Il 15 novembre 2024, Alberto Trentini, cooperante italiano della Ong Humanity & Inclusion, è stato arrestato in Venezuela mentre si recava da Caracas a Guasdualito per una missione umanitaria a favore delle persone con disabilità. Su questo stesso giornale ne ha parlato Gianmarco Aimi, provano a fare ordine su cosa distinguesse questo caso da quello di Cecilia Sala. Da allora, il suo nome si è perso nei meandri di un’opinione pubblica distratta, troppo intenta a seguire le logiche dell’iper-visibilità per interrogarsi sul senso profondo della scomparsa. Parliamo di Ettore Majorana, parliamo di Trentini: due figure che, seppur in contesti diversi, condividono il destino di essere assenti. La scomparsa, in fondo, è un atto politico e filosofico: un evento che sfida l’ordine del visibile, dell’esistente e del narrabile. Giorgio Agamben parlava di vite che diventano "nuda vita," spogliate di ogni riconoscibilità simbolica e relegate a un limbo di irrilevanza. Trentini, oggi, incarna esattamente questo limbo. Un uomo che, nella sua dedizione alla cooperazione internazionale, avrebbe potuto rappresentare un simbolo della giustizia globale; eppure, la sua assenza non riesce a trasformarsi in narrazione. In questi mesi, alcune iniziative hanno tentato di riportare la sua vicenda sotto i riflettori. Dalla campagna di sensibilizzazione al digiuno a staffetta, fino alle prese di posizione delle istituzioni locali italiane, qualcosa si è mosso. Ma è sufficiente? La realtà ci dice di no. La figura di Trentini sembra essere rimasta intrappolata in una zona grigia: troppo lontano per generare indignazione immediata, troppo vicino per diventare mito. In una società che si nutre di immagini e hashtag, la scomparsa di un uomo adulto, senza caratteristiche che ne amplifichino l’impatto emotivo immediato, è un vuoto che si lascia rapidamente colmare da altre storie. Il problema non è solo culturale, ma ontologico: una vita è reale solo se è percepita, raccontata, riconosciuta. Al contrario, la sua scomparsa è una pagina bianca che il mondo si rifiuta di leggere.

Majorana, scomparso nel 1938, è diventato un mito proprio per l’enigmaticità della sua sparizione. La sua assenza ha generato un campo semantico denso, una fitta trama di speculazioni filosofiche, politiche e scientifiche. Trentini, invece, è privo di questo substrato: la sua scomparsa non è un evento, ma un’assenza muta. E qui risiede il paradosso: perché alcune assenze vibrano nella memoria collettiva mentre altre scivolano nell’oblio? C’è una logica sottile e crudele che governa il valore attribuito alle vite umane. Una giovane donna brillante, come nel caso di Cecilia Sala, è un soggetto che si presta facilmente a diventare storia, simbolo, mobilitazione. La sua scomparsa scuote, non solo per l’ingiustizia intrinseca, ma perché si inscrive in un immaginario di vulnerabilità che il pubblico riconosce e, perversamente, desidera. Trentini, invece, è un uomo adulto, lontano dagli schemi di vulnerabilità tradizionalmente associati al femminile. La sua sparizione è percepita come meno degna di attenzione, meno capace di catalizzare empatia. Il patriarcato ha molte forme, alcune sono invisibili proprio a chi le denuncia. Ma cosa significa davvero scomparire? Forse è qui che dovremmo guardare, oltre l’ovvio. La scomparsa è un atto che non riguarda solo chi sparisce, ma chi resta. È uno specchio crudele che ci costringe a confrontarci con le gerarchie che attribuiamo al valore delle vite. La scomparsa di Trentini è una denuncia implicita della nostra incapacità di concepire la dignità umana come universale, indipendente dai contesti e dai volti.

Agamben ci insegna che ogni vita è, in potenza, "vita sacra": una vita che, al di là delle sue qualificazioni, merita attenzione e protezione. Trentini è una "vita sacra" dimenticata, un nome che si perde nell’invisibilità delle nostre priorità collettive. Ma la sua assenza dovrebbe essere un monito. Perché non è solo Alberto Trentini ad essere scomparso: è la nostra capacità di riconoscere l’altro, di indignarci, di mobilitarci. In fondo, Majorana, Trentini, Sala sono solo variazioni di uno stesso tema: l’incapacità di una società ossessionata dalla visibilità di fare spazio a ciò che non è immediatamente narrabile. Ma ogni scomparsa è una domanda che attende risposta, un silenzio che richiede ascolto. Sta a noi decidere se aprire quel libro e iniziare a scrivere, o continuare a lasciarlo chiuso, ignorando le pagine bianche che raccontano il nostro fallimento. Da ieri, 5 marzo, è cominciata l'iniziativa del digiuno a staffetta per Trentini. Ci si unisce compilando un form.
