Come se già l’esperienza del Concertone del Primo Maggio non fosse stata abbastanza straziante da molteplici e dolorosissimi punti di vista, eccoci qui a subirne anche gli strascichi. L’evento trasmesso in diretta da Rai 3 ha catalizzato l’attenzione di una milionata di annoiati, ma molti di più sono quelli che stanno celebrando oggi, via social e con roboanti editoriali “giornalistici”, la consacrazione della nuova icona della “Body Positivity”, ossia la rapper avellinese BigMama, al secolo Marianna Mammone, che proprio su quel palco si è esibita nella giornata della Festa dei Lavoratori. Ora, se ci perdonate la franchezza ma anche se non ce la perdonate, qualcuno dovrebbe spiegarci cosa ci sia di “positivo” nell’avere 20 anni e arrivare a pesare un quintale o due.
Non è una questione di standard estetici “imposti da questa nostra miope società”, qui stiamo proprio sottolineando l’ovvio: da anni assistiamo alla nascita di influencer, rockstar, attrici che devono la loro fama non tanto alla propria produzione artistica, ma alla mera imponenza fisica oversize che la natura ha dato loro. Questa mera imponenza fisica oversize viene, a prescindere, interpretata come messaggio positivo da divulgare al mondo intero. Perché i tempi sono cambiati, ragazze, e qui si fa la rivoluzione. Certo, ma questa rivoluzione che asfalta i canoni estetici imperanti “da secoli”, siamo sicuri sicuri che porti davvero a qualcosa di migliore?
Ci spieghiamo in dettaglio: dal semplice, ma fondamentale, punto di vista della salute, quale differenza c’è tra una ragazza che pesa trenta chili e una che raggiunge o supera il quintale? Se è vero che negli anni Ottanta, Novanta e pure nei primi dieci del Duemila, “magrezza” era sinonimo di bellezza e successo (non solo al femminile, Tiziano Ferro si è visto costretto a passare da 111 chili a 70 scarsi affinché la discografica gli pubblicasse il primo album), non è che oggi, per una sorta di espiazione delle colpe passate, si debba necessariamente celebrare l’esatto opposto, l’obesità. Perché sì, gente, l’obesità è una condizione clinica proprio come l’anoressia. E ha, parimenti, le sue pericolose conseguenze sul fisico di una persona. Lo ribadiamo: “Body positivity” che cosa?
Questo, sia chiaro, non è un attacco a BigMama, pur pregevole rapper più che legittimamente in rampa di lancio. Questo è un attacco a un tipo di narrazione, che poi stringi stringi (o allarga allarga) è dettata dal fatto che i vari brand di moda a un certo punto abbiano realizzato di non poter più campare producendo solo XXS. Una narrazione che, di hashtag in hashtag, pare pura e cristallina, quasi “buona e giusta” con quella condivisibilissima melassa dell’amarsi per come si è. E anche per questo corre da anni sui social, diventa dogma-trend e guai a dire o anche solo a pensare che sotto sotto comporti la stessa marcia logica, nonché i potenziali danni, dei brutti tempi andati quando se non somigliavi a una Bratz e non entravi in una maglia Onyx, eri fuori dai giochi.
Non era corretto, da nessun punto di vista, anzi era pericoloso, legittimare o addirittura incoraggiare l’anoressia all’epoca, esattamente come oggi è parimenti dissennato e mostruoso promuovere, pur implicitamente, l’obesità, termine che oggidì non si può nemmeno scrivere o pronunciare - su Instagram sta cominciando a essere censurato da asterischi perché “offensivo” - come fosse una bestemmia. E invece no, lo ribadiamo: l’obesità è una condizione clinica che, in quanto tale, va seguita da chi ha una Laurea in Medicina che ci permettiamo di dubitare possa prescrivere una cura a base di follower che commentano “Sei bellissima” sotto ai post Instagram.
BigMama sul palco del Concertone si è concessa uno speech per prendersi una rivincita contro chi a scuola la bullizzava per il suo peso. Legittimo che l’abbia fatto ma, davvero, tutti siamo stati bullizzati per qualche cosa prima e perfino dopo la maggiore età: l’essere secchioni o bocciati, gli occhiali, il nasone, l’aver perso un genitore, il prediligere la compagnia di coetanei dello stesso sesso. E siamo qui a parlarne non da eroi, perché se bastasse questo a renderci tali, ognuno di noi dovrebbe avere nell’armadio il costume da Super(wo)man.
Da anni a questa parte, purtroppo, soprattutto sui social, l’unico vero e introvabile superpotere è la misura, non intesa come quell’orribile “90-60-90” che valutava una donna come fosse un foglio Excel. Qui si parla, semplicemente, di buonsenso. Ovvero della criptonite che, sale della terra, dovrebbe a un certo punto alzare la testa e cercare di annientare storture e mostruosità, a livello concettuale, che impattano sulle nuove come sulle vecchie generazioni. Non è la “Body Positivity” che ci spaventa, ma il suo fan club.