“Una delle cose di cui manca la sinistra italiana è l’ingenuità. Sono tutti dei vecchi. Se vuoi cambiare il mondo devi avere una componente quasi ridicola di ingenuità”. Oltre due ore di intervista con Alessandro Baricco sono come uno spettacolo teatrale a metà tra cronaca e opera lirica. Come se una voce fuori campo introducesse la scena mondana con frasi altisonanti, quasi aforismi improvvisati. Così “Wild Baricco”, il podcast de Il Post, diventa l’occasione per capire come tenere insieme l’attualità e il commento, la semplice opinione e il fatto. Baricco, che fa dell’ingenuità una virtù morale del politico, non la vede in nessuno dell’opposizione. Al contrario, un po’ la rintraccia nella premier tolkeniana: “A modo suo, la Giorgia ha degli accenti molto ingenui. Forse è l’unica cosa che mi viene da apprezzare in lei. Però c’è qualcosa, che poi la gente riconosce, che esula da quel solito buonsenso, realismo, del politico”. Non che, ammette Baricco, lui si sia mai interessato troppo alle vicende italiane: “Cioè, perché spendere grandi energie per capire l’Italia? È una cosa che mi ha reso un po’ diverso da altri miei colleghi, per cui invece è un valore”. Valore che attraversa in egual misura alcuni degli autori più popolari in Italia attualmente. Due su tutti: Michela Murgia e Roberto Saviano.
Baricco parte dalla prima. Alla domanda di Matteo Caccia sul modo di affrontare la malattia di Murgia, lui risponde: “C’è anche quel modo al mondo di fare le cose. Io, combinazione, non sono mai stato d’accordo con Michela Murgia, questo mi ha quasi creato un legame di affetto con lei, perché, sai, in anni mai essere d’accordo con lei è pazzesco. Avevamo una cordialità, non troverai mai una parola brutta sui suoi libri o su di lei, perché anche lei è una di quelli lì, che non vuole niente di meno del massimo della luce. Poi è un modo suo, a me piacciono quelli così. Però, tecnicamente parlando, quando lei diceva bianco io pensavo nero. E quindi è una persona agli antipodi del mio stare al mondo. Anche in quell’esperienza lì della malattia”. Un disaccordo cordiale che tra pura formalità e autodichiarato “pacifismo” di Baricco ha evitato nel corso degli anni lo scoppio di qualche polemica tra l’autore di Abel e l’autrice di Tre ciotole. Ma davvero è pura divergenza di opinioni? Sembra di no, tanto che Baricco incalza: “Io patisco un po’ di quelli come lei. Molto Saviano. La cosa che mi piace di loro è questa fame di intensità, che condivido. A me piacciono le persone che sono ambizione di senso della vita e quindi magari di giustizia, di bellezza. La incarni come vuoi”. Ma? “Diciamo che nella mia carriera di scrittore ho incontrato spesso, ma non solo italiane, figure che avevano dentro una componente di violenza che però io non condivido. Che mi mette in difficoltà”. Una aggressività dialettica, forse l’esigenza di “reagire e punire”, per sbagliare quello che è ormai uno slogan foucaultiano. “Tipicamente c’è una frase che io patisco molto: se non ti schieri, stai con gli altri. Se taci, diventi collaborazionista. Ecco, questa roba qua è profondamente falsa e violenta. Ogni volta che viene tirata fuori il mondo è peggiore. Tu puoi avere una posizione, anche vicina a quella persona lì, però non la pronunceresti così, però non useresti quei nomi. Dieci minuti fa sì, fra un’ora, ma non adesso. C’è un tempo per tutto. Puoi condividere un sacco di cose e quindi stare in silenzio. Che questo faccia di te un collaborazionista con il nemico è una derivazione logica falsa, un po’ stalinista”.