La lunga intervista, diventata un podcast, di Alessandro Baricco su Il Post, fa discutere, come quasi tutto ciò che questo scrittore abbia fatto fin dal suo esordio letterario ma anche televisivo. Lo scrittore Fulvio Abbate è intervenuto dopo aver ascoltato Wild Baricco proprio su MOW, parlando di “invidia” di molti scrittori e concludendo così: “Anche le orecchie davanti a Baricco imparano ad applaudire”. Ma c’è chi non è d’accordo. Massimiliano Parente, “il più grande scrittore dopo Proust” e autore della Trilogia dell’inumano, risponde ad Abbate sul successo di vendite e il vero genio.
È come quando Salvini utilizza il termine “rosicare”. Io non invidio Baricco perché altrimenti avrei scritto i libri di Baricco con lo 0,15 % dell’energia che ci ho messo a scrivere i miei. Il successo dei libri non c’entra niente con la letteratura. Con questa logica anche Proust che disprezzava Pierre Hamp lo faceva per invidia? Per cosa? Perché vendeva di più? Se ragioniamo come se le opere fossero prodotti commerciali e basta non esisterebbe la critica di quelli che sono semplicemente prodotti midcult, ossia vendono a chi si sente colto leggendo Baricco, che è cultura omeopatica. Allora Arbasino avrebbe dovuto invidiare Baricco? Busi secondo voi invidia Baricco? E l’invidia su cosa si misura, sulle vendite? Sul fatto che la casalinga di Voghera crede di leggere letteratura? È un discorso senza senso e molto berlusconiano: si invidia ciò che vende di più, a prescindere dal fatto che è narrativa elementare, pseudo-profonda, che non cambia niente nella storia della letteratura. Ci saranno tuttavia autori italiani che invidiano Baricco, ma solo perché non vendono, e come scrisse Aldo Busi: “è ben triste scrivere per vendere, sacrificare tutto il resto, e poi non vendere”. Ecco quelli, che poi sono la maggior parte, è possibile che invidino Baricco, perché altri orizzonti non ne hanno, e neppure il talento.