È venuto un tempo per Brunori Sas fatto di tenerezze. Questa è un po’ l’idea che ci siamo fatti ascoltando il suo ultimo album tra Per non perdere noi e Il morso di Tyson e osservando alla Festa del Cinema di Roma il documentario Il tempo delle noci di Giacomo Triglia. Un film in cui tutto, l’amore, la famiglia, l’arte, si unisce e diventa un coro di voci, come poi le sue stesse canzoni del disco: una dopo l’altra, arrivano la delicatezza e la maturità.
Che tutto questo amore io non lo posso sostenere
Perché conosco benissimo le dimensioni del mio cuore
E posso navigare anche in assenza di stella polare
Vorrei cambiare la voce
Vorrei cantare senza parole
Senza mentire
Per paura di farti soffrire
(Brunori Sas, L'albero delle noci)
Il regista Giacomo Triglia collabora da tantissimo tempo con il cantautore calabrese. Giacomo, artefice di un modo di narrare la musica e dare spazio ai suoni nelle immagini, lui minuto dopo minuto, in Il tempo delle noci ci ha mostrato non solo chi è Dario Brunori, ma anche le radici di un'idea. Brunori Sas è arrivato alla Festa e sembra che oltre a lui, il documentario e Riccardo Sinigallia, eccezionale artista, produttore artistico e co-protagonista del film, in un certo senso sia passato sul tappeto rosso anche quell’albero che si trova davanti casa del cantautore. Quell’albero che Dario dice di guardare quando è in cerca di qualcosa, che scruta dalla sua finestra quando aspetta che il pensiero si manifesti, la musica parta, la canzone inizi. Il punto è che, se ci siamo presi del tempo, è perché in fondo non abbiamo solo intervistato Dario Brunori e Giacomo Triglia, ma abbiamo anche assistito alla prima in Auditorium del film e alla performance live insieme a Sinigallia. E quindi dovevamo capire e recuperare quelle sensazioni lì. Libere, intense come dovrebbe essere la musica. Un documentario, Il tempo delle noci, per ragionare sul processo creativo e in cui si finisce a parlare d'ingegno, di ispirazione, di figli, di squadra. Perché le prime emozioni contano, ma alla fine è il lavoro che fa la differenza, le trasforma in note e le fa maturare, vivere nel tempo. Più che un team di lavoro quello che segue Dario Brunori sembra una grande famiglia composta da amici, collaboratori, artisti e fan, tutti felici, felicissimi e in trepidante attesa, domenica scorsa, anzi quella “domenica notte”, per vedere il film di Triglia. Film che possiamo dire riuscito anche per chi non conosce a memoria ogni brano dell’artista e desidera solamente sapere chi è quell’uomo con la chitarra in completo e papillon che a Sanremo ha portato la ‘classica’ forza della parola. Quella cosa (forse) dimenticata e che somiglia oggi alla rivoluzione. Una rivoluzione potente come la tenerezza di raccontarsi (senza filtri).
Intervista a Dario Brunori e Giacomo Triglia
Dario Brunori, Giacomo Triglia. Lavorate insieme da tanto tempo. Avete collaborato per vari videoclip tra Come stai, La verità e ora L'albero delle noci. Cosa vuol dire ancora oggi scegliersi?
Brunori Sas: È facile lavorare con Giacomo perché ha una attitudine molto aperta al suo lavoro, e questo per me è fondamentale perché forse, anche sbagliando, mi piace mettere il naso nelle cose che mi riguardano. Anche nei video c’è sempre stata una grande collaborazione, siamo molto complementari, alcune mie caratteristiche si combinano alle sue e penso che insieme si facciano dei buoni lavori, quindi è abbastanza semplice. Nel caso del documentario Brunori Sas - Il tempo delle noci era quasi 'obbligatorio', perché comunque raccontare con onestà, in maniera autentica, un processo creativo aveva bisogno di un'intimità. Da una parte può essere un limite perché magari l’affetto può diventare una problematica perché si potrebbe rischiare di edulcorare le cose, però fortunatamente la relazione tra me e Giacomo è molto franca. Credo che sia stata evitata una visione zuccherosa della faccenda.
Giacomo Triglia: Quando trovo l'artista interessato a quello che deve rappresentare il suo brano, in questo caso un cantautore, la scrittura diventa molto importante. Trovare qualcosa che rappresenti a pieno quello che il cantante ha scritto è fondamentale. Non sempre è così purtroppo. Con Dario da questo punto di vista ci troviamo benissimo.
Giacomo, immagino che tu spesso parta dai testi delle canzoni per poi costruire delle immagini. Per questo film, quanto è stato complesso, importante e costruttivo partire dalle emozioni e raccontare Dario Brunori a 360 gradi?
Giacomo Triglia: L'unica complessità è stata dover rinunciare ad alcune cose in montaggio, perché sono emerse talmente tante belle cose dalle interviste con Dario e Riccardo che in realtà l'unica difficoltà sia stata questa o comunque sacrificare tanto materiale di repertorio. Ero super sereno, nessuna difficoltà.
Dario Brunori, ci hai fatto vivere il mondo che vedevi attraverso le tue canzoni. Ci hai fatto andare oltre la paura e le emozioni più profonde. Quando hai scritto questo ultimo album, L'albero delle noci, chi avevi davanti a te?
Brunori Sas: Alla fine di ogni album inevitabilmente hai sempre te stesso di fronte, anche quando pensi di raccontare storie altrui stai sempre raccontando te stesso. Mai come in questo disco probabilmente mi sono raccontato con quella paura: "Ancora una volta racconti di te stesso". Nel documentario c’era la paura di mostrare sempre determinati aspetti che comunque mi hanno caratterizzato e che ho narrato nelle canzoni e negli spettacoli teatrali. Ma è inevitabile. Forse non è tanto la problematica del raccontarsi quanto di trovare il modo per cui quello che tu racconti di te stesso abbia valore anche per gli altri, quindi che tu diventi paradigmatico e che la tua esistenza possa essere un esempio, un tramite, un emblema, un pretesto per raccontare le vite degli altri. Questo per me è fondamentale.
Che cosa avete compreso dal ruolo dell'artista dopo aver lavorato a questo progetto?
Giacomo Triglia: Quello di cui sono molto felice è che dal documentario ne esce un racconto a 360 gradi su quello che è un percorso creativo. Credo che qualsiasi spettatore ci si possa ritrovare tranquillamente, anche se non fa musica o cinema. Non volevo fosse strettamente legato alla lavorazione del disco. Poi è normale che alcune cose emerse dalle interviste abbiano fatto ragionare anche me.
Brunori Sas: Per me chiaramente è difficile capire cosa può emergere dal mio ritratto. Indubbiamente mi sono visto spontaneo, perché non sempre è facile rivedersi. In tutto il documentario non vedo un momento in cui dico "ah, qui un po' mi sono messo una maschera che non è la mia". È la prima volta che mi espongo totalmente senza sentire la necessità di far vedere anche qualcosa che non sono. In passato abbiamo fatto delle cose insieme e riguardandole a distanza di tempo, come è normale che sia, forse la tensione, la fragilità, l’insicurezza di mostrarsi mi portava a volte a dire delle cose in più, magari a fare una citazione colta, sentire la necessità di dipingermi secondo il cliché del cantautore; ecco in questo documentario, così come ultimamente nelle interviste, ho notato che questo è venuto meno. Ora forse accetto di poter essere un cantautore esattamente per come sono.