Il testamento pop della Gen Z è una lunga e dolorosa autobiografia. Talvolta opacizzata da ritmiche ed effetti che rendono tanti dei loro brani radiofonici, commerciali, talvolta addirittura ballabili. Ma mediamente il mood della Gen Z è cupissimo. Nei testi e nelle biografie di chi quei testi li ha scritti. In quest’ottica, la storia di Nessie, appena uscita con il singolo d’esordio “Perdonami Lacie” (prodotto da V_Rus, pubblicato da B Music Records e distribuito da Ada Music Italy), è di quelle toste. Vi capitasse di imbattervi nella sua bio, credo che anche “Requiem for a dream” di Darren Aronofsky, dopo, vi potrebbe tirare su il morale. Nessie è una giovane cantante napoletana che nella primissima parte della vita si è già fatta il suo bel giretto all’inferno. Ora, grazie al cielo, sta tornando indietro. E dice: “Dopo tutto quello che mi è capitato ho capito che la cosa più importante sono io e gli stessi giudizi non richiesti che un tempo mi facevano stare male ora mi scivolano addosso. Io sono io, sono pazza, sono strana ma ho imparato a non farmi del male da sola e a non farmelo infliggere da altri”. Bene. Perché prima di questa consapevolezza, Nessie ha conosciuto un’anoressia nervosa compulsiva e cronica, le droghe (leggere e pesanti) e una maternità all’età di 15 anni. Il tutto nel contesto di una dissociazione e disgregazione dell’Io. Come incipit di un lungo percorso, mica male.
La musica è la risposta
Ci si stava quasi abituando, Nessie, al calore per nulla massaggiante dell’inferno. A una condizione estrema che si stava configurando come un’oscura tassa sul futuro, come se la ragazza, a un certo punto, non avrebbe dovuto fare altro che arrendersi e farsi rosolare anima e corpo in eternità. A quel punto, in realtà, interviene la musica. “Se c’è un concerto ora sono in prima fila, se esco con le cuffie ballo e canto per strada”, afferma. “Perdonami Lacie” è quindi il suono di un riscatto? La colonna sonora di un trionfo? Non proprio. Il brano, chiaramente autobiografico, al centro ha l’Io fratturato di Nessie, che si identifica in due ipotetici personaggi, Lacie e Alice, che fanno parte del suo essere e si manifestano ciclicamente. Il primo vive nella perenne insicurezza, sempre alla ricerca dell’approvazione, mentre il secondo ha una personalità più eccentrica e tormentata. Così nel pezzo Nessie chiede scusa a Lacie e cerca, accettandosi, quella parte di sé (Alice) che ambisce alla felicità. Psicoanalisi in salsa pop-rock, andando così ad allungare la lista di artisti che compongono stando sdraiati sul lettino dell’analista, alla Jonathan Davis per dire.
Una bordata di synth per galoppare
“Perdonami Lacie” è una botta molto mid-nineties, con una spianata di synth che provano a far volare il ritornello, capriccioso e sfrontato, su uno sfondo sonoro “alternative” (siamo appunto a metà ’90, come mood). Sono tornati i chitarroni e Nessie ha un timbro che suona come un incrocio fra Courtney Love e Avril Lavigne. Il pezzo scalpita, ma non è memorabile. Ciò che semmai “passa” è l’esigenza di una giovane ragazza che per esprimersi torna indietro nel tempo, attribuendo a quel rock una funzione preziosa. Come a dire, se inseguite il solito delirante ego-trip servitevi pure al banchetto trap, ma se dovete vomitare urticanti schegge di vita passata (ed elaborata), allora tornare ai novanta può essere la scelta giusta. Nessie è giovane, ma ha già una vita alle spalle. Il rock – genere percepito come adulto anche quando l’atteggiamento è punk e le chitarre sfoggiano l’accordatura abbassata – è il suo referente.