Questa sera, primo marzo, all’Asino che vola di Roma, “Avincola canta Carella”. Una serata insieme ad Avincola, Maccio Capatonda e Maurizio Guarini (Goblin). Un’occasione particolarmente stuzzicante per scoprire o riscoprire le canzoni di Enzo Carella, cantautore romano scomparso circa 7 anni fa. Una figura tuttora avvolta da un alone di culto nonostante la discografia abbastanza scarna. Fuori dalla cerchia dei grandi nomi (pensiamo a cosa sono stati gli anni ’70 per il cantautorato nostrano), riesce anche oggi a far parlare di sé. Anzi, forse è proprio oggi che si ricomincia a parlare seriamente di lui…
Come funziona questo “Avincola canta Carella”?
Dunque, la presenza di Guarini (con Simonetti alle inconfondibili tastiere dei Goblin) è giustificata dal fatto che i Goblin suonarono nei primi album di Carella. Quando l’ho incontrato, Guarini mi ha raccontato un sacco di cose sul periodo, su quando Carella andò a Sanremo con “Barbara” (finì secondo nel 1979). Con lui faremo una chiacchierata storica, poi insieme suoneremo proprio “Barbara” e un altro pezzo.
E invece? Avincola rispetto a Carella?
Io da sempre subisco misteriosamente il fascino degli artisti che restano nell’ombra. Mi piace cercarli e ricercarli, intrufolarmi nelle loro storie rimaste parzialmente ignote, penso ad artisti che hanno anche fatto un solo album e poi sono spariti. Già una decina d’anni fa avevo fatto un documentario su Stefano Rosso, un nome teoricamente minore del Folk Studio. E mi chiedo sempre: perché? C’è stato qualche problema con le case discografiche? Il pubblico non li ha capiti?
Nel caso di Carella quale può essere stato l’inghippo?
Fu il primo a portare il funky nel cantautorato, addirittura un anno prima di Lucio Battisti. E poi c’erano le parole di Pasquale Panella. Che ancora oggi sembrano scritte domani.
Guardando a un determinato periodo storico, ti chiedi mai perché Rino Gaetano sia comunque riuscito a godere di una certa gloria (soprattutto postuma, forse), mentre Carella per molti resta un carneade?
Me lo chiedo spesso, proprio facendo un paragone con Gaetano. Credo che la risposta non sia semplice. A quei tempi Gaetano non era fra i cantautori davvero popolari, ma poi il suo status è cresciuto. Per alcuni artisti come Rosso e Carella la sensazione è che fossero un po’ isolati, non avessero grandi rapporti di collaborazione con altri cantautori. E poi bisognerebbe capire quanto siano state davvero orecchiabili le canzoni in questione. A giudicare dall’influenza esercitata su artisti odierni come Calcutta e Colapesce, mi verrebbe da dire che i brani di Carella fossero centrati e potessero arrivare a tanti. Eppure…
C’è in te una porzione di questa oscurità che avvolge alcuni fra gli artisti che segui? Trovi confortevole un velo di oscurità?
Mi rivedo nella sincerità che questi artisti “oscuri” hanno iniettato nelle loro canzoni, fregandosene del mercato e facendo soprattutto ciò che più piaceva loro. Un destino che tocca anche me, che faccio pop o – come dicono – indie-pop. Qualsiasi cose significhino queste etichette.
Mi sarei sorpreso se mi avessi detto che una certa oscurità permeava i tuoi brani. Sono tutti pezzi che non si nascondono, i tuoi; che pretendono di comunicare. Non certo banali.
Mi piace trattare anche temi al confine con la banalità perché mi piace cercare un po’ di originalità in questioni potenzialmente o apparentemente banali.
E Maccio Capatonda cosa c’entra con te e Carella?
Oltre ad essere un grande fan di Carella, Maccio desiderava inserire in un suo film un pezzo di Carella, solo che questi era irreperibile. Maccio si fece avanti attraverso la pagina di Facebook, ma Carella non rispondeva perché all’epoca stava già male. Finché un giorno – una triste coincidenza – Maccio aprì il giornale e accanto alla recensione del suo film vide la notizia della morte di Enzo. A Roma, sul palco, Maccio farà due chiacchiere surreali con me, poi chi lo sa…Più avanti, magari, “inventeremo cose”.