Le ultime classifiche di vendita pre-natalizie, sul fronte vinile, dicono trap. In un certo senso, la cosa è strana: per anni ci hanno raccontato che il ritorno del vinile lo si doveva ai titoli classic-rock divorati dall’imperitura nostalgia dei boomer. Agli amanti dell’alta fedeltà, persino, seppure le edizioni di etichette come Analogue Productions, Speakers Corner e Mobile Fidelity non muovano numeri in grado di stravolgere le classifiche. Le classifiche, appunto. Le ultime vedono sfilare, accanto a Mina, Fabrizio De André e Pink Floyd, una sfilza di nomi trap/urban con l’episodica deviazione hip hop. In successione, dalle posizioni più basse alla vetta: Ghali, Travis Scott, Lazza, Noyz/Salmo, Sfera Ebbasta, Gemitaiz. Vinile come oggetto d’arredamento cool o vinile da ascoltare sul serio e affiancare all’inevitabile streaming? Perché se si sposa la prima teoria, abbiamo a che fare con un fuoco appiccato, già qualche anno fa, dai famigerati hipster dal risvoltino facile, gli occhiali da vista con la montatura spessa e un debole per il vintage. Se invece la Gen Z svezzata a trap e urban il vinile lo appoggia davvero sul piatto, grazie a quali impianti assorbe il suono di un hi-hat?
Per entrare nel mondo relativamente nuovo del vinile di ritorno, bisogna innanzitutto scollegare il concetto vinilico da quello dell’alta fedeltà, territorio che per innumerevoli motivi non è bazzicato dalla Gen Z. L’alta fedeltà, ovviamente, esiste ancora, ma è un altro sport rispetto a un giradischi pronto-uso con casse incorporate. Su Amazon, tanto per dire, un modello stile valigetta dal look vintage (tanto per cambiare) con due altoparlanti integrati e tecnologia Bluetooth vola via a 60 euro scarsi, una cifra che non può accompagnarsi a nessun piatto con i giusti attributi. Sono questi, però, i modelli più venduti. Esteticamente accattivanti – puntuali nell’evocare un mondo a tinte pastello in cui furoreggiano ancora i mangiadischi – garantiscono una qualità minimamente accettabile e le necessarie connessioni con l’odierna tecnologia. Per fare i seri, però, ci si deve spostare ben sopra questa fascia, dove i Planar di Rega dettano legge. Baciati da un’estetica minimal da fare invidia a un club berlinese, i prodotti della casa inglese, che proprio nel 2023 ha compiuto 50 anni, sono da qualche anno un obbligatorio riferimento per chiunque voglia portarsi a casa un buon piatto senza, nel frattempo, dover vendere su Discogs l’intera collezione di quei vinili che tanto vorrebbe ascoltare (i vari modelli Planar 1 di Rega vanno dai 300 ai 500 euro).
Dai primi modelli Planar di Rega in su il discorso cambia radicalmente (Planar 8 costa circa 3.000 euro, per il 10 andiamo sui 5.500 euro). Per restare invece nel range dei Planar 1, dobbiamo scomodare Denon e Sony, altre due marche che offrono buoni affari di livello “medio tendente all’alto”. Tuttavia, questo breve excursus nel mondo dei giradischi rischia di averci già spinto troppo in là rispetto alla premessa iniziale: dove ascolta i vinili la Gen Z? Beh, in parte non li ascolta affatto, li appende al muro come per dire “nelle nostre vene scorre sangue, non solo informazioni liquido-digitali”. Quando invece li ascolta per davvero, si serve di ammennicoli, abbastanza gradevoli alla vista, che fanno inorridire chiunque abbia a cuore le potenzialità dinamiche di un ascolto leggermente più adulto. È solo cattiveria, la nostra? No, è un’inevitabile constatazione storica. La Gen Z non è nata con il vinile, semmai crescendo ha scoperto il vinile con lo stesso stupore con cui un ottantenne, alla fine, si gode – dopo una sequela di accurate e ben modulate imprecazioni – i benefici dello Spid che il nipote o il figlio gli hanno registrato. La prova? “Perché c’è un uomo a cantare su ogni traccia?”, scrisse una fan di Taylor Swift su Amazon recensendo la sua copia in vinile di “Red”, stampata per essere riprodotta a 45 e non a 33 giri, dettaglio sfuggito non solo a lei, ma anche ai tanti giovanissimi che fecero subito eco alla bizzarra domanda del recensore-fan. Negli Stati Uniti qualche sito sentì così la necessità di pubblicare una breve guida all’ascolto di un vinile, giusto per chiarire le basi. Un anno dopo Taylor Swift avrebbe pubblicato “Midnights”, che vendette più copie in vinile che in cd. E non certo grazie a uno stuolo di floydiani di ferro. Infine, per restare nel reame degli strani effetti del vinile di ritorno, è fresca di qualche giorno la lista, pubblicata da Discogs, dei vinili del 2023 che, appena usciti, sono diventati chimere da collezionisti. Al primo posto svetta “The new folk sound of Terry Callier” di Terry Callier, disco del 1966, ristampato quest’anno in 345 copie. Al momento vanta una quotazione media di quasi mille dollari. Ma qui la trap e la Gen Z non c’entrano davvero nulla.