i poliziotti erano andati da lui dopo la denuncia fatta dai figli di Delon, Anthony, nato dalla moglie Nathalie, Anouchka e Alain-Fabien, avuti da Rosalie Van Bremen. I figli avevano denunciato Hiromi Rollin, una signora franco-giapponese, un tempo assistente e infine compagna di Alain, accusata da loro di maltrattamenti (Delon parlò anche di male parole e di schiaffi, dati e ricevuti, forse). Nella denuncia si parlava anche di circonvenzione di incapace per mettere le mani sull’eredità.
Figli protettivi? Speriamo, anche se loro stessi si erano denunciati tra di loro perché la figlia voleva trasferire il padre in Svizzera, ma i due figli maschi volevano che rimanesse in Francia. Secondo Anthony, la sorellastra intendeva trasferirlo solo per pagare meno tasse sulla prossima eredità, mentre Anouchka diceva di voler portare il padre in Svizzera per farlo curare dall’ictus e dal linfoma che lo avevano colpito (la sanità in Francia non era all’altezza?). Ma forse era a Douchy che Alain voleva morire, nella sua grande tenuta, a 120 chilometri da Parigi, circondato dai suoi libri, da oggetti di ricordi sempre meno consolanti. Unica amata compagnia? Il suo cane Loubo, considerato da lui come un figlio, e che lo accompagnava ovunque anche a portare giocattolini, nonostante ormai fosse costretto alle stampelle, al cimitero che aveva realizzato negli anni dietro casa tra gli alberi per i cani che aveva avuto, forse gli unici amori che nella sua vita non lo avevano mai stancato. Perché Delon era davvero un uomo stanco nell’anima, al punto che un medico che lo aveva visitato dopo l'ictus del 2019, scrisse di uno stato di notevole «esaurimento fisico e psicologico con un forte rischio di suicidio». I ricordi di una carriera unica e planetaria dopo i film diretti da Luchino Visconti (Rocco e i suoi fratelli, Il gattopardo) che lo avevano reso famoso a Hollywood come in Giappone, non bastavano e non bastavano nemmeno i ricordi dei suoi amori, tanti, tutti finiti per volontà di lui che alla fine si stancava: esaurito il fuoco della passione, non accettava una vita fatta di sostegno, amicizia, protezione con una donna, voleva il fuoco, sempre. Molti insistevano nel dire che lui era anche omosessuale, una diceria cretina perché forse di lui era innamorato Luchino Visconti, una voce alimentata da molte bellone del cinema che da lui avevano ricevuto solo due di picche, anche se altre, meno appariscenti, ma più “creative”, mi raccontano ancora oggi di un uomo pieno di voglia e di voglie. Gli piaceva il sesso, certo, pure esagerato, ma sapeva anche amare: «Ma in una vita non si può amare solo una donna», diceva. Aveva amato grandi donne, ma se ne stancava, come Romy Schneider, la lasciò, anche se lui per tutta la vita di lei aveva cercato di aiutarla e proteggerla, soprattutto da sé stessa, con un’esistenza funestata dalla morte dell’unico figlio, ancora bambino, e dalla depressione. La impose anche nel film La piscina, perché lei era senza soldi: «O lei o non faccio il film» e lo fecero. Poi Alain aveva incontrato Nathalie, nata Francine Canovas, che è stata l'unica donna che Alain abbia mai sposato, che gli diede un figlio Anthony, a suo tempo un adolescente difficile, dalle brutte compagnie. Ma Nathalie era uno spirito libero e lei mal soffriva il suo carattere dispotico, ma fu lui a mollare. Arrivò nella vita di Delon anche Dalidà, la grande cantante di origini calabresi, ma nata in Egitto. Rimase un amore segretissimo: ancora oggi il fratello di lei, Orlando Gigliotti, me ne parla con fatica. Solo una volta finita la loro frequentazione, incisero insieme Paroles Paroles, una canzone che era un addio, portata al successo in Italia da Mina con Alberto Lupo. E seguì un’altra cantante, Mirelle Darc, un amore durato 17 anni, il più lungo, poi finito, per scelta sempre di lui, inspiegabilmente, ma che scrisse una lettera disperata alla morte di lei. Tutte donne lasciate da lui, a parte la modella Rosalie van Breemen, di origine olandese dalla quale, come detto ha avuto Anouchka e Alain Fabien. Ma Rosalie aveva le idee ben chiare, voleva emergere, e Delon non credeva forse in lei (e forse ci prese) e lo lasciò. Solo i cani non lo hanno mai lasciato e sono morti accanto a lui. «Sono stati i miei veri amici che non mi hanno mai tradito», mi diceva e per questo aveva creato un vero cimitero per loro.
Al Festival di Cannes nel maggio 2019 gli fu conferita la Palma d’oro onoraria alla carriera. Travolto dalle lacrime lesse la sua lettera d’addio: «Mentre il mio viaggio volge al termine, voglio dirlo: ho conosciuto così tante passioni, così tanti amori, così tanti successi e insuccessi, così tante polemiche, così tanti dispetti, così tante vicende torbide, così tanti ricordi, così tanti appuntamenti mancati e incontri improvvisati, così tanti alti e bassi; che quando le onorificenze non saranno più che vani e lontani ricordi, c’è solo una cosa che brillerà per la sua costanza e longevità: voi, solo voi. A voi che mi avete reso ciò che sono e che mi renderete ciò che sarò, dovevo dirlo. Grazie, grazie, grazie». Vorrei chiudere questo mio articolo così, invece già si delineano all’orizzonte nubi che spero si allontanino al più presto: la lite tra i fratelli, l’eredità, le dispute. Spero di sbagliarmi. In più c’è ancora una questione che sembrava cancellata. Al di fuori delle dispute tra gli eredi di Delon, c'è anche un figlio mai riconosciuto: Christian Aaron Boulogne. Nato nel 1962, mentre Delon era impegnato con Romy Schneider, Alain avrebbe avuto un incontro con la cantante Nico, la musa di Andy Warhol. Nacque Christian Aaron, che negli anni divenne eroinomane come la madre. Lui non lo riconobbe mai. Ma allora perché fu cresciuto dalla mamma di Alain Delon, Edith Boulogne, e perché lei gli diede anche il suo cognome? Delon non volle mai sapere nulla di lui, addirittura chiuse con sua madre Edith: «O me o lui». Un particolare che rivela un altro Alain, forse crudele, o semplicemente fuggiva da qualsiasi cosa lo stancasse, come lo avevano stancato tutte le sue donne, al punto da ignorare completamente la morte ai Christian avvenuta l’anno scorso, forse per droga.