“Perché ti piace così tanto Renato Zero?”. Periodicamente ricevo questa domanda, come se fosse strano che un ragazzo di ventotto anni possa avere questa passione. Finalmente ho la possibilità di rispondere in occasione del compleanno di Renato, che oggi compie settantatré anni. Perché mi piace Renato Zero, quindi. Mi piace perché io sono nato ascoltandolo. Mio padre, sorcino da fine anni Settanta, fortunatamente non mi ha dato possibilità di conoscere una vita senza la musica di Renato. Sin da piccolo – avevo poco più di un anno – cantavo Più su e Amando amando, cercando di imitare quanto vedevo in tv. Ho sempre avuto la sensazione che quel signore vestito spesso di nero e con quei capelli lunghi fosse uno di famiglia. Ricordo che il primo concerto della mia vita è stato il suo: era il 2002, avevo sette anni, e il tour era “Prove di volo”, iniziato poco dopo l’uscita dell’album “La curva dell’angelo”. Ero emozionatissimo e nonostante a un certo punto avessi molto sonno ricordo che riuscii a resistere fino alla mia canzone preferita di quell’album: Non cancellate il mio mondo. Da quel concerto non mi sono più fermato e fino a oggi ho collezionato una quindicina di presenze ai suoi concerti. E tutti insieme a mio padre, colui a cui devo questa passione. Non penso esistano cose più belle di condividere insieme a lui questa passione: è lui la prima persona che chiamo quando viene annunciato qualcosa legato a Renato, è lui la persona con cui vado a vedere i concerti, è lui la persona con cui in macchina canto le canzoni. E questa è anche una delle forze di Zero: saper unire le generazioni. Ai suoi concerti è evidente la presenza di persone anziane, persone adulte, adolescenti e bambini.
Essere sorcini oggi
Essere sorcino è una cosa difficile da spiegare e spesso mi sono trovato compreso solo da chi è sorcino come me. In base alla mia esperienza posso dire che essere sorcino è un privilegio: si cresce con una sensibilità diversa, si coltivano certi sentimenti e si lascia spazio anche a quella malinconia che, come diceva il maestro Franco Califano, “forse è poesia”. Da Renato ho imparato la libertà, ho imparato a non giudicare, ho imparato a sentirmi libero di essere me stesso. Spesso è complesso far capire perché si è rimasti fan di Renato nonostante abbia abbandonato paillette e piume. Ma penso che la chiave della passione sia racchiusa lì. Quello che ha contraddistinto la carriera di Renato Zero è stata la sua capacità di cambiare e di capire quando era arrivato il momento di trasformarsi. Chi ha seguito la sua carriera ricorda di quel periodo buio a cavallo tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90. Fu a Sanremo 1991 che si presentò in un’altra veste, quella di un Renato più maturo e consapevole. Spalle al muro nel 1991 e Ave Maria nel 1993 sancirono il nuovo inizio della sua carriera. Tante persone mi dicono: “A me piaceva il Renato de Il Triangolo, di Mi Vendo e de Il Carrozzone”, e io rispondo: “Ti sei perso il meglio”. Gli anni ’90 credo infatti siano stati gli anni più prolifici della carriera di Renato: I migliori anni della nostra vita, Cercami, Nei giardini che nessuno sa, La pace sia con te, Figaro e Si sta facendo notte, sono solo alcuni dei successi di quel decennio. E “Amore dopo amore” del 1998, infatti, è stato il suo album più venduto: 1.500.000 copie. Gli anni 2000 poi sono gli anni della sua carriera a cui io sono comprensibilmente più affezionato. Dalla Curva dell’angelo, a Cattura, a Il dono, a Presente, è stato un decennio altrettanto prolifico e che quotidianamente ripercorro con le mie cuffiette e il mio smartphone.
Nel 2023 essere sorcini è una lotta perché di “wanna be Renato Zero” ce ne sono troppi e ogni sei mesi esce “il nuovo Renato Zero”. Ogni volta bisogna star lì a spiegare perché cantare di ses*o a tre nel 1970 è diverso da farlo nel 2023 e perché vestirsi con lustrini e paillette era rivoluzionario con la Democrazia Cristiana al governo e non adesso che viviamo una libertà che prima era limitata. Renato Zero è stato un personaggio, è vero, ma oltre a quell’immagine ambigua e provocatrice c’era una capacità artistica fuori dal comune. Questo va spiegato oggi: non basta mettersi i tacchi e il boa di struzzo per essere Renato Zero. Bisogna anche pubblicare 44 album di cui 31 in studio, bisogna essere l’unico artista ad avere raggiunto il primo posto nella classifica degli album più venduti in Italia in sei decenni consecutivi, bisogna essere da più di cinquant’anni sulla cresta dell’onda. Tutti noi sorcini speriamo che ci sia un nuovo Renato Zero ma siamo consapevoli che uno così non si rivedrà per secoli. Caro Renato, settantatré anni non sono pochi e non nascondo che dopo l’ultimo concerto che ho visto “Zero a zero”, mi hai lasciato un po’ di tristezza. Dalle tue parole ho compreso che il tempo che hai davanti non è infinito. Mi chiedo quindi: cosa farò io e cosa faranno gli altri sorcini quando non potremo più vederti su quel palco a cantare, ballare ed emozionarci? Spero che quel giorno arrivi il più tardi possibile. Intanto tanti auguri Renato, grazie per la tua arte.